12/24/2010
11/05/2010
Violenza sulle donne: case di accoglienza nelle zone di Milano
Ieri sera, a distanza di un anno dalla delibera presentata in Consiglio di Zona 3 a Milano in cui chiedevo la realizzazione in ogni zona di Milano di almeno una casa di accoglienza per le donne vittime di abusi che abbiamo trovato il coraggio di denunciare la violenza, ho presentato una interrogazione per verificare, ex L 109/1996 sull'uso sociale dei beni confiscati alla mafia, la possibilità di convertire tali beni - nel caso in cui fossero disponibili sul territorio - in case di accoglienza per le donne violate e i loro figli e rendere finalmente operativa la delibera del Consiglio di Zona 3.
10/20/2010
10/08/2010
I lavoratori dentro i cda - Carlo Borsani
I lavoratori dentro i cda (Il Giornale del 07.10.2010)
Un tema caro alla Destra, soprattutto quando ancora si chiamava Msi, quello della partecipazione dei lavoratori nella definizione delle scelte dell’impresa in cui lavorano è tornato d'attualità. In diversi interventi è stato ricordato che in Germania i sindacati hanno la metà dei consigli di sorveglianza non in virtù di quote azionarie ma per il ruolo riconosciuto al lavoro, mentre, negli Usa, i sindacati sono entrati nei Consigli di Amministrazione per tutelare le azioni ricevute in cambio della cancellazione dei crediti sanitari.
Idee analoghe, il cui spirito ritrovo in una proposta di legge del senatore Pietro Ichino (Pd), furono sostenute nel secondo dopoguerra solo dal Msi ma, tacciate di corporativismo fascista, vennero frettolosamente espulse del dibattito culturale ed economico, nell’errata convinzione che fosse il conflitto, meglio se permanente, il motore dello sviluppo e del progresso.
La ricerca della contrapposizione a prescindere, ha segnato per lungo tempo le relazioni sindacali, comprese quelle del pubblico impiego ed, in particolare, della sanità pubblica. Dove, però, spesso riaffiora, come ho avuto modo di verificare direttamente nel corso della mia esperienza di Presidente della Fondazione Istituto Nazionale dei Tumori, con i sindacati mobilitati per mesi a raccogliere firme contro "la privatizzazione e lo smantellamento" dell'Istituto in conseguenza della sua trasformazione in fondazione.
Quella mobilitazione concorse a determinare l'eccentrica interpretazione, unica in tutto il panorama giuridico delle fondazioni in Italia, del carattere di diritto pubblico delle quattro Fondazioni sanitarie varate dalla Regione Lombardia. Si è persa, così, come è già stato scritto su queste pagine, una buona occasione per modernizzare la gestione della sanità pubblica, riconfermando, di fatto, una partecipazione senza responsabilità da parte dei sindacati dei lavoratori.
La sanità pubblica si trova di fronte a grandi sfide derivanti dall'allungamento delle aspettative di vita, dai grandi progressi delle conoscenze scientifiche, dello straordinario e sempre più costoso progresso tecnologico, ma anche da vincoli di bilancio sempre più stringenti che comportano un'oculata ed efficiente gestione di risorse per definizione scarse. E, allora, ecco la proposta, anche nella prospettiva della realizzazione della Città della Ricerca e della Salute: diamo rappresentanza ai lavoratori nel Consigli di Amministrazione delle Fondazioni, dando un ruolo istituzionale al lavoro, in cambio si chieda che venga rivisto il carattere di diritto pubblico delle stesse.
Il carattere pubblico delle Fondazioni, che è già garantito dalla legge e dagli statuti che prevedono la partecipazione di privati, ma in posizione di assoluta minoranza, non verrà meno, ma così si allargherà, assieme alla partecipazione, anche l’area della responsabilità. Si potrà anche verificare se le Fondazioni sono degli inutili carrozzoni o un'innovativa alternativa alle lentezze endemiche della pubblica amministrazione. Non so se questa proposta farà strada, ma, come diceva Giorgio Almirante, sarò felice se le mie idee fioriranno sulla bocca dei miei avversari.
*Presidente Fondazione IRCCS Istituto Neurologico
«Carlo Besta»
Idee analoghe, il cui spirito ritrovo in una proposta di legge del senatore Pietro Ichino (Pd), furono sostenute nel secondo dopoguerra solo dal Msi ma, tacciate di corporativismo fascista, vennero frettolosamente espulse del dibattito culturale ed economico, nell’errata convinzione che fosse il conflitto, meglio se permanente, il motore dello sviluppo e del progresso.
La ricerca della contrapposizione a prescindere, ha segnato per lungo tempo le relazioni sindacali, comprese quelle del pubblico impiego ed, in particolare, della sanità pubblica. Dove, però, spesso riaffiora, come ho avuto modo di verificare direttamente nel corso della mia esperienza di Presidente della Fondazione Istituto Nazionale dei Tumori, con i sindacati mobilitati per mesi a raccogliere firme contro "la privatizzazione e lo smantellamento" dell'Istituto in conseguenza della sua trasformazione in fondazione.
Quella mobilitazione concorse a determinare l'eccentrica interpretazione, unica in tutto il panorama giuridico delle fondazioni in Italia, del carattere di diritto pubblico delle quattro Fondazioni sanitarie varate dalla Regione Lombardia. Si è persa, così, come è già stato scritto su queste pagine, una buona occasione per modernizzare la gestione della sanità pubblica, riconfermando, di fatto, una partecipazione senza responsabilità da parte dei sindacati dei lavoratori.
La sanità pubblica si trova di fronte a grandi sfide derivanti dall'allungamento delle aspettative di vita, dai grandi progressi delle conoscenze scientifiche, dello straordinario e sempre più costoso progresso tecnologico, ma anche da vincoli di bilancio sempre più stringenti che comportano un'oculata ed efficiente gestione di risorse per definizione scarse. E, allora, ecco la proposta, anche nella prospettiva della realizzazione della Città della Ricerca e della Salute: diamo rappresentanza ai lavoratori nel Consigli di Amministrazione delle Fondazioni, dando un ruolo istituzionale al lavoro, in cambio si chieda che venga rivisto il carattere di diritto pubblico delle stesse.
Il carattere pubblico delle Fondazioni, che è già garantito dalla legge e dagli statuti che prevedono la partecipazione di privati, ma in posizione di assoluta minoranza, non verrà meno, ma così si allargherà, assieme alla partecipazione, anche l’area della responsabilità. Si potrà anche verificare se le Fondazioni sono degli inutili carrozzoni o un'innovativa alternativa alle lentezze endemiche della pubblica amministrazione. Non so se questa proposta farà strada, ma, come diceva Giorgio Almirante, sarò felice se le mie idee fioriranno sulla bocca dei miei avversari.
*Presidente Fondazione IRCCS Istituto Neurologico
«Carlo Besta»
10/05/2010
L'unità d'Italia dopo 150 anni: se ne parla a Milano con l'Associazione Borsani
L'Associazione Nazionale M.O.V.M. Carlo Borsani è lieta di invitarVi all'incontro - dibattito "L’unità d’Italia dopo 150 anni" che ha organizzato a Milano, nella Sala Alessi di Palazzo Marino (Piazza della Scala 1), venerdì 15 Ottobre 2010, ore 17.30. Sono previsti i saluti istituzionali di Riccardo De Corato, Stefano Di Martino e Carlo Fidanza; la relazione dello storico Luciano Garibaldi "Da Quarto a Teano" e a seguire gli interventi di Ignazio La Russa, Carlo Borsani, Federico Pizzi.
Coordina Franco Servello.
