|
|
Via Muratori, a Milano, dove recentemente c´è stato un regolamento di conti ... |
Benedetta Borsani L'Italia
è ancora il Bel Paese? Parrebbe di no. Ma la vera domanda è: lo è mai
stato? Cosa è cambiato? Ne abbiamo parlato con Andrea G. Pinketts,
scrittore, che non ha bisogno di presentazioni e che con la sua solita
ironia, il suo senso della frase, le sue concretezza, lucidità e
franchezza ci ha così risposto, non dopo aver fatto un breve excursus
della storia "nera" degli ultimi decenni. Perché non si può capire il
presente se non partendo dal passato. «Siamo al collasso. Un collasso
inevitabile, come negli anni 70. Allora eravamo appassionati dei
poliziotti giustizieri come Maurizio Merli o Franco Nero, poliziotti
incazzati o problematici, o Enrico Maria Salerno (più nobile degli altri
due), tutti protagonisti di film in cui "la polizia è al servizio del
cittadino o ringrazia". Dopo 35 anni la criminalità è cambiata. Sì,
abbiamo il ragazzino che ha il mito di Vallanzasca, ma si tratta di una
criminalità diversa. Secondo lei, Pinketts, il nome di "nuovo Vallanzasca" se l'è dato da solo o gli è stato attribuito dalla stampa? «Direi
fifty-fifty e per ovvie ragioni anagrafiche certamente almeno fino
all'uscita del film. Il che non demonizza il fatto di raccontare il
fatto criminale in una fiction. Anzi. Il nick name viene tratto
dall'immaginario reale, ma non dal contesto sociale che inevitabilmente
cambia. Ricordo "il solista del mitra" Luciano Lutring (così chiamato
per l'abitudine che aveva di nascondere il fucile mitragliatore nella
custodia di un violino, ndr). Negli anni Sessanta, salvo eccezioni, la
criminalità è figlia dei ladri di pollo del dopoguerra. Negli anni
Settanta la criminalità si organizza, ma anche se non si organizza fa in
modo che si creino imitatori di bassa leva, ma più pericolosi perché
non organizzati. Negli anni Ottanta la criminalità è indotta dalla
scoperta della cocaina, mentre oggi te la tirano dietro. Negli anni
Novanta i "cosiddetti" cattivi erano i marocchini e il brutto è che era
considerato tale chiunque: ivoriano, nigeriano, etiope … che fosse.
Successivamente il pericolo è diventato "albanese". Tant'è vero che
Erika e Omar, dopo aver compiuto l'atroce delitto, per scaricare le loro
colpe dissero che gli assassini erano albanesi. Oggi diremmo romeni.
Ogni dieci anni insomma cambia la nazionalizzazione del crimine
perfetto. Oggi è chiaro che è la nascita ad imprimere la lettera
scarlatta, distinzione di infamia, ma è altrettanto vero che stampa,
realtà e costume purtroppo segnano la moda. Faccio un esempio: nel 1991
venni nominato Sceriffo di Cattolica, ossia detective comunale,
dall'allora sindaco Gianfranco Micucci, uomo di genio e grande
provocatore. La diffusione del crimine era legata alla camorra e chi
avrebbe dovuto non se ne occupava. Ebbene: in sei mesi su tutto il
litorale adriatico riuscii a far fare 106 arresti. Dopodiché restituii
la stella. Tutto ciò dimostra che, quando c'è l'elasticità di pensiero,
il pensiero diventa azione e le connivenze (che purtroppo esistono)
possono essere spazzate via. Risultato finale: vent'anni fa mi sono
scontrato ben prima di Saviano con le infiltrazioni camorristiche, oggi -
le mode sono mode - dovrei confrontarmi con le mafie russe». Niente di nuovo sotto il sole allora?«Niente
di nuovo sotto il fronte occidentale, ma molto di nuovo sotto il fronte
orientale. Del resto, se penso a Cattolica, mi sono reso conto che, a
distanza di anni, i risultati positivi raggiunti avrebbero potuto essere
vanificati dal fatto che, nonostante la scorza dura dei cattolichini,
essendo Cattolica una città estiva, sarebbe diventata un gustoso boccone
per i criminali dell'Est. Fortunatamente di recente ho incontrato il
maresciallo dei Carabinieri e il comandante della Marina del porto e
ogni dubbio è stato fugato: sono due persone sulle quali scommetterei le
mie due palle». E dopo una pausa aggiunge: «In un contesto più
generale credo però che un'eccessiva militarizzazione possa diventare
altrettanto pericolosa del cancro che deve estirpare. La regola alla
fine è sempre quella: usare la forza anziché la violenza; usare
l'intelligenza anziché il pregiudizio; usare il controllo su chi deve
essere controllato». Pinketts, se lei fosse lo sceriffo d'Italia che sceriffo sarebbe?«Sarei
un incrocio tra il prefetto Mori e l'ispettore Callaghan, tra Joe
Petrosino e Charles Bronson. Ma non lo farei: ci sarebbero troppi
effetti collaterali per cui "mi impiccherebbero più in alto", come Clint
Eastwood o come un noto statista in piazzale Loreto». Siamo sopraffatti?«Siamo
sopraffatti, ma potenzialmente pronti e in grado di rispondere. Penso a
preti come don Gino Rigoldi, che dal Beccaria cerca di trovare contatti
umani su realtà suburbane che purtroppo sono urbane. La linea dura
serve assolutamente col criminale Dop. I miti vanno smantellati. I
nuclei famigliari di forte presenza criminale vanno seguiti e
perseguiti, ma mai perseguitati. Un poliziotto che ha a che fare con una
situazione di radicata criminalità per tradizione familiare deve essere
un po' "assistente sociale" (capire e affrontare il disagio)
soprattutto con le giovani generazioni di criminali in erba. E comunque
non dimentichiamo mai che la criminalità nasce dall'evidenza della
povertà e dal miraggio di una ricchezza facile. C'è un reale allarme sicurezza?«Sì,
ma dipende da come la si gestisce. Lo spiego con una frase tratta dal
mio libro "Lazzaro vieni fuori": "Se metti una divisa addosso a un
imbecille farà di tutto perché ci appiccichino una medaglia"». Come vede il futuro?«Penso che abbiano ragione i Maya e spero che l'articolo esca entro il 21 dicembre».
Secolo d'Italia del 22/09/2012
|