2/27/2007

AFGHANISTAN

Ciao a tutti!
Da oggi ho deciso di cominciare con voi una serena e seria riflessione sull'Afghanistan e, più in generale, sulla nostra politica internazionale. E le inevitabili conseguenze sulla nostra politica interna, nonché, più direttamente, nella nostra vita di tutti i giorni.
Si tratta cetamente di argomenti spinosi su cui tutti noi abbiamo già delle posizioni.
Vediamo,allora, di confrontarci. In modo pacato e costruttivo.
Per fare questo comincerò oggi col segnalarvi un articolo pubblicato su L'Espresso.
Mi rendo conto che è un po' lungo, ma vi assicuro che vale la pena leggerlo fino in fondo.
Buona lettura.

Missione ombra - di Gianluca Di Feo
Ottomila soldati sparsi nel mondo. Metà dimenticati nei Balcani. Senza una strategia che giustifichi il rischio. Mentre in Afghanistan e Libano ora tutto si fa difficile.

Adesso sì che rischiano di diventare missioni impossibili. Perché dopo il tonfo in Senato, per i nostri contingenti la situazione si fa sempre più complicata. Oggi ci sono 7.456 militari impegnati in 25 operazioni: una lista che comprende persino 69 osservatori in Congo, sei in Marocco e sei sul confine indo-pakistano. Ci sono squadroni che sembrano dimenticati dalla storia, come i marinai che nel mar Rosso vigilano da un quarto di secolo sugli accordi di Camp David. C'è poi il dispositivo nei Balcani, più di 3 mila uomini a sorvegliare i frammenti della ex Jugoslavia. Ma i problemi seri si aprono per i comandi in Libano e Afghanistan, condizionati dallo sfaldamento dell'Unione. Mentre a Roma la maggioranza frana, a Kabul nel quartier generale della Nato si valuta la possibilità di mandare i nostri soldati al fronte per riportare la sicurezza nella cittadina di Bakwa, occupata dai talebani lunedì 19 febbraio e abbandonata dopo un giorno. È un compito che spetta ai nostri soldati, perché quella provincia sperduta fa parte della regione affidata al contingente tricolore. Il nuovo comandante in capo americano, il generale Dan McNeil, avrebbe invocato un intervento lampo con gli elicotteri, ma italiani e spagnoli si sarebbero opposti. E, come 'L'espresso' ha ricostruito, già due volte la scorsa estate le nostre truppe sono state spedite a Bakwa per ristabilire l'ordine dopo gli attacchi dei fondamentalisti. La prima missione a luglio fu affidata a una colonna composta da una settantina di americani, una compagnia di spagnoli, un distaccamento di incursori della nostra Marina e un'unità italiana di Psy Ops, il gergo Nato per indicare chi si occupa di conquistare il sostegno della popolazione: il raggruppamento occidentale raggiunse la città dopo una marcia di tre giorni. La seconda fase dell'operazione Turtle scattò un mese dopo, in risposta a un altro assalto talebano: questa volta i commandos italiani si mossero fianco a fianco con marines statunitensi e parà portoghesi. In entrambe le spedizioni, secondo il bollettino afgano dell'Alleanza Atlantica 'Isaf Mirror', i guerriglieri si sarebbero ritirati senza combattere. Ma bisogna ricordare che negli stessi giorni una pattuglia di incursori del Comsubin è stata colpita da una trappola esplosiva nella zona di Bala Baluk, non lontano da Bakwa: sono rimasti feriti in quattro, fortunatamente in modo lieve. Cosa stessero facendo i commandos di La Spezia resta top secret. Come ogni mossa condotta dal contingente afgano dopo la vittoria del governo di centrosinistra. Adesso il mercoledì delle ceneri di Palazzo Madama suona come una sorta di 8 settembre per i reparti che si trovano in prima linea. Sono passati 15 anni dai primi caduti in missione di pace, quattro elicotteristi uccisi da un Mig serbo mentre vigilavano sul confine croato, ma le questioni principali restano sempre le stesse. A cosa servono queste operazioni? Aiutano le popolazioni? Sono uno strumento di politica estera indispensabile? E le nostre truppe sono in condizione di svolgere i compiti che gli vengono assegnati? Finora il bilancio mostra luci e ombre. Il successo migliore, la pacificazione del Mozambico, non lo ricorda nessuno. Ma altrettanto dimenticata è l'avventura somala, costata 11 vite e una frattura con gli americani per poi lasciare l'ex colonia nel caos. Per non parlare dell'Iraq o della costosissima incursione esotica nel Timor Est. Capitoli chiusi, che lasciano aperti interrogativi sul presente. Prendiamo il caso della Bosnia: la bandiera tricolore nella città martire è stata issata nel dicembre 1995. Per i primi dieci anni si sono alternati 20 mila soldati con un costo stimato in oltre 3 mila miliardi di lire: attualmente il nostro raggruppamento conta 898 uomini e nessuno sa quando faranno le valigie. Di sicuro la Nato ha fermato la guerra; 12 anni di pace non sono però bastati a costruire una pace in grado di reggere senza mitra spianati. Peggiori le prospettive in Kosovo, dove siamo sbarcati in massa nel giugno '99: in questo momento il