4/29/2010
4/28/2010
Milano: Bando di contributi ai giornali di zona
Avviato il "Bando per l'erogazione di contributi per il sostegno dell'editoria e dell'informazione periodica locale nel Comune di Milano". Entrando nel dettaglio il Bando è stato pubblicato sul sito internet il 26/04/2010; Inviato/Pubblicato alla/sulla Gazzetta Ufficiale il 24/04/2010 e il Termine di consegna delle domande di partecipazione e il Termine di consegna delle domande di partecipazione sono le ore 15.30 del 31 maggio. Il bando è a sportello fino all'esaurimento delle risorse stanziate pari a 20.000€. Per i dettagli segui il collegamento...
4/26/2010
Dovere di cronaca - l'intervento di Gianfranco Fini all'Assemblea nazionale del PDL
Da oggi nel Pdl cambia tutto
Ringrazio il presidente del partito e tutti gli amici della direzione nazionale e dei gruppi parlamentari, e credo che questa riunione sia un appuntamento utile e per certi aspetti indispensabile per fare chiarezza. Ce n’è necessità per il doveroso rispetto che ognuno deve a se stesso e direi ancor di più per il rispetto che tutti insieme dobbiamo agli italiani. ..... CONTINUA A LEGGERE...
4/23/2010
Roberto Formigoni proclamato ufficialmente presidente
L'ufficio elettorale della Corte d'appello di Milano ha proclamato giovedì 22 aprile Roberto Formigoni presidente della Giunta della Regione Lombardia ed eletti insieme con lui i primi sette consiglieri della lista "Per la Lombardia". La comunicazione ufficiale è stata inviata direttamente al presidente Formigoni. "Da oggi - ha commentato Formigoni - ho 10 giorni di tempo per dar vita alla Giunta, ma vedrò di accelerare".
Gianfranco Fini: «Attenti al centralismo carismatico»
«Al nord siamo diventati la fotocopia della Lega, l'identità del Carroccio è chiara, la nostra al nord non lo è. Appiattirsi sulle posizioni di Bossi è pericoloso, nel centrosud sono preoccupati per l'influenza della Lega», è uno dei passaggi del discorso di Gianfranco Fini alla direzione nazionale del Pdl che più ha innervosito Silvio Berlusconi. E ancora: «Sull'immigrazione dico le cose che dicono i partiti popolari europei. Dire altre cose significa compiacere la Lega» continua Fini, con un Berlusconi che appare sempre più infastidito. E allora Fini gli chiede, secco: «Berlusconi credi sul serio che la lista del Pdl a Roma non sia stata presenta per un complotto?» dice Fini. Replica del premier che annuisce con la testa «Oggi le cose cambiano per il Pdl – ha proseguito Gianfranco Fini – c'è una maggioranza che condivide in toto le cose fatte da Berlusconi e una minoranza che non le condivide. Non siamo in cerca di potere, anzi chi è con me ha messo in conto di perdere una fetta» «Attenti al centralismo carismatico» scandisce Fini. «Non credo che la libertà di opinione possa rappresentare il venir meno alla lealtà - continua Fini - all'interno del Pdl cui sono indicazioni diverse da quelle che vanno per la maggiore» «Berlusconi, te lo dico in faccia, il tradimento non è nell'animo di chi critica in privato», dice Fini. Berlusconi sbotta: «Non mi attribuire cose che non ho mai detto». Fini insiste: «Hai diritto di replica, lo eserciterai. Non è alto tradimento dire che certe cose le possiamo fare meglio, e uscire faticosamete dal coro e non dire che tutto va bene. Non è possibile derubricare opinioni diverse come mere opinioni di carattere personale: non sono le mie bizze, non sono geloso di Berlusconi. Dico quello che penso e lo faccio da mesi».
4/21/2010
Le ragioni finiane _ di Giuseppe Valditara
Tranquilli: da convinto seguace di Cristo non potrei mai essere un kamikaze. Semmai, a differenza di altri, ho un lavoro che mi piace, quello di professore universitario, e due bambini che adoro e che a causa del mio lavoro di parlamentare mi vedono molto poco: dunque se sostenere le mie idee mi costerà la ricandidatura non cadrò in depressione, nè mi iscriverò al sindacato che tutela i maggiordomi,gli autisti, o i lustrascarpe, senza nulla togliere alla nobiltà di questi lavori. Una cosa ci tengo a dire: in politica rispetto chiunque non la pensi come me, e pretendo altrettanto rispetto per le mie idee. Se non ricordo male, dovrebbe essere questa l'essenza del pensiero liberale e democratico.Dato che nè io, nè gli altri colleghi "finiani" abbiamo istinti suicidi, vi spiego in poche parole che cosa vogliamo.Innanzitutto un Pdl che sappia essere il traino della politica riformista del Paese, realizzando gli impegni presi con gli elettori e magari riprendendo quello spirito liberale che lo aveva caratterizzato fin dal 1994. Non mi piace Colbert, preferisco Adam Smith. E allora se abbiamo promesso di abbassare la spesa pubblica per poter trovare i soldi per ridurre le tasse sulle famiglie, sulle imprese, sulla casa, quell'impegno dobbiamo mantenerlo. Magari iniziando a sopprimere le province ed ad accorpare qualcuno degli 8100 comuni italiani (altra promessa elettorale). So che la Lega non è