Coordina Franco Servello.
9/26/2010
9/23/2010
9/15/2010
Minimaratona a Milano - domenica 26 settembre
Ciao a tutti!
Domenica 26 settembre è in prossimità e come promesso eccovi il programma della seconda edizione della minimaratona che organizza la nostra amica Carla Perrotti.
Lo spirito che anima la minimaratona è dimostrare che la motivazione, la partecipazione e il sostegno reciproco sono i pilastri per superare anche barriere apparentemente insormontabili.
Parenti, amici, amici di amici, mamme e papà con passeggini, squadre di basket, rugby, hokey, pallavolo, calcio, calcetto, bocce, scacchi, bridge...etc...etc... etc...etc.. sono caldamente invitati a partecipare.
Il ritrovo è in Piazza Castello Domenica 26 settembre alle ore 10.
Inutile dire che più si è , meglio è.
Let-me knew, grazie
Benedetta
8/03/2010
7/11/2010
Tremonti, manovra economica, tagli, costi della politica e demagogia..uno spunto di rifessione
L' intervento "I costi della politica e i risparmi possibili" di Carlo Borsani (*)
Il dibattito sui costi della politica si intreccia con il rapporto tra spesa pubblica e prodotto interno lordo, ovvero tra quanto ci costa lo Stato, in tutte le sue articolazioni nazionali e locali, ed il valore delle ricchezza che il Paese produce in un anno. I costi della politica sicuramente incidono sull' ammontare della spesa pubblica aggregata, ma è fuorviante e demagogico sostenere che la soluzione dell' eccezionale debito e del deficit di bilancio pubblici possa venire solo intervenendo su quel versante. Sarebbe però altrettanto sbagliato rispondere con il «benaltrismo» di sinistra memoria. Ognuno è tenuto a guardare, in primo luogo, in casa propria per rimettere a posto i conti, usando quella «diligenza del buon padre di famiglia» che il Codice richiede nella gestione della cosa pubblica e non solo. La politica, intesa sia come istituzioni di rappresentanza, che di governo locali e nazionali, può infatti fare molto. Sul piano della rappresentanza è ormai unanime convinzione che il numero di senatori, deputati e, a scendere, consiglieri regionali, provinciali, comunali, di zona potrebbe tranquillamente essere ridotto in maniera significativa, con importanti risparmi, senza mettere in discussione la qualità della rappresentanza. Si potrebbe poi intervenire sulla razionalizzazione dei centri di spesa. Al riguardo penso ai piccoli Comuni. È vero che siamo il Paese dei cento o mille campanili, ma che in Italia ci siano oltre 8.000 Comuni ed in Lombardia circa 1.546, di cui due terzi circa con meno di 5.000 abitanti, è sicuramente un lusso che non ci possiamo più permettere. Anche perché non credo che, salvo documentate eccezioni, dovute alla posizione territoriale, l' accorpamento, ridurrebbe la qualità della democrazia e, soprattutto, peggiorerebbe la qualità dei servizi ai cittadini. Con questi risparmi, si potrebbe incominciare, a partire dalle realtà locali, a ridurre la pressione fiscale, a tutto vantaggio dei portafogli dei cittadini. Paradossalmente l' attuale situazione aiuterebbe ad affrontare una riflessione più razionale. Ma, se non ora, quando?
(*) Presidente Fondazione Neurologico Carlo Besta
Pagina 5 (4 luglio 2010) - Corriere della Sera
Il dibattito sui costi della politica si intreccia con il rapporto tra spesa pubblica e prodotto interno lordo, ovvero tra quanto ci costa lo Stato, in tutte le sue articolazioni nazionali e locali, ed il valore delle ricchezza che il Paese produce in un anno. I costi della politica sicuramente incidono sull' ammontare della spesa pubblica aggregata, ma è fuorviante e demagogico sostenere che la soluzione dell' eccezionale debito e del deficit di bilancio pubblici possa venire solo intervenendo su quel versante. Sarebbe però altrettanto sbagliato rispondere con il «benaltrismo» di sinistra memoria. Ognuno è tenuto a guardare, in primo luogo, in casa propria per rimettere a posto i conti, usando quella «diligenza del buon padre di famiglia» che il Codice richiede nella gestione della cosa pubblica e non solo. La politica, intesa sia come istituzioni di rappresentanza, che di governo locali e nazionali, può infatti fare molto. Sul piano della rappresentanza è ormai unanime convinzione che il numero di senatori, deputati e, a scendere, consiglieri regionali, provinciali, comunali, di zona potrebbe tranquillamente essere ridotto in maniera significativa, con importanti risparmi, senza mettere in discussione la qualità della rappresentanza. Si potrebbe poi intervenire sulla razionalizzazione dei centri di spesa. Al riguardo penso ai piccoli Comuni. È vero che siamo il Paese dei cento o mille campanili, ma che in Italia ci siano oltre 8.000 Comuni ed in Lombardia circa 1.546, di cui due terzi circa con meno di 5.000 abitanti, è sicuramente un lusso che non ci possiamo più permettere. Anche perché non credo che, salvo documentate eccezioni, dovute alla posizione territoriale, l' accorpamento, ridurrebbe la qualità della democrazia e, soprattutto, peggiorerebbe la qualità dei servizi ai cittadini. Con questi risparmi, si potrebbe incominciare, a partire dalle realtà locali, a ridurre la pressione fiscale, a tutto vantaggio dei portafogli dei cittadini. Paradossalmente l' attuale situazione aiuterebbe ad affrontare una riflessione più razionale. Ma, se non ora, quando?
(*) Presidente Fondazione Neurologico Carlo Besta
Pagina 5 (4 luglio 2010) - Corriere della Sera
6/11/2010
Tremonti ha ragione. Così come sono, i Consigli di Zona è meglio abolirli
Benedetta Borsani (Consigliere PDL Zona 3):
“Tremonti ha ragione. Così come sono,
i Consigli di Zona è meglio abolirli”
Secondo il Ministro Giulio Tremonti, i Consigli di Zona, organi del cosiddetto decentramento comunale, sono organi inutili che vanno smantellati, anche per contribuire a ridurre i costi della politica. Stante la loro attuale funzione, ritengo che sia particolarmente difficile contestarlo.
L’alternativa sarebbe quella di attribuire ai Consigli di Zona, come avviene già in alcune realtà, reali poteri e risorse su materie (es. autorizzazioni varie in materia di piccoli interventi edilizi, utilizzo e gestione di spazi pubblici, interventi di politica sociale) legate alle concrete esigenze di una determinata zona. Il loro costo attuale verrebbe compensato da una ancor più rilevante riduzione di costi sociali ed economici che, oggi, gravano direttamente sui cittadini. Essendo però difficile, in mancanza di una volontà politica, che ciò avvenga, allora è meglio chiudere definitivamente un’esperienza che a Milano non è mai decollata, attribuendo però delle specifiche responsabilità e deleghe ai Consiglieri comunali.
In base ai risultati elettorali, ad esempio, al Consigliere comunale di maggioranza che ha conseguito il maggior numero di preferenze in una determinata Zona, potrebbe essere conferita una sorta di rappresentanza degli interessi della stessa, mettendolo in condizione di potersi confrontare direttamente ed ottenere pubbliche risposte dal Sindaco e dagli Assessori competenti sulle questioni da Lui sollevate.
Non sarà una rivoluzione, ma almeno le Zone disporrebbero di una reale rappresentanza a livello cittadino.
Perché non cominciare a discutere delle possibili alternative in un’assemblea di tutti i Consiglieri di Zona?