contingente ha 2.308 soldati che finora sono costati al contribuente 1.500 milioni di euro. La spesa è in calo costante, 75 milioni nell'ultimo semestre, ma non la tensione che ha appena provocato una rivolta di piazza e rischia sempre di riaccendersi in una regione amministrata dall'Onu, dove non ci sono risorse e si moltiplicano i traffici. La crisi dell'Unione adesso rende tutto più confuso. E rischia di incidere in modo determinante sulla situazione in Libano e in Afghanistan. Nel paese dei cedri ci sono 2.500 soldati, con armamenti pesanti e compiti incerti. La frontiera israeliana è relativamente calma, ma il disarmo degli hezbollah non è mai partito e il quadro politico interno (vedi anche servizio a pag. 88) quanto mai frammentato. L'incubo è che l'operazione Leonte segua le orme della precedente Unifil, che ha costretto i nostri caschi blu a volare senza sosta dal 1979 tra le raffiche di israeliani, palestinesi e sciiti: enormi apprezzamenti umanitari, nessun passo avanti nella stabilizzazione dell'area. Il problema qui adesso è politico-militare, perché il comando operativo di tutte la forza multinazionale è italiano e in caso di azioni ostili la linea del governo diventerà determinante. Quale sarà? In 12 anni di missioni non c'è mai stata un'iniziativa offensiva: l'attenzione principale è stata quella di fare qualcosa per la popolazione e, soprattutto dopo la strage di Nassiriya, non correre rischi. I combattimenti sono stati pochi. Solo cinque volte sono stati affrontati scontri su larga scala: ma le uniche vere battaglie restano quella del check point Pasta a Mogadiscio e le due dei Ponti a Nassiriya. Si tratta sempre di manovre difensive, per respingere attacchi o per riconquistare postazioni che avevamo dovuto abbandonare. L'unica spedizione di natura 'aggressiva' è passata inosservata: nell'agosto 2003 alpini e parà si inoltrarono tra i monti afgani a caccia di guerriglieri islamici. Ma questa 'Warrior sweep', letteralmente 'far pulizia dei guerrieri', si concluse senza sparare un colpo: talebani e qaedisti rimasero fuori tiro. A vedere la statistica, quindi, si è trattato di missioni poco bellicose. Questo talvolta ci ha portato in rotta di collisione con i nostri alleati, come in Somalia e ora a Kabul, ma in altre occasioni ha permesso di operare dove altri dovevano scappare.
Poi negli ultimi cinque anni la volontà di evitare perdite sembra avere preso il sopravvento sulle ricerca dei risultati, mettendo così in crisi il ruolo dei militari. Compito dei contingenti armati infatti dovrebbe essere quello di garantire la sicurezza delle regioni e, secondariamente, proteggere i soldati. Per questo, prima dell'Iraq, la linea dello Stato maggiore era sempre stata quella di mandare al fronte i mezzi più moderni e potenti, eccedendo in carri armati, cannoni ed elicotteri. Dopo invece si è scelto un profilo molto basso, che riduce la capacità di intervento. A Nassiriya nel 2004 la sede del governo provvisorio è rimasta assediata, cosa che viene ancora oggi rinfacciata dai diplomatici stranieri, perché non erano disponibili tank: mezzi spediti con urgenza solo dopo la morte di un lagunare e di un elicotterista. Anche quando i segnali di pericolo erano inequivocabili, l'esigenza di mantenere una presenza 'di pace' si è tradotta in un'unica indicazione operativa: uscite dai fortini il meno possibile.
In queste ore lo stesso copione si ripropone in Afghanistan. Tra Kabul ed Herat ci sono 1.933 soldati, per un'operazione già costata 725 milioni di euro. Fino ad adesso, l'italian style è riuscito a portare una ventata di serenità in alcune vallate dove si sparava senza sosta dai giorni dell'invasione sovietica. Ma il clima sta cambiando: l'annunciato grande assalto talebano è alle porte. E i nostri comandi non prendono contromisure. Tutti gli alleati stanno mandando di corsa tank e artiglieria, non tanto per attaccare, quanto per garantire la difesa delle basi e degli spostamenti. Gli italiani invece hanno deciso di mantenere un dispositivo leggerissimo: al massimo mitragliatrici. Non ci sono cannoni, né mortai, né veicoli corazzati, né elicotteri a prova di proiettile. Il mezzo più potente sono le autoblindo Puma, che rischiano di fare la figura delle 'scatole di sardine' di mussoliniana memoria. Non ci sono nemmeno le torrette per proteggere i mitraglieri, obbligati a fare da bersaglio per i cecchini. Il generale Mauro Pescarini, responsabile degli armamenti terrestri, in un'intervista al mensile 'Panorama Difesa' ha ammesso: "Le blindo leggere Puma vengono impiegate per compiti diversi da quelli per i quali erano stati concepiti. Si tratta pertanto di mezzi che hanno bisogno di ritocchi in corso d'opera per quanto riguarda una maggiore protezione e una maggiore capacità di autodifesa". Ma fino a settembre gli alpini si dovranno arrangiare: a Roma hanno altro a cui pensare. (23 febbraio 2007)

