4/16/2010

FINI ACCOGLIE L'INVITO INDIRIZZATO DA LOMARTIRE AL PDL DI AVERE PIU' CORAGGIO

Ora si gioca a carte scoperte, di Flavia Perina
Non è solo la partita delle riforme, non è solo il rapporto con la Lega, il Sud, lo sviluppo, il diritto al dibattito interno, l'irritazione per certe esibizioni cesariste. Non è più la tanto celebrata differenza antropologica tra il tycoon che si è fatto premier e l'ex-ragazzo di Bologna che fa politica dall'adolescenza. Nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dai media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di rupture, di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà. Una delle preoccupazioni principali dei tanti parlamentari "ex An" che ieri si sono affacciati nello studio di Fini per avere notizie e discuterne, era quella che la scelta di aprire una partita trasparente e alla luce del sole con Berlusconi fosse interpretata dai media con il consueto stereotipo del "tradimento", dell'ingrato che morde la mano che lo ha allevato. Un timore legittimo, visti i precedenti di criminalizzazione di ogni accenno di dibattito, di ogni spunto di riflessione non coincidente con il puro "sissignore". Ma anche un complesso da superare, una volta per tutte. Il mondo che Gianfranco Fini ha portato nel "mare aperto del Pdl", invitandolo a fare politica finalmente in un contesto maggioritario, fuori dall'antico schema della minoranza assediata, ha tutte le qualità e i numeri per chiedere rispetto e agibilità: quando esprime un'idea come quando si deve concordare una lista. È un mondo che quando parla di economia non può accontentarsi di argomentare la tesi "meno male che c'è Tremonti", perché ha una sua analisi e sue specifiche proposte che vorrebbe vedere almeno ascoltate, se non discusse. È un mondo che quando parla di legalità ha in mente Borsellino e non la tempistica del processo Mills. È un mondo che se parla di giovani, e scuola, e precari, non si accontenta di dire "abbiamo fatto la rivoluzione del merito" perché sa che non è vero, che l'Italia è uno dei Paesi più immobili d'Europa e che se non si rimette in moto l'ascensore sociale ci perderemo per strada una generazione intera. È un mondo che è cresciuto nel più assoluto rispetto dell'unità nazionale e trova difficile inghiottire i rospi di certe provocazioni leghiste, né capisce perché dovrebbe farlo: la Lega ha al Nord il 13 per cento, circa quanto il vecchio Msi aveva a livello nazionale, e se si "spalma" questa percentuale su tutta Italia ha il 4, forse il 5 per cento. Le corsie preferenziali che le sono state aperte sono numericamente immotivate e politicamente disastrose per chi, in Veneto o in Lombardia, deve difendere le liste del Pdl dalla concorrenza del Carroccio. Un anno fa, appoggiando senza riserve la scelta del nuovo partito unitario, la metafora che noi del Secolo usammo fu: ora chi ha più filo da tessere, tessa. Scommettavamo su noi stessi, sulle nostre capacità e competenze, sulla qualità e moralità della nostra classe dirigente. Ieri abbiamo visto uno come Vincenzo Zaccheo, sindaco di Latina dove il Msi era maggioranza relativa già nel ‘93, prima di An, mandato a casa dalle manovre del senatore Claudio Fazzone, padrino politico di Fondi, un Comune indicato dal Prefetto (non da Santoro o Floris) come infiltrato dai casalesi e candidato da Maroni (non dalla Gabanelli o dalla Dandini) allo scioglimento e al commissariamento. Dov'è la tela che dovremmo tessere? Dove il luogo e il modo di far valere le nostre idee e le nostra capacità? Su questo giornale, per fare qualche esempio a caso, abbiamo dovuto difendere una come Renata Polverini dall'accusa di portare una giacca rossa. Uno come Fabio Granata dall'accusa di essersi iscritto al popolo viola. Italo Bocchino ha scoperto di essere stato seguito dai servizi. Della sottoscritta si è scritto che «ha tradito Rauti per un posto in Parlamento», poltrona che ha avuto quindici anni dopo l'uscita di Rauti dal partito. E potremmo continuare per mille righe. Ecco, questo è il nocciolo della partita. Poi, gli appassionati si dedichino pure ai retroscena, alla conta dei numeri, al gioco delle ricuciture possibili. Il comunicato diffuso ieri da Gianfranco Fini ha chiarito che, comunque vada, sarà garantito pieno sostegno al governo per tutta la legislatura: anche questo - la lealtà - è elemento distintivo del nostro dna, irrobustito da antiche esperienze scissioniste che radicarono tanti anni fa il disprezzo per la categoria del tradimento. Su tutto il resto, finalmente si gioca a carte scoperte.

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