Milano, 10 giugno 2010
“Tremonti ha ragione. Così come sono,
i Consigli di Zona è meglio abolirli”
Secondo il Ministro Giulio Tremonti, i Consigli di Zona, organi del cosiddetto decentramento comunale, sono organi inutili che vanno smantellati, anche per contribuire a ridurre i costi della politica. Stante la loro attuale funzione, ritengo che sia particolarmente difficile contestarlo.
L’alternativa sarebbe quella di attribuire ai Consigli di Zona, come avviene già in alcune realtà, reali poteri e risorse su materie (es. autorizzazioni varie in materia di piccoli interventi edilizi, utilizzo e gestione di spazi pubblici, interventi di politica sociale) legate alle concrete esigenze di una determinata zona. Il loro costo attuale verrebbe compensato da una ancor più rilevante riduzione di costi sociali ed economici che, oggi, gravano direttamente sui cittadini. Essendo però difficile, in mancanza di una volontà politica, che ciò avvenga, allora è meglio chiudere definitivamente un’esperienza che a Milano non è mai decollata, attribuendo però delle specifiche responsabilità e deleghe ai Consiglieri comunali.
In base ai risultati elettorali, ad esempio, al Consigliere comunale di maggioranza che ha conseguito il maggior numero di preferenze in una determinata Zona, potrebbe essere conferita una sorta di rappresentanza degli interessi della stessa, mettendolo in condizione di potersi confrontare direttamente ed ottenere pubbliche risposte dal Sindaco e dagli Assessori competenti sulle questioni da Lui sollevate.
Non sarà una rivoluzione, ma almeno le Zone disporrebbero di una reale rappresentanza a livello cittadino.
Perché non cominciare a discutere delle possibili alternative in un’assemblea di tutti i Consiglieri di Zona?
Milano, 10 giugno 2010
5/03/2010
Il Parrocco: accattonare è diseducativo
4/29/2010
4/28/2010
Milano: Bando di contributi ai giornali di zona
Avviato il "Bando per l'erogazione di contributi per il sostegno dell'editoria e dell'informazione periodica locale nel Comune di Milano". Entrando nel dettaglio il Bando è stato pubblicato sul sito internet il 26/04/2010; Inviato/Pubblicato alla/sulla Gazzetta Ufficiale il 24/04/2010 e il Termine di consegna delle domande di partecipazione e il Termine di consegna delle domande di partecipazione sono le ore 15.30 del 31 maggio. Il bando è a sportello fino all'esaurimento delle risorse stanziate pari a 20.000€. Per i dettagli segui il collegamento...
4/26/2010
Dovere di cronaca - l'intervento di Gianfranco Fini all'Assemblea nazionale del PDL
Da oggi nel Pdl cambia tutto
Ringrazio il presidente del partito e tutti gli amici della direzione nazionale e dei gruppi parlamentari, e credo che questa riunione sia un appuntamento utile e per certi aspetti indispensabile per fare chiarezza. Ce n’è necessità per il doveroso rispetto che ognuno deve a se stesso e direi ancor di più per il rispetto che tutti insieme dobbiamo agli italiani. ..... CONTINUA A LEGGERE...
4/23/2010
Roberto Formigoni proclamato ufficialmente presidente
L'ufficio elettorale della Corte d'appello di Milano ha proclamato giovedì 22 aprile Roberto Formigoni presidente della Giunta della Regione Lombardia ed eletti insieme con lui i primi sette consiglieri della lista "Per la Lombardia". La comunicazione ufficiale è stata inviata direttamente al presidente Formigoni. "Da oggi - ha commentato Formigoni - ho 10 giorni di tempo per dar vita alla Giunta, ma vedrò di accelerare".
Gianfranco Fini: «Attenti al centralismo carismatico»
«Al nord siamo diventati la fotocopia della Lega, l'identità del Carroccio è chiara, la nostra al nord non lo è. Appiattirsi sulle posizioni di Bossi è pericoloso, nel centrosud sono preoccupati per l'influenza della Lega», è uno dei passaggi del discorso di Gianfranco Fini alla direzione nazionale del Pdl che più ha innervosito Silvio Berlusconi. E ancora: «Sull'immigrazione dico le cose che dicono i partiti popolari europei. Dire altre cose significa compiacere la Lega» continua Fini, con un Berlusconi che appare sempre più infastidito. E allora Fini gli chiede, secco: «Berlusconi credi sul serio che la lista del Pdl a Roma non sia stata presenta per un complotto?» dice Fini. Replica del premier che annuisce con la testa «Oggi le cose cambiano per il Pdl – ha proseguito Gianfranco Fini – c'è una maggioranza che condivide in toto le cose fatte da Berlusconi e una minoranza che non le condivide. Non siamo in cerca di potere, anzi chi è con me ha messo in conto di perdere una fetta» «Attenti al centralismo carismatico» scandisce Fini. «Non credo che la libertà di opinione possa rappresentare il venir meno alla lealtà - continua Fini - all'interno del Pdl cui sono indicazioni diverse da quelle che vanno per la maggiore» «Berlusconi, te lo dico in faccia, il tradimento non è nell'animo di chi critica in privato», dice Fini. Berlusconi sbotta: «Non mi attribuire cose che non ho mai detto». Fini insiste: «Hai diritto di replica, lo eserciterai. Non è alto tradimento dire che certe cose le possiamo fare meglio, e uscire faticosamete dal coro e non dire che tutto va bene. Non è possibile derubricare opinioni diverse come mere opinioni di carattere personale: non sono le mie bizze, non sono geloso di Berlusconi. Dico quello che penso e lo faccio da mesi».