2/26/2007

Il giusto compenso: vogliamo parlarne?

Ciao a tutti!
Una mia amica mi ha segnalato un articolo del Corriere della Sera che mi era sfuggito...che ne dite?

Il Festival è salvo. Sanremo, sbloccati i compensi
Il ministro Nicolais firma la circolare che elimina il tetto dei compensi. Niente più limite di 272 mila euro

ROMA - Il Festival di Sanremo è salvo. Il ministro per le riforme, Luigi Nicolais, ha firmato oggi la circolare che elimina il tetto ai compensi per le star della Rai, previsto dall'ultima finanziaria. Niente più limite di 272 mila euro, quindi, per i presentatori Pippo Baudo e Michelle Hunzinker.L'eventuale applicazione del tetto previsto dalla finanziaria - è scritto nella circolare firmata dal ministro Nicolais - «altererebbe il normale esplicarsi del confronto aziendale ponendo la società a prevalente partecipazione pubblica in una situazione di svantaggio alterando significativamente le regole del mercato della concorrenza». L'allarme compensi era stato lanciato qualche giorno fa dall'Unità, che in prima pagina aveva sollevato il problema del tetto posto dalla Finanziaria alle retribuzioni dei dirigenti pubblici esterni e dei consulenti di ministeri e società pubbliche non quotate, come è di fatto la Rai. Retribuzioni che, secondo la manovra, non possono essere superiori a quella del primo presidente della Corte di Cassazione, cioè circa 272 mila euro annui. Il punto chiave è diventata l'applicazione della norma, che rischiava di abbattersi come una tegola sui compensi di Pippo Baudo e Michelle Hunziker - i cui contratti al momento non sono stati ancora firmati - e quindi sulla stessa realizzazione del festival, a pochi giorni dal via. Dopo riunioni tecniche di consulenti al Ministero dell'Economia, due giorni fa la questione è arrivata alla Funzione Pubblica. Il ministro Luigi Nicolais ha iniziato così a lavorare alla circolare, firmata oggi, che riconosce che dal tetto ai compensi va esclusa la Rai, che deve misurarsi sul mercato con le regole della concorrenza.
Corriere della Sera - 23 febbraio 2007