più d'accordo, ma noi dobbiamo spiegare agli amici della Lega che loro sono un prezioso alleato, ma non sono il socio di maggioranza. E se non ricordo male è stata anche una battaglia di Libero. E ancora: Prodi ha dilapidato 12,1 miliardi di euro per ripianare i debiti sanitari di 5 regioni, nello scorso novembre anche noi abbiamo stanziato per la stessa finalità altri 4,5 miliardi. Negli ultimi 5 anni le spese per acquisti nella sanità sono aumentate del 50%. E' ottimo il federalismo fiscale, ma inizierà a funzionare fra 5 anni, se tutto andrà bene. Non possiamo aspettare 5 anni perchè una scatola di cerotti in Calabria non costi più 100 volte la media nazionale!Le riforme istituzionali sono importanti, per me lo sono di più quelle economiche, in ogni caso non possiamo accettare che il buon Calderoli porti la bozza di riforma sul tavolo del presidente Napolitano e i presidenti del Consiglio e della Camera lo vengano a sapere dalle agenzie di stampa.La Lega nelle scorse settimane ha dichiarato che vuole la presidenza del consiglio per il 2013, il sindaco di Milano, il coordinamento delle riforme, le banche del Nord, persino il sindaco di Napoli. E a trattare con l'opposizione? "Ghe pensi mi", ha detto il senatur. Ciumbia! la prossima volta si prenderà anche il seggio del senatore più filoberlusconiano del Parlamento, che rischia quello sì, di questo passo, di fare la fine del kamikaze, ma che non ha il coraggio di denunciare pubblicamente quello che ci dice in privato. E allora perchè "rompiamo le scatole"? Perchè chiediamo un luogo nel partito in cui di queste cose si possa discutere, un posto dove quel 38% di elettori Pdl che stando a Mannheimer preferisce Fini a Berlusconi possa sentire rappresentate le proprie idee, le proprie aspirazioni, i propri sogni. In fondo, Fini sta facendo quello che dovrebbe fare un vero liberale: chiedere che in un grande partito ci si confronti, si discuta, si presti attenzione anche alle ragioni magaridi una minoranza, che però ha diritto di sentirsi parte a tutti gli effetti di un grande progetto di rilancio del Paese.Per concludere, saremo anche quattro parlamentari sfigati e senza seguito (salvo sorprese....), ma intanto grazie al buon Gianfranco, e alla tenacia di chi non lo ha abbandonato, giovedì vivremo per la prima volta nella breve storia del Pdl una giornata emozionante: si confronteranno ai massimi livelli due posizioni, quella del Presidente del Consiglio e quella del Presidente della Camera. Nel silenzio di quella grande assise aleggerà realmente lo spirito che dovrebbe sempre animare il nostro partito, quello della libertà.
4/17/2010
MARZIO TREMAGLIA (1959-1995)
L’eredità di Marzio Tremaglia (1959-1995)
Milano sabato 17 e domenica 18 aprile 2010
Il 22 aprile correrà l'anniversario del primo decennale della morte di Marzio Tremaglia, Assessore alla Cultura della Regione Lombardia dal 1995. Il suo esempio di credente ed il suo lavoro di amministratore costituiscono oggi un’eredità preziosa per chi desidera “guardare oltre” gli attuali scenari politico/culturali. Lo ricorda, a dieci anni dalla prematura scomparsa, la Provincia di Milano, per iniziativa del Presidente On. Guido Podestà e del Vice Presidente e Assessore alla Cultura, Novo Umberto Maerna, in collaborazione con Ares/Associazione Ricerche e Studi e la Fondazione Tremaglia e con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano. Sabato 17 aprile alle 18.30, alla Basilica di San Babila (Piazza San Babila, Milano), verrà celebrata una messa in suffragio. Domenica 18 aprile, dalle 10.30, nella Sala Affreschi di Palazzo Isimbardi (Via Vivaio 1, Milano) si terrà una giornata di studi per ricordarne la figura e l’opera. Alla giornata di studi, dopo l’apertura dei lavori con un saluto dell’On. Guido Podestà, Presidente della Provincia di Milano e Novo Umberto Maerna, Vice Presidente e Assessore alla Cultura, interverranno: On. Massimo Corsaro, deputato in Parlamento - Cesare Cavalleri, Associazione Ares - Gianfranco de Turris, giornalista RAI - Luca Gallesi, Fondazione Marzio Tremaglia - Giorgio Galli, Università degli Studi di Milano - Luciano Garibaldi, giornalista e scrittore - Gabriele Mazzotta, Fondazione Mazzotta - Giuseppe Parlato, Università San Pio V - Pietro Petraroia, Regione Lombardia - Claudio Risè, Fondazione Piccolo Teatro - Stenio Solinas, giornalista de il Giornale - Marcello Veneziani, giornalista de il Giornale - Stefano Zecchi, Università degli Studi di Milano.Ingresso libero.
Il "Credo" di Marzio Tremaglia
"Credo nei valori del radicamento, della identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato, ma necessita di dimensioni pià alte e diverse. Penso che l'apertura al Sacro e al Bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione tipica della vita che si riassume nel senso dell'onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico, e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà".