4/21/2010
Le ragioni finiane _ di Giuseppe Valditara
Tranquilli: da convinto seguace di Cristo non potrei mai essere un kamikaze. Semmai, a differenza di altri, ho un lavoro che mi piace, quello di professore universitario, e due bambini che adoro e che a causa del mio lavoro di parlamentare mi vedono molto poco: dunque se sostenere le mie idee mi costerà la ricandidatura non cadrò in depressione, nè mi iscriverò al sindacato che tutela i maggiordomi,gli autisti, o i lustrascarpe, senza nulla togliere alla nobiltà di questi lavori. Una cosa ci tengo a dire: in politica rispetto chiunque non la pensi come me, e pretendo altrettanto rispetto per le mie idee. Se non ricordo male, dovrebbe essere questa l'essenza del pensiero liberale e democratico.Dato che nè io, nè gli altri colleghi "finiani" abbiamo istinti suicidi, vi spiego in poche parole che cosa vogliamo.Innanzitutto un Pdl che sappia essere il traino della politica riformista del Paese, realizzando gli impegni presi con gli elettori e magari riprendendo quello spirito liberale che lo aveva caratterizzato fin dal 1994. Non mi piace Colbert, preferisco Adam Smith. E allora se abbiamo promesso di abbassare la spesa pubblica per poter trovare i soldi per ridurre le tasse sulle famiglie, sulle imprese, sulla casa, quell'impegno dobbiamo mantenerlo. Magari iniziando a sopprimere le province ed ad accorpare qualcuno degli 8100 comuni italiani (altra promessa elettorale). So che la Lega non è più d'accordo, ma noi dobbiamo spiegare agli amici della Lega che loro sono un prezioso alleato, ma non sono il socio di maggioranza. E se non ricordo male è stata anche una battaglia di Libero. E ancora: Prodi ha dilapidato 12,1 miliardi di euro per ripianare i debiti sanitari di 5 regioni, nello scorso novembre anche noi abbiamo stanziato per la stessa finalità altri 4,5 miliardi. Negli ultimi 5 anni le spese per acquisti nella sanità sono aumentate del 50%. E' ottimo il federalismo fiscale, ma inizierà a funzionare fra 5 anni, se tutto andrà bene. Non possiamo aspettare 5 anni perchè una scatola di cerotti in Calabria non costi più 100 volte la media nazionale!Le riforme istituzionali sono importanti, per me lo sono di più quelle economiche, in ogni caso non possiamo accettare che il buon Calderoli porti la bozza di riforma sul tavolo del presidente Napolitano e i presidenti del Consiglio e della Camera lo vengano a sapere dalle agenzie di stampa.La Lega nelle scorse settimane ha dichiarato che vuole la presidenza del consiglio per il 2013, il sindaco di Milano, il coordinamento delle riforme, le banche del Nord, persino il sindaco di Napoli. E a trattare con l'opposizione? "Ghe pensi mi", ha detto il senatur. Ciumbia! la prossima volta si prenderà anche il seggio del senatore più filoberlusconiano del Parlamento, che rischia quello sì, di questo passo, di fare la fine del kamikaze, ma che non ha il coraggio di denunciare pubblicamente quello che ci dice in privato. E allora perchè "rompiamo le scatole"? Perchè chiediamo un luogo nel partito in cui di queste cose si possa discutere, un posto dove quel 38% di elettori Pdl che stando a Mannheimer preferisce Fini a Berlusconi possa sentire rappresentate le proprie idee, le proprie aspirazioni, i propri sogni. In fondo, Fini sta facendo quello che dovrebbe fare un vero liberale: chiedere che in un grande partito ci si confronti, si discuta, si presti attenzione anche alle ragioni magaridi una minoranza, che però ha diritto di sentirsi parte a tutti gli effetti di un grande progetto di rilancio del Paese.Per concludere, saremo anche quattro parlamentari sfigati e senza seguito (salvo sorprese....), ma intanto grazie al buon Gianfranco, e alla tenacia di chi non lo ha abbandonato, giovedì vivremo per la prima volta nella breve storia del Pdl una giornata emozionante: si confronteranno ai massimi livelli due posizioni, quella del Presidente del Consiglio e quella del Presidente della Camera. Nel silenzio di quella grande assise aleggerà realmente lo spirito che dovrebbe sempre animare il nostro partito, quello della libertà.
4/17/2010
MARZIO TREMAGLIA (1959-1995)
L’eredità di Marzio Tremaglia (1959-1995)
Milano sabato 17 e domenica 18 aprile 2010
Il 22 aprile correrà l'anniversario del primo decennale della morte di Marzio Tremaglia, Assessore alla Cultura della Regione Lombardia dal 1995. Il suo esempio di credente ed il suo lavoro di amministratore costituiscono oggi un’eredità preziosa per chi desidera “guardare oltre” gli attuali scenari politico/culturali. Lo ricorda, a dieci anni dalla prematura scomparsa, la Provincia di Milano, per iniziativa del Presidente On. Guido Podestà e del Vice Presidente e Assessore alla Cultura, Novo Umberto Maerna, in collaborazione con Ares/Associazione Ricerche e Studi e la Fondazione Tremaglia e con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano. Sabato 17 aprile alle 18.30, alla Basilica di San Babila (Piazza San Babila, Milano), verrà celebrata una messa in suffragio. Domenica 18 aprile, dalle 10.30, nella Sala Affreschi di Palazzo Isimbardi (Via Vivaio 1, Milano) si terrà una giornata di studi per ricordarne la figura e l’opera. Alla giornata di studi, dopo l’apertura dei lavori con un saluto dell’On. Guido Podestà, Presidente della Provincia di Milano e Novo Umberto Maerna, Vice Presidente e Assessore alla Cultura, interverranno: On. Massimo Corsaro, deputato in Parlamento - Cesare Cavalleri, Associazione Ares - Gianfranco de Turris, giornalista RAI - Luca Gallesi, Fondazione Marzio Tremaglia - Giorgio Galli, Università degli Studi di Milano - Luciano Garibaldi, giornalista e scrittore - Gabriele Mazzotta, Fondazione Mazzotta - Giuseppe Parlato, Università San Pio V - Pietro Petraroia, Regione Lombardia - Claudio Risè, Fondazione Piccolo Teatro - Stenio Solinas, giornalista de il Giornale - Marcello Veneziani, giornalista de il Giornale - Stefano Zecchi, Università degli Studi di Milano.Ingresso libero.
Il "Credo" di Marzio Tremaglia
"Credo nei valori del radicamento, della identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato, ma necessita di dimensioni pià alte e diverse. Penso che l'apertura al Sacro e al Bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione tipica della vita che si riassume nel senso dell'onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico, e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà".
Milano sabato 17 e domenica 18 aprile 2010
Il 22 aprile correrà l'anniversario del primo decennale della morte di Marzio Tremaglia, Assessore alla Cultura della Regione Lombardia dal 1995. Il suo esempio di credente ed il suo lavoro di amministratore costituiscono oggi un’eredità preziosa per chi desidera “guardare oltre” gli attuali scenari politico/culturali. Lo ricorda, a dieci anni dalla prematura scomparsa, la Provincia di Milano, per iniziativa del Presidente On. Guido Podestà e del Vice Presidente e Assessore alla Cultura, Novo Umberto Maerna, in collaborazione con Ares/Associazione Ricerche e Studi e la Fondazione Tremaglia e con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano. Sabato 17 aprile alle 18.30, alla Basilica di San Babila (Piazza San Babila, Milano), verrà celebrata una messa in suffragio. Domenica 18 aprile, dalle 10.30, nella Sala Affreschi di Palazzo Isimbardi (Via Vivaio 1, Milano) si terrà una giornata di studi per ricordarne la figura e l’opera. Alla giornata di studi, dopo l’apertura dei lavori con un saluto dell’On. Guido Podestà, Presidente della Provincia di Milano e Novo Umberto Maerna, Vice Presidente e Assessore alla Cultura, interverranno: On. Massimo Corsaro, deputato in Parlamento - Cesare Cavalleri, Associazione Ares - Gianfranco de Turris, giornalista RAI - Luca Gallesi, Fondazione Marzio Tremaglia - Giorgio Galli, Università degli Studi di Milano - Luciano Garibaldi, giornalista e scrittore - Gabriele Mazzotta, Fondazione Mazzotta - Giuseppe Parlato, Università San Pio V - Pietro Petraroia, Regione Lombardia - Claudio Risè, Fondazione Piccolo Teatro - Stenio Solinas, giornalista de il Giornale - Marcello Veneziani, giornalista de il Giornale - Stefano Zecchi, Università degli Studi di Milano.Ingresso libero.
Il "Credo" di Marzio Tremaglia
"Credo nei valori del radicamento, della identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato, ma necessita di dimensioni pià alte e diverse. Penso che l'apertura al Sacro e al Bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione tipica della vita che si riassume nel senso dell'onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico, e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà".
