pubblicato su Il Sole 24 Ore del 15/09/2011
Come il vapore nella pentola a pressione, il nervosismo politico cresce di ora in ora. Impossibile non accorgersene. L'immagine usata da Casini nel dibattito sulla manovra a Montecitorio («la Grecia è dietro l'angolo») viene, certo, da un esponente dell'opposizione: ma possiede una sua efficacia condivisa, anche se poi i punti di vista sul «che fare» divergono in modo drammatico.
L'ipotesi di un governo di unità nazionale (o di transizione, nella versione "soft") resta remota. Al pari dell'altra ipotesi che ne costituisce la logica premessa: il fatidico passo indietro di Berlusconi.
Se non accade un fatto nuovo, se non interviene un evento in grado di spezzare la teca di cristallo in cui è imprigionato l'equilibrio politico romano, la condizione di stasi può durare ancora a lungo. Magari non fino al termine della legislatura, nel 2013, ma abbastanza da snervare protagonisti e comprimari dello psicodramma che va in scena senza risparmio di energie degne di miglior causa.
L'emergenza economica è lì sul tavolo, con tutti i suoi nodi irrisolti. Un esecutivo stremato dall'operazione "pareggio di bilancio" dovrebbe adesso affrontare il mostro del debito pubblico, il vero freno dello sviluppo. Si delineano scenari quasi fantascientifici; 300-400 miliardi da raccogliere attraverso misure drastiche: una spietata patrimoniale, la dismissione del patrimonio statale, riforme strutturali radicali. Tutte cose che la classe politica non è mai riuscita nemmeno a concepire. Se davvero la Grecia è dietro l'angolo, chi avrebbe la forza e la volontà d'inoltrarsi nell'ignoto prima che sia troppo tardi? La domanda oggi non ha una risposta.
In ogni caso, il tema economico è solo metà del problema. L'altra metà riguarda il pasticcio giudiziario o para-giudiziario che domina le cronache e coinvolge il presidente del Consiglio in forme ormai asfissianti. Tracimano le intercettazioni e incalzano le procure.
Oggi è il turno delle conversazioni di Berlusconi con il faccendiere Lavitola. Per domani o dopo o per la prossima settimana ci si attende il peggio, se davvero dovessero esseri diffusi i nastri di cui tutti parlano in questi giorni, contenenti - così pare - pesanti riferimenti a uno o più leader europei.
È un abuso, un'operazione verità, una ferita masochistica inferta alla credibilità nazionale? Sull'uso delle intercettazioni ogni italiano ha maturato un'opinione. Ma sotto l'aspetto politico siamo nel più classico "cul de sac". Veleno puro sparso sulle istituzioni e nessuna soluzione concreta. Si cammina sul ciglio del burrone. Tanto è vero che ieri si è sfiorata una seria tensione istituzionale fra il presidente del Consiglio e il capo dello Stato, anche se non tutti se ne sono accorti.
Non c'è solo la questione dell'interrogatorio come «testimone» a cui Berlusconi è sollecitato con insistenza nell'ambito dell'inchiesta Tarantini: una vicenda che non trova ancora sbocco, ma che non può protrarsi all'infinito.
Il punto cruciale riguarda le intercettazioni e il fango che può derivarne una volta rese di pubblico dominio. Qui la minaccia, poi rientrata, di intervenire con un decreto d'urgenza volto a impedire la pubblicazione di certe frasi compromettenti ha dato un'idea dello stato di rabbia impotente e di frustrazione in cui si trova il premier. Ma anche del rischio che questo comporta. È evidente che Napolitano non firmerebbe un simile decreto. Ma un conflitto istituzionale sulle intercettazioni sarebbe devastante per il Paese: l'ultima disgrazia che ci si può augurare in quest'ora difficile.
È un bene che ieri sera l'ipotesi sia stata accantonata e che ciò sia avvenuto senza esporre più di tanto il capo dello Stato. Ma ogni giorno ha la sua pena. La guerra tra la magistratura e Berlusconi continua, gli strumenti per fermarla non ci sono o non vengono usati da chi di dovere. Lo scontro istituzionale resta sullo sfondo come un pericolo incombente. Non è quello che si può volere per l'Italia nel momento in cui la priorità dovrebbe essere solo una maggiore coesione nazionale. Viceversa c'è il rischio del cortocircuito, mentre la pentola a pressione comincia a sibilare.
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