Milano sabato 17 e domenica 18 aprile 2010
Il 22 aprile correrà l'anniversario del primo decennale della morte di Marzio Tremaglia, Assessore alla Cultura della Regione Lombardia dal 1995. Il suo esempio di credente ed il suo lavoro di amministratore costituiscono oggi un’eredità preziosa per chi desidera “guardare oltre” gli attuali scenari politico/culturali. Lo ricorda, a dieci anni dalla prematura scomparsa, la Provincia di Milano, per iniziativa del Presidente On. Guido Podestà e del Vice Presidente e Assessore alla Cultura, Novo Umberto Maerna, in collaborazione con Ares/Associazione Ricerche e Studi e la Fondazione Tremaglia e con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano. Sabato 17 aprile alle 18.30, alla Basilica di San Babila (Piazza San Babila, Milano), verrà celebrata una messa in suffragio. Domenica 18 aprile, dalle 10.30, nella Sala Affreschi di Palazzo Isimbardi (Via Vivaio 1, Milano) si terrà una giornata di studi per ricordarne la figura e l’opera. Alla giornata di studi, dopo l’apertura dei lavori con un saluto dell’On. Guido Podestà, Presidente della Provincia di Milano e Novo Umberto Maerna, Vice Presidente e Assessore alla Cultura, interverranno: On. Massimo Corsaro, deputato in Parlamento - Cesare Cavalleri, Associazione Ares - Gianfranco de Turris, giornalista RAI - Luca Gallesi, Fondazione Marzio Tremaglia - Giorgio Galli, Università degli Studi di Milano - Luciano Garibaldi, giornalista e scrittore - Gabriele Mazzotta, Fondazione Mazzotta - Giuseppe Parlato, Università San Pio V - Pietro Petraroia, Regione Lombardia - Claudio Risè, Fondazione Piccolo Teatro - Stenio Solinas, giornalista de il Giornale - Marcello Veneziani, giornalista de il Giornale - Stefano Zecchi, Università degli Studi di Milano.Ingresso libero.
Il "Credo" di Marzio Tremaglia
"Credo nei valori del radicamento, della identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato, ma necessita di dimensioni pià alte e diverse. Penso che l'apertura al Sacro e al Bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione tipica della vita che si riassume nel senso dell'onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico, e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà".
4/16/2010
FINI ACCOGLIE L'INVITO INDIRIZZATO DA LOMARTIRE AL PDL DI AVERE PIU' CORAGGIO
Ora si gioca a carte scoperte, di Flavia Perina
Non è solo la partita delle riforme, non è solo il rapporto con la Lega, il Sud, lo sviluppo, il diritto al dibattito interno, l'irritazione per certe esibizioni cesariste. Non è più la tanto celebrata differenza antropologica tra il tycoon che si è fatto premier e l'ex-ragazzo di Bologna che fa politica dall'adolescenza. Nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dai media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di rupture, di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà. Una delle preoccupazioni principali dei tanti parlamentari "ex An" che ieri si sono affacciati nello studio di Fini per avere notizie e discuterne, era quella che la scelta di aprire una partita trasparente e alla luce del sole con Berlusconi fosse interpretata dai media con il consueto stereotipo del "tradimento", dell'ingrato che morde la mano che lo ha allevato. Un timore legittimo, visti i precedenti di criminalizzazione di ogni accenno di dibattito, di ogni spunto di riflessione non coincidente con il puro "sissignore". Ma anche un complesso da superare, una volta per tutte. Il mondo che Gianfranco Fini ha portato nel "mare aperto del Pdl", invitandolo a fare politica finalmente in un contesto maggioritario, fuori dall'antico schema della minoranza assediata, ha tutte le qualità e i numeri per chiedere rispetto e agibilità: quando esprime un'idea come quando si deve concordare una lista. È un mondo che quando parla di economia non può accontentarsi di argomentare la tesi "meno male che c'è Tremonti", perché ha una sua analisi e sue specifiche proposte che vorrebbe vedere almeno ascoltate, se non discusse. È un mondo che quando parla di legalità ha in mente Borsellino e non la tempistica del processo Mills. È un mondo che se parla di giovani, e scuola, e precari, non si accontenta di dire "abbiamo fatto la rivoluzione del merito" perché sa che non è vero, che l'Italia è uno dei Paesi più immobili d'Europa e che se non si rimette in moto l'ascensore sociale ci perderemo per strada una generazione intera. È un mondo che è cresciuto nel più assoluto rispetto dell'unità nazionale e trova difficile inghiottire i rospi di certe provocazioni leghiste, né capisce perché dovrebbe farlo: la Lega ha al Nord il 13 per cento, circa quanto il vecchio Msi aveva a livello nazionale, e se si "spalma" questa percentuale su tutta Italia ha il 4, forse il 5 per cento. Le corsie preferenziali che le sono state aperte sono numericamente immotivate e politicamente disastrose per chi, in Veneto o in Lombardia, deve difendere le liste del Pdl dalla concorrenza del Carroccio. Un anno fa, appoggiando senza riserve la scelta del nuovo partito unitario, la metafora che noi del Secolo usammo fu: ora chi ha più filo da tessere, tessa. Scommettavamo su noi stessi, sulle nostre capacità e competenze, sulla qualità e moralità della nostra classe dirigente. Ieri abbiamo visto uno come Vincenzo Zaccheo, sindaco di Latina dove il Msi era maggioranza relativa già nel ‘93, prima di An, mandato a casa dalle manovre del senatore Claudio Fazzone, padrino politico di Fondi, un Comune indicato dal Prefetto (non da Santoro o Floris) come infiltrato dai casalesi e candidato da Maroni (non dalla Gabanelli o dalla Dandini) allo scioglimento e al commissariamento. Dov'è la tela che dovremmo tessere? Dove il luogo e il modo di far valere le nostre idee e le nostra capacità? Su questo giornale, per fare qualche esempio a caso, abbiamo dovuto difendere una come Renata Polverini dall'accusa di portare una giacca rossa. Uno come Fabio Granata dall'accusa di essersi iscritto al popolo viola. Italo Bocchino ha scoperto di essere stato seguito dai servizi. Della sottoscritta si è scritto che «ha tradito Rauti per un posto in Parlamento», poltrona che ha avuto quindici anni dopo l'uscita di Rauti dal partito. E potremmo continuare per mille righe. Ecco, questo è il nocciolo della partita. Poi, gli appassionati si dedichino pure ai retroscena, alla conta dei numeri, al gioco delle ricuciture possibili. Il comunicato diffuso ieri da Gianfranco Fini ha chiarito che, comunque vada, sarà garantito pieno sostegno al governo per tutta la legislatura: anche questo - la lealtà - è elemento distintivo del nostro dna, irrobustito da antiche esperienze scissioniste che radicarono tanti anni fa il disprezzo per la categoria del tradimento. Su tutto il resto, finalmente si gioca a carte scoperte.
