10/13/2009

E' il Cav. a infettare l'Italia? di Giampaolo Pansa

L’Italia è condannata e non si salverà più. Il boia che la uccide è, ovviamente, il malvagio Caimano, vale a dire Silvio Berlusconi. E anche nel caso che il Cavaliere scompaia, resterà sempre a infettarci la sua eredità: il maledetto berlusconismo. Che completerà l’opera del suo inventore, continuando ad agire come un virus spietato, capace di contagiare tutto e tutti.
È questa la tesi sostenuta sull’Unità di venerdì 9 ottobre da Giorgio Bocca, intervistato da Oreste Pivetta. Il cronista gli chiede: «Che succederà dopo la bocciatura del Lodo Alfano?». Bocca risponde: «Berlusconi rimarrà al governo, i suoi avvocati inventeranno mille cavilli perché i suoi processi cadano in prescrizione. E se anche Berlusconi dovesse cadere resterà il berlusconismo, il male profondo di un paese che ha così poca dignità da accettare la guida di un uomo corrotto che sta distruggendo la democrazia».
Qualche lettore del Riformista si chiederà che cosa c’è di nuovo in questa tesi. È da quando ha messo in piedi le sue tivù, dove ha lavorato anche Bocca, che il Cavaliere viene accusato di ammazzare la democrazia e di guastare un paese perfetto come l’Italia.
Le tante sinistre lo ripetono di continuo, salvo qualche momentanea eccezione. Per esempio, quella di Max D’Alema che nell’aprile 1996, vigilia di elezioni, andò in visita pastorale agli studi milanesi di Mediaset e disse: «Questa azienda è un patrimonio dell’Italia, una risorsa per il paese». Ma adesso niente più eccezioni. E giù botte sul Caimano.
Eppure nel passaggio bocchista che ho citato una novità esiste. Ed è quella destinata a toglierci ogni speranza. Anche quando il Cavaliere sarà morto e sepolto, la sua maledizione satanica continuerà a fare il proprio lavoro. Completando la mutazione della nostra bella Italia in un posto sempre più infernale. Ma questa convinzione, molto diffusa tra gli avversari del Berlusca, ci obbliga a una domanda: prima dell’apparizione del Caimano l’Italia era proprio tanto bella?
L’età mi concede il privilegio di aver visto, e raccontato sui giornali, com’eravamo prima del fatale 1994, l’anno della discesa in campo di Berlusconi. Sfoglio il mio album della memoria e vengo assalito da uno tsunami di ricordi tutti negativi. Vediamoli insieme, un po’ alla rinfusa e con disordine.
Prima di tutto, la corruzione della casta politica, sfociata nel disastro di Tangentopoli e nel giustizialismo di Mani Pulite, sacrosanto e tuttavia non sempre imparziale, misurato e risolutivo. Poi la mafia, con i suoi crimini. Il terrorismo rosso e nero, la fabbrica di centinaia di assassinati. L’evasione fiscale, cancro antico e mai sconfitto. Il disastro scolastico, drammatico soprattutto ai piani alti, con un sistema universitario tra i peggiori al mondo. L’ignoranza e l’incompetenza dilaganti, sia pure meno di oggi. Il padrinaggio politico che inquinava il mercato del lavoro: niente posto a chi non disponeva di un santo in paradiso.
E ancora. I concorsi truccati, come gli appalti. L’inefficienza dell’apparato amministrativo pubblico, a tutti i livelli, da quello comunale a quello statale. La burocrazia asfissiante. L’assenteismo cronico, un male mai curato. Il disordine urbanistico. L’illegalità edilizia. Il divario terribile fra il Sud e il Nord. L’avarizia sociale. La mancanza di solidarietà. La sicumera imbecille nell’affermare che i diritti vengono prima dei doveri. Il maschilismo più ottuso, capace di rendere molte famiglie dei posti infernali. Per essere più chiaro, domando: le donne venivano pestate dai mariti, dai padri e dai fratelli anche prima dell’arrivo di Berlusconi o no?
Ecco un elenco di vergogne molto sommario, che i lettori del Riformista sono in grado di completare. Possiamo metterlo sul conto del Cavaliere? Se ci azzardassimo a farlo, dovremmo vergognarci di noi stessi. Sento replicare dalle tante sinistre: ma il Caimano sta al governo da quindici anni! Ecco un falso cronologico e politico. Dal 1994 a questo 2009 il centro-sinistra ha comandato per la metà del quindicennio, con i due governi di Romano Prodi. Il Cavaliere può aver fatto poco o nulla per rendere migliore l’Italia. Ma di certo non è la sola fonte di tutti i nostri guai.
Eppure nell’ansia disperata di spedire a casa Berlusconi e il suo partito, dilaga il vizio di pararsi le chiappe con un alibi debole e sfrontato. L’alibi suona così: la colpa è tutta del Caimano. Già, è lui che ha infettato l’Italia e continua a contagiarla. Leggo dodici quotidiani al giorno e ogni volta vedo ritornare questo mantra, recitato come una formula magica da non pochi opinionisti e da molti lettori.
In queste ore pessime per tutti, con la crisi economica e sociale che s’intreccia al caos politico, il mantra sta diventando assordante. Anche grandi giornali d’informazione, che avrebbero l’obbligo di mantenere la testa fredda, si abbandonano a un’illusione pericolosa. Quella che induce a pensare: una volta sparito il Caimano, ritornerà l’età dell’oro.
Ho già scritto più volte che di Berlusconi non m’importa niente. Non è il mio premier. Neppure il suo partito è la mia casa politica. Ma conosco bene i polli del pollaio di centro-sinistra. Quando non provo paura, mi fanno ridere. La settimana delle tre domeniche non l’ha ancora inventata nessuno. Credete che ci riesca un governo partorito da Franceschini, o da chi per lui, da Di Pietro e da qualche lunatico rosso? Provate a immaginarli al potere invece che al bar, questi quattro compari. E chiedetevi se non dovremo scappare all’estero.

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