Oggi l'argomento è piuttosto duro: morire, come?
Lo spunto mi è venuto da un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 24 giugno...e da allora mi arrovello se sia il caso o meno di dare voce alla questione.
Umberto Veronesi ha "ideato" il testamento biologico con cui si possono dettare le proprie volontà su come essere "curati" in caso di
- malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante
- malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.
Le implicazioni sono moltissime, etiche, religiose, legali, ma io mi chiedo:
se fossimo noi? cosa vorremmo? potremmo lasciare ad altri il peso di una tale decisione?
dov'è il limte dell'accanimento terapeutico? Siamo sicuri che levando il sondino a chi è in uno stato vegetativo non lo si faccia soffrire condannandolo a morire di sete?
Gli indiani d'America quando reputavano giunta la loro ora si ritiravano in disparte , aspettando il loro momento...
Forse la vera questione riguarda la nostra "moderna ed evoluta" società, dove tutto è basato sull'apparenza e sulla velocità. Dove tutti devono essere sempre giovani. Dove il dolore deve rimanere nascosto.
Dove chi muore deve essere sepolto in 24ore senza nemmeno dare il tempo a chi gli era vicino di riflettere. Di sentirne la mancanza. La vita continua e nulla deve turbare l'efficienza dell'ingranaggio.
CREDO SIA MEGLIO IMPARARE A CONVIVERE CON IL PENSIERO DELLA MORTE. PRENDERE COSCIENZA CHE NON SIAMO ETERNI.
GODERE DELLE PERSONE CHE SI HANNO VICINE FINCHE' CI SONO.
PREPARARSI SERENAMENTE AL DISTACCO.
NON AVERE PAURA DI VIVERE.
7/07/2006
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