Non è solo la partita delle riforme, non è solo il rapporto con la Lega, il Sud, lo sviluppo, il diritto al dibattito interno, l'irritazione per certe esibizioni cesariste. Non è più la tanto celebrata differenza antropologica tra il tycoon che si è fatto premier e l'ex-ragazzo di Bologna che fa politica dall'adolescenza. Nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dai media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di rupture, di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà. Una delle preoccupazioni principali dei tanti parlamentari "ex An" che ieri si sono affacciati nello studio di Fini per avere notizie e discuterne, era quella che la scelta di aprire una partita trasparente e alla luce del sole con Berlusconi fosse interpretata dai media con il consueto stereotipo del "tradimento", dell'ingrato che morde la mano che lo ha allevato. Un timore legittimo, visti i precedenti di criminalizzazione di ogni accenno di dibattito, di ogni spunto di riflessione non coincidente con il puro "sissignore". Ma anche un complesso da superare, una volta per tutte. Il mondo che Gianfranco Fini ha portato nel "mare aperto del Pdl", invitandolo a fare politica finalmente in un contesto maggioritario, fuori dall'antico schema della minoranza assediata, ha tutte le qualità e i numeri per chiedere rispetto e agibilità: quando esprime un'idea come quando si deve concordare una lista. È un mondo che quando parla di economia non può accontentarsi di argomentare la tesi "meno male che c'è Tremonti", perché ha una sua analisi e sue specifiche proposte che vorrebbe vedere almeno ascoltate, se non discusse. È un mondo che quando parla di legalità ha in mente Borsellino e non la tempistica del processo Mills. È un mondo che se parla di giovani, e scuola, e precari, non si accontenta di dire "abbiamo fatto la rivoluzione del merito" perché sa che non è vero, che l'Italia è uno dei Paesi più immobili d'Europa e che se non si rimette in moto l'ascensore sociale ci perderemo per strada una generazione intera. È un mondo che è cresciuto nel più assoluto rispetto dell'unità nazionale e trova difficile inghiottire i rospi di certe provocazioni leghiste, né capisce perché dovrebbe farlo: la Lega ha al Nord il 13 per cento, circa quanto il vecchio Msi aveva a livello nazionale, e se si "spalma" questa percentuale su tutta Italia ha il 4, forse il 5 per cento. Le corsie preferenziali che le sono state aperte sono numericamente immotivate e politicamente disastrose per chi, in Veneto o in Lombardia, deve difendere le liste del Pdl dalla concorrenza del Carroccio. Un anno fa, appoggiando senza riserve la scelta del nuovo partito unitario, la metafora che noi del Secolo usammo fu: ora chi ha più filo da tessere, tessa. Scommettavamo su noi stessi, sulle nostre capacità e competenze, sulla qualità e moralità della nostra classe dirigente. Ieri abbiamo visto uno come Vincenzo Zaccheo, sindaco di Latina dove il Msi era maggioranza relativa già nel ‘93, prima di An, mandato a casa dalle manovre del senatore Claudio Fazzone, padrino politico di Fondi, un Comune indicato dal Prefetto (non da Santoro o Floris) come infiltrato dai casalesi e candidato da Maroni (non dalla Gabanelli o dalla Dandini) allo scioglimento e al commissariamento. Dov'è la tela che dovremmo tessere? Dove il luogo e il modo di far valere le nostre idee e le nostra capacità? Su questo giornale, per fare qualche esempio a caso, abbiamo dovuto difendere una come Renata Polverini dall'accusa di portare una giacca rossa. Uno come Fabio Granata dall'accusa di essersi iscritto al popolo viola. Italo Bocchino ha scoperto di essere stato seguito dai servizi. Della sottoscritta si è scritto che «ha tradito Rauti per un posto in Parlamento», poltrona che ha avuto quindici anni dopo l'uscita di Rauti dal partito. E potremmo continuare per mille righe. Ecco, questo è il nocciolo della partita. Poi, gli appassionati si dedichino pure ai retroscena, alla conta dei numeri, al gioco delle ricuciture possibili. Il comunicato diffuso ieri da Gianfranco Fini ha chiarito che, comunque vada, sarà garantito pieno sostegno al governo per tutta la legislatura: anche questo - la lealtà - è elemento distintivo del nostro dna, irrobustito da antiche esperienze scissioniste che radicarono tanti anni fa il disprezzo per la categoria del tradimento. Su tutto il resto, finalmente si gioca a carte scoperte.