4/16/2010
FINI ACCOGLIE L'INVITO INDIRIZZATO DA LOMARTIRE AL PDL DI AVERE PIU' CORAGGIO
Ora si gioca a carte scoperte, di Flavia Perina
Non è solo la partita delle riforme, non è solo il rapporto con la Lega, il Sud, lo sviluppo, il diritto al dibattito interno, l'irritazione per certe esibizioni cesariste. Non è più la tanto celebrata differenza antropologica tra il tycoon che si è fatto premier e l'ex-ragazzo di Bologna che fa politica dall'adolescenza. Nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dai media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di rupture, di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà. Una delle preoccupazioni principali dei tanti parlamentari "ex An" che ieri si sono affacciati nello studio di Fini per avere notizie e discuterne, era quella che la scelta di aprire una partita trasparente e alla luce del sole con Berlusconi fosse interpretata dai media con il consueto stereotipo del "tradimento", dell'ingrato che morde la mano che lo ha allevato. Un timore legittimo, visti i precedenti di criminalizzazione di ogni accenno di dibattito, di ogni spunto di riflessione non coincidente con il puro "sissignore". Ma anche un complesso da superare, una volta per tutte. Il mondo che Gianfranco Fini ha portato nel "mare aperto del Pdl", invitandolo a fare politica finalmente in un contesto maggioritario, fuori dall'antico schema della minoranza assediata, ha tutte le qualità e i numeri per chiedere rispetto e agibilità: quando esprime un'idea come quando si deve concordare una lista. È un mondo che quando parla di economia non può accontentarsi di argomentare la tesi "meno male che c'è Tremonti", perché ha una sua analisi e sue specifiche proposte che vorrebbe vedere almeno ascoltate, se non discusse. È un mondo che quando parla di legalità ha in mente Borsellino e non la tempistica del processo Mills. È un mondo che se parla di giovani, e scuola, e precari, non si accontenta di dire "abbiamo fatto la rivoluzione del merito" perché sa che non è vero, che l'Italia è uno dei Paesi più immobili d'Europa e che se non si rimette in moto l'ascensore sociale ci perderemo per strada una generazione intera. È un mondo che è cresciuto nel più assoluto rispetto dell'unità nazionale e trova difficile inghiottire i rospi di certe provocazioni leghiste, né capisce perché dovrebbe farlo: la Lega ha al Nord il 13 per cento, circa quanto il vecchio Msi aveva a livello nazionale, e se si "spalma" questa percentuale su tutta Italia ha il 4, forse il 5 per cento. Le corsie preferenziali che le sono state aperte sono numericamente immotivate e politicamente disastrose per chi, in Veneto o in Lombardia, deve difendere le liste del Pdl dalla concorrenza del Carroccio. Un anno fa, appoggiando senza riserve la scelta del nuovo partito unitario, la metafora che noi del Secolo usammo fu: ora chi ha più filo da tessere, tessa. Scommettavamo su noi stessi, sulle nostre capacità e competenze, sulla qualità e moralità della nostra classe dirigente. Ieri abbiamo visto uno come Vincenzo Zaccheo, sindaco di Latina dove il Msi era maggioranza relativa già nel ‘93, prima di An, mandato a casa dalle manovre del senatore Claudio Fazzone, padrino politico di Fondi, un Comune indicato dal Prefetto (non da Santoro o Floris) come infiltrato dai casalesi e candidato da Maroni (non dalla Gabanelli o dalla Dandini) allo scioglimento e al commissariamento. Dov'è la tela che dovremmo tessere? Dove il luogo e il modo di far valere le nostre idee e le nostra capacità? Su questo giornale, per fare qualche esempio a caso, abbiamo dovuto difendere una come Renata Polverini dall'accusa di portare una giacca rossa. Uno come Fabio Granata dall'accusa di essersi iscritto al popolo viola. Italo Bocchino ha scoperto di essere stato seguito dai servizi. Della sottoscritta si è scritto che «ha tradito Rauti per un posto in Parlamento», poltrona che ha avuto quindici anni dopo l'uscita di Rauti dal partito. E potremmo continuare per mille righe. Ecco, questo è il nocciolo della partita. Poi, gli appassionati si dedichino pure ai retroscena, alla conta dei numeri, al gioco delle ricuciture possibili. Il comunicato diffuso ieri da Gianfranco Fini ha chiarito che, comunque vada, sarà garantito pieno sostegno al governo per tutta la legislatura: anche questo - la lealtà - è elemento distintivo del nostro dna, irrobustito da antiche esperienze scissioniste che radicarono tanti anni fa il disprezzo per la categoria del tradimento. Su tutto il resto, finalmente si gioca a carte scoperte.
Non è solo la partita delle riforme, non è solo il rapporto con la Lega, il Sud, lo sviluppo, il diritto al dibattito interno, l'irritazione per certe esibizioni cesariste. Non è più la tanto celebrata differenza antropologica tra il tycoon che si è fatto premier e l'ex-ragazzo di Bologna che fa politica dall'adolescenza. Nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dai media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di rupture, di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà. Una delle preoccupazioni principali dei tanti parlamentari "ex An" che ieri si sono affacciati nello studio di Fini per avere notizie e discuterne, era quella che la scelta di aprire una partita trasparente e alla luce del sole con Berlusconi fosse interpretata dai media con il consueto stereotipo del "tradimento", dell'ingrato che morde la mano che lo ha allevato. Un timore legittimo, visti i precedenti di criminalizzazione di ogni accenno di dibattito, di ogni spunto di riflessione non coincidente con il puro "sissignore". Ma anche un complesso da superare, una volta per tutte. Il mondo che Gianfranco Fini ha portato nel "mare aperto del Pdl", invitandolo a fare politica finalmente in un contesto maggioritario, fuori dall'antico schema della minoranza assediata, ha tutte le qualità e i numeri per chiedere rispetto e agibilità: quando esprime un'idea come quando si deve concordare una lista. È un mondo che quando parla di economia non può accontentarsi di argomentare la tesi "meno male che c'è Tremonti", perché ha una sua analisi e sue specifiche proposte che vorrebbe vedere almeno ascoltate, se non discusse. È un mondo che quando parla di legalità ha in mente Borsellino e non la tempistica del processo Mills. È un mondo che se parla di giovani, e scuola, e precari, non si accontenta di dire "abbiamo fatto la rivoluzione del merito" perché sa che non è vero, che l'Italia è uno dei Paesi più immobili d'Europa e che se non si rimette in moto l'ascensore sociale ci perderemo per strada una generazione intera. È un mondo che è cresciuto nel più assoluto rispetto dell'unità nazionale e trova difficile inghiottire i rospi di certe provocazioni leghiste, né capisce perché dovrebbe farlo: la Lega ha al Nord il 13 per cento, circa quanto il vecchio Msi aveva a livello nazionale, e se si "spalma" questa percentuale su tutta Italia ha il 4, forse il 5 per cento. Le corsie preferenziali che le sono state aperte sono numericamente immotivate e politicamente disastrose per chi, in Veneto o in Lombardia, deve difendere le liste del Pdl dalla concorrenza del Carroccio. Un anno fa, appoggiando senza riserve la scelta del nuovo partito unitario, la metafora che noi del Secolo usammo fu: ora chi ha più filo da tessere, tessa. Scommettavamo su noi stessi, sulle nostre capacità e competenze, sulla qualità e moralità della nostra classe dirigente. Ieri abbiamo visto uno come Vincenzo Zaccheo, sindaco di Latina dove il Msi era maggioranza relativa già nel ‘93, prima di An, mandato a casa dalle manovre del senatore Claudio Fazzone, padrino politico di Fondi, un Comune indicato dal Prefetto (non da Santoro o Floris) come infiltrato dai casalesi e candidato da Maroni (non dalla Gabanelli o dalla Dandini) allo scioglimento e al commissariamento. Dov'è la tela che dovremmo tessere? Dove il luogo e il modo di far valere le nostre idee e le nostra capacità? Su questo giornale, per fare qualche esempio a caso, abbiamo dovuto difendere una come Renata Polverini dall'accusa di portare una giacca rossa. Uno come Fabio Granata dall'accusa di essersi iscritto al popolo viola. Italo Bocchino ha scoperto di essere stato seguito dai servizi. Della sottoscritta si è scritto che «ha tradito Rauti per un posto in Parlamento», poltrona che ha avuto quindici anni dopo l'uscita di Rauti dal partito. E potremmo continuare per mille righe. Ecco, questo è il nocciolo della partita. Poi, gli appassionati si dedichino pure ai retroscena, alla conta dei numeri, al gioco delle ricuciture possibili. Il comunicato diffuso ieri da Gianfranco Fini ha chiarito che, comunque vada, sarà garantito pieno sostegno al governo per tutta la legislatura: anche questo - la lealtà - è elemento distintivo del nostro dna, irrobustito da antiche esperienze scissioniste che radicarono tanti anni fa il disprezzo per la categoria del tradimento. Su tutto il resto, finalmente si gioca a carte scoperte.