2/22/2007

nasce "cugino" IT ... il nuovo logo Italia


Il vicepremier Francesco Rutelli, responsabile dei Beni culturali e del turismo e fortemente voluta dal presidente del Consiglio, Romano Prodi, hanno illustrato alla stampa, a Palazzo Chigi il nuovo strumento per caratterizzare e promuovere l'Italia nel mondo (foto a sinistra). Al bando di gara, indetto per la sua creazione, hanno risposto 75 agenzie pubblicitarie. E' risultato vincitore il progetto dell'agenzia americana Landor, fondata nel 1941 a San Francisco, che vanta tra i propri clienti marche come General Electric, France Telecom, Pepsi, Abertis, Disneyland Parigi, Morgan Stanley e Kellog's. In Italia, la Landor è storicamente conosciuta per identità come Alitalia, Sip, Bnl o Montedison.
A questo punto sorge spontanea una domanda: quanto è costato al lungo Governo Prodi (281giorni) questo nuovo superbo logo che - spiega una nota - non sostituirà, ma si affiancherà ad altri già esistenti di proprietà di enti e istituzioni con finalità simili????

2/21/2007

I DIRITTI DEI DEBOLI SONO DIRITTI FORTI

SE VUOI: CURARE le popolazioni più vulnerabili nelle situazioni di crisi in Italia e nel Mondo (vittime di disastri naturali, di epidemie, della fame e dell’ingiustizia sociale;vittime di conflitti armati, della violenza politica, rifugiati, minoranze, bambini di strada, tossicodipendenti e tutti coloro che sono esclusi dall’accesso alle cure). PROMUOVERE l’impegno volontario di medici e di altri operatori professionali della salute, così come di cittadini e professionisti di altre discipline necessari alle sue azioni. ASSICURARE l’impiego di tutte le competenze necessarie al compimento dei suoi obiettivi. PRIVILEGIARE un rapporto di cooperazione con le popolazioni curate. I MEDICI VOLONTARI ITALIANI Onlus SANNO COME. Medici Volontari Italiani è una associazione medico-umanitaria, non governativa e senza scopo di lucro, con sede a Milano, riconosciuta con decreto del Presidente della Regione Lombardia n. G/1232 del 4 marzo 1999, ed iscritta nel Registro Generale del Volontariato. L'Associazione Medici Volontari Italiani è un'associazione di Volontariato, ed è una ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale), il che comporta, tra l'altro, la non retribuzione dei Soci e facilitazioni fiscali per i donatori.




Informati qui.

2/17/2007

Vincerà la tartaruga ?

Ciao a tutti, come state?
Aprofitto di questa mattinata apparentemente tranquilla (per ora!!!) per segnalarvi che Lunedì prossimo, 19 febbraio 2007, sarà la giornata mondiale della lentezza (non è uno scherzo!).

Viviamo in una società dove il lavoro occupa la maggior parte delle nostre giornate e dove, a causa di ciò, il tempo ci sfugge continuamente e i giorni si susseguono uno dopo l'altro molto, troppo velocemente.

Vi invito pertanto a riscoprire il valore del tempo e ad affrontare questa giornata con un approccio diverso da quello che normalmente si segue nella nostra frenetica Milano. Se riuscite ritagliatevi un pò di tempo per voi stessi, fermatevi a riflettere e cercate di approcciare le cose con serenità, tranquillità e ottimismo.