Dovere di cronaca sull'incontro Fini - Berlusconi
POL:FINI A BERLUSCONI,CHIARISCI O FARO'MIO GRUPPO; E'SCONTRO/ANSA2010-04-15 23:03 FINI A BERLUSCONI,CHIARISCI O FARO'MIO GRUPPO;E'SCONTRO/ANSA PREMIER, SE LO FA SI DOVREBBE DIMETTERE, SAREBBE AUTOGOL ROMA +++AGGIORNA E SOSTITUISCE IL SERVIZIO TRASMESSO ALLE 22.00+++ (di Milena Di Mauro) (ANSA) - ROMA, 15 APR - "Ho mangiato benissimo". Tre parole soltanto escono dalla sorridente bocca del premier Silvio Berlusconi, al termine della tesa
colazione a Montecitorio in cui si sfiora la rottura con il presidente della Camera Gianfranco Fini, che mette sul tavolo l'ipotesi concreta di fare suoi autonomi gruppi parlamentari (pronto il nome, 'Pdl-Italia) se non avra' le risposte politiche che da mesi va chiedendo. Fini imputa a premier, governo e Pdl di andare a traino della Lega, accusa accoratamente Berlusconi di non aver tenuto nella giusta considerazione la 'dote' portata dalla destra italiana al Pdl. Non voglio più essere dipinto come 'il traditore' dal tuo giornale di famiglia se chiedo di contare nel determinare la linea politica di un partito che ho fondato - si accalora Fini - non voglio buttare al macero cinquanta anni della storia politica della destra italiana e lasciare che a decidere sia solo tu con Umberto Bossi. Non voglio più che nel Pdl ci sia gente che tu metti in computo a me e che invece risponde solo ed esclusivamente a te. Non mi hai rispettato e consultato per scelte importanti, mi hai fatto perdere peso politico ed hai cercato di marginalizzarmi. E sulle riforme sono stato informato solo dopo di decisioni prese da te a cena con Bossi. Berlusconi ascolta e cerca, in un primo momento, di minimizzare, sdrammatizzare, garantire che sarà lui il punto di equilibrio e coesione nella coalizione. Vista la vittoria elettorale ed i tanti successi del governo, il Cavaliere vorrebbe convincere Fini che si deve andare avanti con ottimismo e tutto si aggiusterà. Ma è qui, davanti a quello che al presidente della Camera pare una sorta di 'comizio' elettorale, che il co-fondatore esplode: Non puoi dirmi ancora una volta che tutto va bene. O ti siedi con me e vediamo come fare in modo che io conti realmente nelle decisioni e nel Pdl, o sono pronto a fare miei gruppi parlamentari autonomi,perché ho la responsabilità dell'area politica che ho portato nel Pdl. Quello che Fini non dice è che il progetto dei gruppi - una 'extrema ratio', diranno i finiani stessi riuniti subito dopo nello studio del presidente - ha già concretezza: è già iniziata la 'conta' che porterebbe più di 50 deputati e 18 senatori a schierarsi senza esitazioni. Per non parlare della componente 'Generazione Italia', già chiamata in convention per il secondo weekend di maggio a Perugia a sostenere Fini. Berlusconi si accomiata chiedendo 48 ore di reciproca riflessione, due giorni per pensarci sù. Poi, ragionando con i suoi, il Cavaliere dice di aspettarsi che, per coerenza, se Fini é davvero intenzionato a formare gruppi parlamentari autonomi, di conseguenza pensi a dimettersi dalla presidenza della Camera. Così come i parlamentari che lo seguiranno, dovrebbero naturalmente tenere in conto che non saranno ricandidati. Intanto Fini mette nero su bianco una nota, nella quale sottolinea di non voler mettere in crisi maggioranza e governo. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - sgombra il campo da equivoci -. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise". Fini aspetta risposte, ma nei palazzi della politica la tensione è alle stelle. E non aiuta il siparietto del leader leghista Umberto Bossi, che proprio mentre è in corso il teso vertice Berlusconi-Fini, si presenta ad un passo dall'ingresso degli appartamenti del presidente a Montecitorio per dire "con Fini al momento non ci sono problemi" e rivendicare alla Lega il diritto di "prendersi una fetta delle banche", oltre agli assessorati all'Agricoltura in Lombardia, Piemonte e Veneto. In serata, i coordinatori del Pdl Bondi, La Russa e Verdini stigmatizzano le scelte di Fini, che definiscono "incomprensibili" ed esprimono "profonda amarezza". Quella amarezza che il presidente del Consiglio confida ai suoi parlando di autogol di Fini nel caso in cui dovesse decidere di portare alle estreme conseguenze le sue intenzioni. E' il presidente del Senato Renato Schifani a tentare di porre un argine alla complessa giornata: "Quando una maggioranza si divide - invita a riflettere - non resta che dare la parola agli elettori". Ma i finiani Bocchino e Ronchi replicano secchi: si vota solo quando non esiste più una maggioranza che
sostiene il governo. E questo non è.(ANSA). DU-GMB/IRA S0A QBXB