Dovere di cronaca sull'incontro Fini - Berlusconi
POL:FINI A BERLUSCONI,CHIARISCI O FARO'MIO GRUPPO; E'SCONTRO/ANSA2010-04-15 23:03 FINI A BERLUSCONI,CHIARISCI O FARO'MIO GRUPPO;E'SCONTRO/ANSA PREMIER, SE LO FA SI DOVREBBE DIMETTERE, SAREBBE AUTOGOL ROMA +++AGGIORNA E SOSTITUISCE IL SERVIZIO TRASMESSO ALLE 22.00+++ (di Milena Di Mauro) (ANSA) - ROMA, 15 APR - "Ho mangiato benissimo". Tre parole soltanto escono dalla sorridente bocca del premier Silvio Berlusconi, al termine della tesa
colazione a Montecitorio in cui si sfiora la rottura con il presidente della Camera Gianfranco Fini, che mette sul tavolo l'ipotesi concreta di fare suoi autonomi gruppi parlamentari (pronto il nome, 'Pdl-Italia) se non avra' le risposte politiche che da mesi va chiedendo. Fini imputa a premier, governo e Pdl di andare a traino della Lega, accusa accoratamente Berlusconi di non aver tenuto nella giusta considerazione la 'dote' portata dalla destra italiana al Pdl. Non voglio più essere dipinto come 'il traditore' dal tuo giornale di famiglia se chiedo di contare nel determinare la linea politica di un partito che ho fondato - si accalora Fini - non voglio buttare al macero cinquanta anni della storia politica della destra italiana e lasciare che a decidere sia solo tu con Umberto Bossi. Non voglio più che nel Pdl ci sia gente che tu metti in computo a me e che invece risponde solo ed esclusivamente a te. Non mi hai rispettato e consultato per scelte importanti, mi hai fatto perdere peso politico ed hai cercato di marginalizzarmi. E sulle riforme sono stato informato solo dopo di decisioni prese da te a cena con Bossi. Berlusconi ascolta e cerca, in un primo momento, di minimizzare, sdrammatizzare, garantire che sarà lui il punto di equilibrio e coesione nella coalizione. Vista la vittoria elettorale ed i tanti successi del governo, il Cavaliere vorrebbe convincere Fini che si deve andare avanti con ottimismo e tutto si aggiusterà. Ma è qui, davanti a quello che al presidente della Camera pare una sorta di 'comizio' elettorale, che il co-fondatore esplode: Non puoi dirmi ancora una volta che tutto va bene. O ti siedi con me e vediamo come fare in modo che io conti realmente nelle decisioni e nel Pdl, o sono pronto a fare miei gruppi parlamentari autonomi,perché ho la responsabilità dell'area politica che ho portato nel Pdl. Quello che Fini non dice è che il progetto dei gruppi - una 'extrema ratio', diranno i finiani stessi riuniti subito dopo nello studio del presidente - ha già concretezza: è già iniziata la 'conta' che porterebbe più di 50 deputati e 18 senatori a schierarsi senza esitazioni. Per non parlare della componente 'Generazione Italia', già chiamata in convention per il secondo weekend di maggio a Perugia a sostenere Fini. Berlusconi si accomiata chiedendo 48 ore di reciproca riflessione, due giorni per pensarci sù. Poi, ragionando con i suoi, il Cavaliere dice di aspettarsi che, per coerenza, se Fini é davvero intenzionato a formare gruppi parlamentari autonomi, di conseguenza pensi a dimettersi dalla presidenza della Camera. Così come i parlamentari che lo seguiranno, dovrebbero naturalmente tenere in conto che non saranno ricandidati. Intanto Fini mette nero su bianco una nota, nella quale sottolinea di non voler mettere in crisi maggioranza e governo. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - sgombra il campo da equivoci -. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise". Fini aspetta risposte, ma nei palazzi della politica la tensione è alle stelle. E non aiuta il siparietto del leader leghista Umberto Bossi, che proprio mentre è in corso il teso vertice Berlusconi-Fini, si presenta ad un passo dall'ingresso degli appartamenti del presidente a Montecitorio per dire "con Fini al momento non ci sono problemi" e rivendicare alla Lega il diritto di "prendersi una fetta delle banche", oltre agli assessorati all'Agricoltura in Lombardia, Piemonte e Veneto. In serata, i coordinatori del Pdl Bondi, La Russa e Verdini stigmatizzano le scelte di Fini, che definiscono "incomprensibili" ed esprimono "profonda amarezza". Quella amarezza che il presidente del Consiglio confida ai suoi parlando di autogol di Fini nel caso in cui dovesse decidere di portare alle estreme conseguenze le sue intenzioni. E' il presidente del Senato Renato Schifani a tentare di porre un argine alla complessa giornata: "Quando una maggioranza si divide - invita a riflettere - non resta che dare la parola agli elettori". Ma i finiani Bocchino e Ronchi replicano secchi: si vota solo quando non esiste più una maggioranza che
sostiene il governo. E questo non è.(ANSA). DU-GMB/IRA S0A QBXB
colazione a Montecitorio in cui si sfiora la rottura con il presidente della Camera Gianfranco Fini, che mette sul tavolo l'ipotesi concreta di fare suoi autonomi gruppi parlamentari (pronto il nome, 'Pdl-Italia) se non avra' le risposte politiche che da mesi va chiedendo. Fini imputa a premier, governo e Pdl di andare a traino della Lega, accusa accoratamente Berlusconi di non aver tenuto nella giusta considerazione la 'dote' portata dalla destra italiana al Pdl. Non voglio più essere dipinto come 'il traditore' dal tuo giornale di famiglia se chiedo di contare nel determinare la linea politica di un partito che ho fondato - si accalora Fini - non voglio buttare al macero cinquanta anni della storia politica della destra italiana e lasciare che a decidere sia solo tu con Umberto Bossi. Non voglio più che nel Pdl ci sia gente che tu metti in computo a me e che invece risponde solo ed esclusivamente a te. Non mi hai rispettato e consultato per scelte importanti, mi hai fatto perdere peso politico ed hai cercato di marginalizzarmi. E sulle riforme sono stato informato solo dopo di decisioni prese da te a cena con Bossi. Berlusconi ascolta e cerca, in un primo momento, di minimizzare, sdrammatizzare, garantire che sarà lui il punto di equilibrio e coesione nella coalizione. Vista la vittoria elettorale ed i tanti successi del governo, il Cavaliere vorrebbe convincere Fini che si deve andare avanti con ottimismo e tutto si aggiusterà. Ma è qui, davanti a quello che al presidente della Camera pare una sorta di 'comizio' elettorale, che il co-fondatore esplode: Non puoi dirmi ancora una volta che tutto va bene. O ti siedi con me e vediamo come fare in modo che io conti realmente nelle decisioni e nel Pdl, o sono pronto a fare miei gruppi parlamentari autonomi,perché ho la responsabilità dell'area politica che ho portato nel Pdl. Quello che Fini non dice è che il progetto dei gruppi - una 'extrema ratio', diranno i finiani stessi riuniti subito dopo nello studio del presidente - ha già concretezza: è già iniziata la 'conta' che porterebbe più di 50 deputati e 18 senatori a schierarsi senza esitazioni. Per non parlare della componente 'Generazione Italia', già chiamata in convention per il secondo weekend di maggio a Perugia a sostenere Fini. Berlusconi si accomiata chiedendo 48 ore di reciproca riflessione, due giorni per pensarci sù. Poi, ragionando con i suoi, il Cavaliere dice di aspettarsi che, per coerenza, se Fini é davvero intenzionato a formare gruppi parlamentari autonomi, di conseguenza pensi a dimettersi dalla presidenza della Camera. Così come i parlamentari che lo seguiranno, dovrebbero naturalmente tenere in conto che non saranno ricandidati. Intanto Fini mette nero su bianco una nota, nella quale sottolinea di non voler mettere in crisi maggioranza e governo. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - sgombra il campo da equivoci -. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise". Fini aspetta risposte, ma nei palazzi della politica la tensione è alle stelle. E non aiuta il siparietto del leader leghista Umberto Bossi, che proprio mentre è in corso il teso vertice Berlusconi-Fini, si presenta ad un passo dall'ingresso degli appartamenti del presidente a Montecitorio per dire "con Fini al momento non ci sono problemi" e rivendicare alla Lega il diritto di "prendersi una fetta delle banche", oltre agli assessorati all'Agricoltura in Lombardia, Piemonte e Veneto. In serata, i coordinatori del Pdl Bondi, La Russa e Verdini stigmatizzano le scelte di Fini, che definiscono "incomprensibili" ed esprimono "profonda amarezza". Quella amarezza che il presidente del Consiglio confida ai suoi parlando di autogol di Fini nel caso in cui dovesse decidere di portare alle estreme conseguenze le sue intenzioni. E' il presidente del Senato Renato Schifani a tentare di porre un argine alla complessa giornata: "Quando una maggioranza si divide - invita a riflettere - non resta che dare la parola agli elettori". Ma i finiani Bocchino e Ronchi replicano secchi: si vota solo quando non esiste più una maggioranza che
sostiene il governo. E questo non è.(ANSA). DU-GMB/IRA S0A QBXB
4/08/2010
"Pdl, fuori l’orgoglio" - Un articolo ricco di spunti
Pdl, fuori l’orgoglio. Dimostra che Milano non è della Lega - di Carlo Maria Lomartire
aiuto «Facciamo come la Lega. No, facciamo il contrario della Lega. Anzi andiamo contro la Lega. Insomma facciamo concorrenza alla Lega…». Dopo il conclamato successo del Carroccio alle elezioni regionali, è schizofrenica la reazione del Pdl, il partito che al Nord più ha pagato in voti il boom leghista - come avevamo agevolmente previsto. Delle reazioni del Pd, poi, inutile tenere conto: dal dalemiano «la Lega è una costola della sinistra» allo «xenofobi, razzisti e affamatori di bambini» di Rosi Bindi all’ipotesi di «un Pd del Nord» riproposta da Sergio Chiamparino, il disorientamento è totale.
Ma torniamo al Pdl. Grande è la confusione sotto il cielo azzurro. Preoccupazione principale dei finiani di Farefuturo, ossessionati dal desiderio di distinguersi (ma da chi?), sembra quella di «contrastare la Lega» per «ridurne il peso» nella maggioranza, in base alla convinzione che il Cavaliere abbia contribuito alla vittoria di Bossi assecondandone le pretese. Perciò si dia battaglia al Senatùr sul suo terreno, immigrazione e sicurezza, con una politica della cittadinanza e dell'integrazione di grande apertura. Col risultato di rendere Fini, come commenta qualche suo ex sodale, «uno che piace a chi non lo vota e votato da gente a cui non piace». Per La Russa, al contrario, bisogna battere una via ultraleghista: tolleranza zero su immigrazione clandestina e sicurezza. Intanto gli ex di Forza Italia sbandano, oscillano, traccheggiano subendo, non più solo al Nord, la concorrenza elettorale della Lega. Che non possono impedire perché va a beneficio della maggioranza e comunque non sanno contrastare.
Tutti, però, opposizione compresa, tessono le lodi del «radicamento» della Lega, del suo «rapporto col territorio», che a sinistra suscita nostalgie del vecchio Pci, delle sezioni, dei comizi in piazza e dei furgoncini con altoparlanti per le vie dei paesi. La preistoria della politica. E allora, per mettere almeno un punto fermo ed evitare tanta confusione di idee, giusto a proposito di «rapporto col territorio», i vertici locali del Pdl potrebbero ricordare gli interessi reali del Nord, della Lombardia e di Milano. In questi due anni il governo considerato «amico del Nord» si è mostrato invece molto più attento agli interessi di Roma e del Sud. Avrà avuto le sue buone ragioni - i disastri finanziari romani, palermitani e catanesi; la spazzatura napoletana, il terremoto abruzzese - ma è così. L’ultimo esempio è di questi giorni: i fondi per la ricerca medica quasi tutti all'ateneo Federico II Napoli dimenticando la Statale di Milano che di risultati ne produce infinitamente di più. Alla faccia del merito. In nome di una malintesa «solidarietà nazionale», i dirigenti azzurri a volte sembrano averlo dimenticato. La stessa Lega moltissimo ha concesso, a cominciare dai privilegi normativi e finanziari per «Roma Capitale» - ma non era «Roma ladrona»? - pur di far digerire il suo federalismo fiscale. Bene, è ora che il Pdl lombardo mostri un po’ di orgoglio e si occupi della Lombardia e di Milano. Del territorio, appunto: chiedendo, esigendo, pretendendo. E non va certo in questo senso la defezione dell’ultimo momento del sindaco Moratti dalla manifestazione dei 500 sindaci lombardi contro l’iniquo patto di stabilità che, di fatto, premia i comuni scialacquatori e punisce i virtuosi. Sempre alla faccia del merito.
Se davvero Bossi vuol fare il sindaco di Milano non basta dirgli di no, anche se l’altolà di Berlusconi dovrebbe essere più che sufficiente. Bisogna dimostrare - e non è difficile - che per questa città la Lega non ha fatto molto, a parte proclami contro l’immigrazione clandestina e per la sicurezza. Forse ha ragione Philippe Daverio, già assessore della non rimpianta giunta Formentini, quando dice che «Bossi detesta Milano». Che almeno i dirigenti del Pdl mostrino di amarla. Perfino, se necessario, manifestando contro il governo.
aiuto «Facciamo come la Lega. No, facciamo il contrario della Lega. Anzi andiamo contro la Lega. Insomma facciamo concorrenza alla Lega…». Dopo il conclamato successo del Carroccio alle elezioni regionali, è schizofrenica la reazione del Pdl, il partito che al Nord più ha pagato in voti il boom leghista - come avevamo agevolmente previsto. Delle reazioni del Pd, poi, inutile tenere conto: dal dalemiano «la Lega è una costola della sinistra» allo «xenofobi, razzisti e affamatori di bambini» di Rosi Bindi all’ipotesi di «un Pd del Nord» riproposta da Sergio Chiamparino, il disorientamento è totale.