colazione a Montecitorio in cui si sfiora la rottura con il presidente della Camera Gianfranco Fini, che mette sul tavolo l'ipotesi concreta di fare suoi autonomi gruppi parlamentari (pronto il nome, 'Pdl-Italia) se non avra' le risposte politiche che da mesi va chiedendo. Fini imputa a premier, governo e Pdl di andare a traino della Lega, accusa accoratamente Berlusconi di non aver tenuto nella giusta considerazione la 'dote' portata dalla destra italiana al Pdl. Non voglio più essere dipinto come 'il traditore' dal tuo giornale di famiglia se chiedo di contare nel determinare la linea politica di un partito che ho fondato - si accalora Fini - non voglio buttare al macero cinquanta anni della storia politica della destra italiana e lasciare che a decidere sia solo tu con Umberto Bossi. Non voglio più che nel Pdl ci sia gente che tu metti in computo a me e che invece risponde solo ed esclusivamente a te. Non mi hai rispettato e consultato per scelte importanti, mi hai fatto perdere peso politico ed hai cercato di marginalizzarmi. E sulle riforme sono stato informato solo dopo di decisioni prese da te a cena con Bossi. Berlusconi ascolta e cerca, in un primo momento, di minimizzare, sdrammatizzare, garantire che sarà lui il punto di equilibrio e coesione nella coalizione. Vista la vittoria elettorale ed i tanti successi del governo, il Cavaliere vorrebbe convincere Fini che si deve andare avanti con ottimismo e tutto si aggiusterà. Ma è qui, davanti a quello che al presidente della Camera pare una sorta di 'comizio' elettorale, che il co-fondatore esplode: Non puoi dirmi ancora una volta che tutto va bene. O ti siedi con me e vediamo come fare in modo che io conti realmente nelle decisioni e nel Pdl, o sono pronto a fare miei gruppi parlamentari autonomi,perché ho la responsabilità dell'area politica che ho portato nel Pdl. Quello che Fini non dice è che il progetto dei gruppi - una 'extrema ratio', diranno i finiani stessi riuniti subito dopo nello studio del presidente - ha già concretezza: è già iniziata la 'conta' che porterebbe più di 50 deputati e 18 senatori a schierarsi senza esitazioni. Per non parlare della componente 'Generazione Italia', già chiamata in convention per il secondo weekend di maggio a Perugia a sostenere Fini. Berlusconi si accomiata chiedendo 48 ore di reciproca riflessione, due giorni per pensarci sù. Poi, ragionando con i suoi, il Cavaliere dice di aspettarsi che, per coerenza, se Fini é davvero intenzionato a formare gruppi parlamentari autonomi, di conseguenza pensi a dimettersi dalla presidenza della Camera. Così come i parlamentari che lo seguiranno, dovrebbero naturalmente tenere in conto che non saranno ricandidati. Intanto Fini mette nero su bianco una nota, nella quale sottolinea di non voler mettere in crisi maggioranza e governo. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - sgombra il campo da equivoci -. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise". Fini aspetta risposte, ma nei palazzi della politica la tensione è alle stelle. E non aiuta il siparietto del leader leghista Umberto Bossi, che proprio mentre è in corso il teso vertice Berlusconi-Fini, si presenta ad un passo dall'ingresso degli appartamenti del presidente a Montecitorio per dire "con Fini al momento non ci sono problemi" e rivendicare alla Lega il diritto di "prendersi una fetta delle banche", oltre agli assessorati all'Agricoltura in Lombardia, Piemonte e Veneto. In serata, i coordinatori del Pdl Bondi, La Russa e Verdini stigmatizzano le scelte di Fini, che definiscono "incomprensibili" ed esprimono "profonda amarezza". Quella amarezza che il presidente del Consiglio confida ai suoi parlando di autogol di Fini nel caso in cui dovesse decidere di portare alle estreme conseguenze le sue intenzioni. E' il presidente del Senato Renato Schifani a tentare di porre un argine alla complessa giornata: "Quando una maggioranza si divide - invita a riflettere - non resta che dare la parola agli elettori". Ma i finiani Bocchino e Ronchi replicano secchi: si vota solo quando non esiste più una maggioranza che
sostiene il governo. E questo non è.(ANSA). DU-GMB/IRA S0A QBXB
4/08/2010
"Pdl, fuori l’orgoglio" - Un articolo ricco di spunti
Pdl, fuori l’orgoglio. Dimostra che Milano non è della Lega - di Carlo Maria Lomartire
aiuto «Facciamo come la Lega. No, facciamo il contrario della Lega. Anzi andiamo contro la Lega. Insomma facciamo concorrenza alla Lega…». Dopo il conclamato successo del Carroccio alle elezioni regionali, è schizofrenica la reazione del Pdl, il partito che al Nord più ha pagato in voti il boom leghista - come avevamo agevolmente previsto. Delle reazioni del Pd, poi, inutile tenere conto: dal dalemiano «la Lega è una costola della sinistra» allo «xenofobi, razzisti e affamatori di bambini» di Rosi Bindi all’ipotesi di «un Pd del Nord» riproposta da Sergio Chiamparino, il disorientamento è totale.
Ma torniamo al Pdl. Grande è la confusione sotto il cielo azzurro. Preoccupazione principale dei finiani di Farefuturo, ossessionati dal desiderio di distinguersi (ma da chi?), sembra quella di «contrastare la Lega» per «ridurne il peso» nella maggioranza, in base alla convinzione che il Cavaliere abbia contribuito alla vittoria di Bossi assecondandone le pretese. Perciò si dia battaglia al Senatùr sul suo terreno, immigrazione e sicurezza, con una politica della cittadinanza e dell'integrazione di grande apertura. Col risultato di rendere Fini, come commenta qualche suo ex sodale, «uno che piace a chi non lo vota e votato da gente a cui non piace». Per La Russa, al contrario, bisogna battere una via ultraleghista: tolleranza zero su immigrazione clandestina e sicurezza. Intanto gli ex di Forza Italia sbandano, oscillano, traccheggiano subendo, non più solo al Nord, la concorrenza elettorale della Lega. Che non possono impedire perché va a beneficio della maggioranza e comunque non sanno contrastare.
Tutti, però, opposizione compresa, tessono le lodi del «radicamento» della Lega, del suo «rapporto col territorio», che a sinistra suscita nostalgie del vecchio Pci, delle sezioni, dei comizi in piazza e dei furgoncini con altoparlanti per le vie dei paesi. La preistoria della politica. E allora, per mettere almeno un punto fermo ed evitare tanta confusione di idee, giusto a proposito di «rapporto col territorio», i vertici locali del Pdl potrebbero ricordare gli interessi reali del Nord, della Lombardia e di Milano. In questi due anni il governo considerato «amico del Nord» si è mostrato invece molto più attento agli interessi di Roma e del Sud. Avrà avuto le sue buone ragioni - i disastri finanziari romani, palermitani e catanesi; la spazzatura napoletana, il terremoto abruzzese - ma è così. L’ultimo esempio è di questi giorni: i fondi per la ricerca medica quasi tutti all'ateneo Federico II Napoli dimenticando la Statale di Milano che di risultati ne produce infinitamente di più. Alla faccia del merito. In nome di una malintesa «solidarietà nazionale», i dirigenti azzurri a volte sembrano averlo dimenticato. La stessa Lega moltissimo ha concesso, a cominciare dai privilegi normativi e finanziari per «Roma Capitale» - ma non era «Roma ladrona»? - pur di far digerire il suo federalismo fiscale. Bene, è ora che il Pdl lombardo mostri un po’ di orgoglio e si occupi della Lombardia e di Milano. Del territorio, appunto: chiedendo, esigendo, pretendendo. E non va certo in questo senso la defezione dell’ultimo momento del sindaco Moratti dalla manifestazione dei 500 sindaci lombardi contro l’iniquo patto di stabilità che, di fatto, premia i comuni scialacquatori e punisce i virtuosi. Sempre alla faccia del merito.
Se davvero Bossi vuol fare il sindaco di Milano non basta dirgli di no, anche se l’altolà di Berlusconi dovrebbe essere più che sufficiente. Bisogna dimostrare - e non è difficile - che per questa città la Lega non ha fatto molto, a parte proclami contro l’immigrazione clandestina e per la sicurezza. Forse ha ragione Philippe Daverio, già assessore della non rimpianta giunta Formentini, quando dice che «Bossi detesta Milano». Che almeno i dirigenti del Pdl mostrino di amarla. Perfino, se necessario, manifestando contro il governo.
aiuto «Facciamo come la Lega. No, facciamo il contrario della Lega. Anzi andiamo contro la Lega. Insomma facciamo concorrenza alla Lega…». Dopo il conclamato successo del Carroccio alle elezioni regionali, è schizofrenica la reazione del Pdl, il partito che al Nord più ha pagato in voti il boom leghista - come avevamo agevolmente previsto. Delle reazioni del Pd, poi, inutile tenere conto: dal dalemiano «la Lega è una costola della sinistra» allo «xenofobi, razzisti e affamatori di bambini» di Rosi Bindi all’ipotesi di «un Pd del Nord» riproposta da Sergio Chiamparino, il disorientamento è totale.
Ma torniamo al Pdl. Grande è la confusione sotto il cielo azzurro. Preoccupazione principale dei finiani di Farefuturo, ossessionati dal desiderio di distinguersi (ma da chi?), sembra quella di «contrastare la Lega» per «ridurne il peso» nella maggioranza, in base alla convinzione che il Cavaliere abbia contribuito alla vittoria di Bossi assecondandone le pretese. Perciò si dia battaglia al Senatùr sul suo terreno, immigrazione e sicurezza, con una politica della cittadinanza e dell'integrazione di grande apertura. Col risultato di rendere Fini, come commenta qualche suo ex sodale, «uno che piace a chi non lo vota e votato da gente a cui non piace». Per La Russa, al contrario, bisogna battere una via ultraleghista: tolleranza zero su immigrazione clandestina e sicurezza. Intanto gli ex di Forza Italia sbandano, oscillano, traccheggiano subendo, non più solo al Nord, la concorrenza elettorale della Lega. Che non possono impedire perché va a beneficio della maggioranza e comunque non sanno contrastare.
Tutti, però, opposizione compresa, tessono le lodi del «radicamento» della Lega, del suo «rapporto col territorio», che a sinistra suscita nostalgie del vecchio Pci, delle sezioni, dei comizi in piazza e dei furgoncini con altoparlanti per le vie dei paesi. La preistoria della politica. E allora, per mettere almeno un punto fermo ed evitare tanta confusione di idee, giusto a proposito di «rapporto col territorio», i vertici locali del Pdl potrebbero ricordare gli interessi reali del Nord, della Lombardia e di Milano. In questi due anni il governo considerato «amico del Nord» si è mostrato invece molto più attento agli interessi di Roma e del Sud. Avrà avuto le sue buone ragioni - i disastri finanziari romani, palermitani e catanesi; la spazzatura napoletana, il terremoto abruzzese - ma è così. L’ultimo esempio è di questi giorni: i fondi per la ricerca medica quasi tutti all'ateneo Federico II Napoli dimenticando la Statale di Milano che di risultati ne produce infinitamente di più. Alla faccia del merito. In nome di una malintesa «solidarietà nazionale», i dirigenti azzurri a volte sembrano averlo dimenticato. La stessa Lega moltissimo ha concesso, a cominciare dai privilegi normativi e finanziari per «Roma Capitale» - ma non era «Roma ladrona»? - pur di far digerire il suo federalismo fiscale. Bene, è ora che il Pdl lombardo mostri un po’ di orgoglio e si occupi della Lombardia e di Milano. Del territorio, appunto: chiedendo, esigendo, pretendendo. E non va certo in questo senso la defezione dell’ultimo momento del sindaco Moratti dalla manifestazione dei 500 sindaci lombardi contro l’iniquo patto di stabilità che, di fatto, premia i comuni scialacquatori e punisce i virtuosi. Sempre alla faccia del merito.
Se davvero Bossi vuol fare il sindaco di Milano non basta dirgli di no, anche se l’altolà di Berlusconi dovrebbe essere più che sufficiente. Bisogna dimostrare - e non è difficile - che per questa città la Lega non ha fatto molto, a parte proclami contro l’immigrazione clandestina e per la sicurezza. Forse ha ragione Philippe Daverio, già assessore della non rimpianta giunta Formentini, quando dice che «Bossi detesta Milano». Che almeno i dirigenti del Pdl mostrino di amarla. Perfino, se necessario, manifestando contro il governo.
4/02/2010
"De Brunetta atque Castelli": Valditara, gli elettori sono stufi dei doppi incarichi
Ricevo e pubblico quest'articolo firmato dal Sen Valditara e pubblicato su generazioneitalia.it
La sconfitta di Brunetta a Venezia e di Castelli a Lecco ha destato molta sorpresa anche per il netto divario fra i voti presi dalla coalizione Pdl-Lega alle regionali e il voto ottenuto dai due candidati a sindaco. A Lecco il centrodestra aveva conseguito un tranquillizzante 55%, con peraltro il netto sorpasso della Lega ai danni del Pdl. A Venezia Zaia si era attestato su un 45%, alla pari con il candidato di centrosinistra. Sorprendentemente Castelli si è fermato al 44,2%, mentre ancora peggio è andata nella città della laguna dove Brunetta si è dovuto accontentare del 42,6%. La causa non può certo ravvisarsi nella impopolarità dei due personaggi. Si tratta di due bravi esponenti di governo che godono nei sondaggi di un buon rating. Appare del resto semplicistico scaricare la responsabilità dell'insuccesso sulle liti all'interno delle coalizioni: a Venezia la compagine era unita e veniva da 5 anni di dura opposizione. Lascerei perdere pure le accuse di tradimento. Nessuna segreteria politica è in grado di spostare con un silenzioso passaparola percentuali così rilevanti di voto. Credo che la principale motivazione dell'insuccesso dei due candidati del centrodestra vada ricercata in una premessa sbagliata che ha accomunato la campagna elettorale di entrambi: la pretesa, affermata con grande chiarezza da tutti e due, di voler fare il sindaco, e mantenere contemporaneamente le cariche di ministro e parlamentare. Lecco e Venezia hanno lanciato a mio avviso due segnali chiari contro la prassi ormai sempre più diffusa dei doppi e tripli incarichi politici. E' giunto il momento di dare una risposta concreta a questo segnale lanciato dagli elettori inserendo fra le future riforme istituzionali anche quella sulle incompatibilità. E' contrario ad una prassi di buon governo della cosa pubblica e ad una logica di separazione fra organismi che concorrono con distinte dignità a formare la repubblica, che si possano cumulare cariche di ministro,parlamentare, presidente di provincia, sindaco di grandi città. A ben vedere anche gli incarichi di ministro o sottosegretario e di parlamentare dovrebbero essere incompatibili, se è vero che in un sistema democratico fra le funzioni del parlamento vi dovrebbe essere anche quella di controllare il governo. Egualmente intollerabile è la prassi di inserire le stesse persone in una pluralità di cda di enti controllati da enti locali o regionali, consentendo così di cumulare indennità plurime. Ci sono persone che stanno addirittura in 8, 10 consigli di amministrazione di società municipalizzate. Al riguardo sarebbe bene che gli enti pubblici rendessero più trasparenti tutte le nomine con i rispettivi emolumenti. L'inserimento in più cda della stessa persona, sovente non dotata nemmeno di particolari competenze, è talvolta prodromica ad una politica di finanziamento occulto a correnti o a gruppi di potere locale e serve in ogni caso ad affermare forme di controllo clientelare sulla società. E' necessario che il Pdl lanci un segnale all'insegna di una politica finalmente meritocratica e trasparente, differenziandosi nella prassi dei governi locali e prevedendo rapidamente una riforma delle incompatibilità.
Giuseppe Valditara
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