Ma torniamo al Pdl. Grande è la confusione sotto il cielo azzurro. Preoccupazione principale dei finiani di Farefuturo, ossessionati dal desiderio di distinguersi (ma da chi?), sembra quella di «contrastare la Lega» per «ridurne il peso» nella maggioranza, in base alla convinzione che il Cavaliere abbia contribuito alla vittoria di Bossi assecondandone le pretese. Perciò si dia battaglia al Senatùr sul suo terreno, immigrazione e sicurezza, con una politica della cittadinanza e dell'integrazione di grande apertura. Col risultato di rendere Fini, come commenta qualche suo ex sodale, «uno che piace a chi non lo vota e votato da gente a cui non piace». Per La Russa, al contrario, bisogna battere una via ultraleghista: tolleranza zero su immigrazione clandestina e sicurezza. Intanto gli ex di Forza Italia sbandano, oscillano, traccheggiano subendo, non più solo al Nord, la concorrenza elettorale della Lega. Che non possono impedire perché va a beneficio della maggioranza e comunque non sanno contrastare.
Tutti, però, opposizione compresa, tessono le lodi del «radicamento» della Lega, del suo «rapporto col territorio», che a sinistra suscita nostalgie del vecchio Pci, delle sezioni, dei comizi in piazza e dei furgoncini con altoparlanti per le vie dei paesi. La preistoria della politica. E allora, per mettere almeno un punto fermo ed evitare tanta confusione di idee, giusto a proposito di «rapporto col territorio», i vertici locali del Pdl potrebbero ricordare gli interessi reali del Nord, della Lombardia e di Milano. In questi due anni il governo considerato «amico del Nord» si è mostrato invece molto più attento agli interessi di Roma e del Sud. Avrà avuto le sue buone ragioni - i disastri finanziari romani, palermitani e catanesi; la spazzatura napoletana, il terremoto abruzzese - ma è così. L’ultimo esempio è di questi giorni: i fondi per la ricerca medica quasi tutti all'ateneo Federico II Napoli dimenticando la Statale di Milano che di risultati ne produce infinitamente di più. Alla faccia del merito. In nome di una malintesa «solidarietà nazionale», i dirigenti azzurri a volte sembrano averlo dimenticato. La stessa Lega moltissimo ha concesso, a cominciare dai privilegi normativi e finanziari per «Roma Capitale» - ma non era «Roma ladrona»? - pur di far digerire il suo federalismo fiscale. Bene, è ora che il Pdl lombardo mostri un po’ di orgoglio e si occupi della Lombardia e di Milano. Del territorio, appunto: chiedendo, esigendo, pretendendo. E non va certo in questo senso la defezione dell’ultimo momento del sindaco Moratti dalla manifestazione dei 500 sindaci lombardi contro l’iniquo patto di stabilità che, di fatto, premia i comuni scialacquatori e punisce i virtuosi. Sempre alla faccia del merito.
Se davvero Bossi vuol fare il sindaco di Milano non basta dirgli di no, anche se l’altolà di Berlusconi dovrebbe essere più che sufficiente. Bisogna dimostrare - e non è difficile - che per questa città la Lega non ha fatto molto, a parte proclami contro l’immigrazione clandestina e per la sicurezza. Forse ha ragione Philippe Daverio, già assessore della non rimpianta giunta Formentini, quando dice che «Bossi detesta Milano». Che almeno i dirigenti del Pdl mostrino di amarla. Perfino, se necessario, manifestando contro il governo.
4/02/2010
"De Brunetta atque Castelli": Valditara, gli elettori sono stufi dei doppi incarichi
Ricevo e pubblico quest'articolo firmato dal Sen Valditara e pubblicato su generazioneitalia.it
La sconfitta di Brunetta a Venezia e di Castelli a Lecco ha destato molta sorpresa anche per il netto divario fra i voti presi dalla coalizione Pdl-Lega alle regionali e il voto ottenuto dai due candidati a sindaco. A Lecco il centrodestra aveva conseguito un tranquillizzante 55%, con peraltro il netto sorpasso della Lega ai danni del Pdl. A Venezia Zaia si era attestato su un 45%, alla pari con il candidato di centrosinistra. Sorprendentemente Castelli si è fermato al 44,2%, mentre ancora peggio è andata nella città della laguna dove Brunetta si è dovuto accontentare del 42,6%. La causa non può certo ravvisarsi nella impopolarità dei due personaggi. Si tratta di due bravi esponenti di governo che godono nei sondaggi di un buon rating. Appare del resto semplicistico scaricare la responsabilità dell'insuccesso sulle liti all'interno delle coalizioni: a Venezia la compagine era unita e veniva da 5 anni di dura opposizione. Lascerei perdere pure le accuse di tradimento. Nessuna segreteria politica è in grado di spostare con un silenzioso passaparola percentuali così rilevanti di voto. Credo che la principale motivazione dell'insuccesso dei due candidati del centrodestra vada ricercata in una premessa sbagliata che ha accomunato la campagna elettorale di entrambi: la pretesa, affermata con grande chiarezza da tutti e due, di voler fare il sindaco, e mantenere contemporaneamente le cariche di ministro e parlamentare. Lecco e Venezia hanno lanciato a mio avviso due segnali chiari contro la prassi ormai sempre più diffusa dei doppi e tripli incarichi politici. E' giunto il momento di dare una risposta concreta a questo segnale lanciato dagli elettori inserendo fra le future riforme istituzionali anche quella sulle incompatibilità. E' contrario ad una prassi di buon governo della cosa pubblica e ad una logica di separazione fra organismi che concorrono con distinte dignità a formare la repubblica, che si possano cumulare cariche di ministro,parlamentare, presidente di provincia, sindaco di grandi città. A ben vedere anche gli incarichi di ministro o sottosegretario e di parlamentare dovrebbero essere incompatibili, se è vero che in un sistema democratico fra le funzioni del parlamento vi dovrebbe essere anche quella di controllare il governo. Egualmente intollerabile è la prassi di inserire le stesse persone in una pluralità di cda di enti controllati da enti locali o regionali, consentendo così di cumulare indennità plurime. Ci sono persone che stanno addirittura in 8, 10 consigli di amministrazione di società municipalizzate. Al riguardo sarebbe bene che gli enti pubblici rendessero più trasparenti tutte le nomine con i rispettivi emolumenti. L'inserimento in più cda della stessa persona, sovente non dotata nemmeno di particolari competenze, è talvolta prodromica ad una politica di finanziamento occulto a correnti o a gruppi di potere locale e serve in ogni caso ad affermare forme di controllo clientelare sulla società. E' necessario che il Pdl lanci un segnale all'insegna di una politica finalmente meritocratica e trasparente, differenziandosi nella prassi dei governi locali e prevedendo rapidamente una riforma delle incompatibilità.
Giuseppe Valditara
3/30/2010
DONA IL TUO 5 X MILLE PER LA RICERCA CONTRO LA SLA
Per cortesia, leggete fino in fondo. Grazie. Benedetta
Le difficoltà in cui versa la ricerca nel nostro Paese sono in parte compensate dalla generosità delle piccole e grandi donazioni private. Da alcuni anni, grazie ad una legge lungimirante, è possibile finanziare direttamente la ricerca sanitaria e/o scientifica di una determinata istituzione scrivendo il suo codice fiscale e mettendo una firma nelle apposite caselle, in occasione della dichiarazione dei redditi, effettuata attraverso il CUD o il modello 730 o quello Unico. Si tratta di un gesto che, è bene ricordarlo, non costa nulla al contribuente.
Data l’importanza dei fondi che vengono successivamente ripartiti dall’Agenzia per le Entrate, nell’approssimarsi della compilazione dei redditi, si è scatenata e si scatena una vera e propria competizione, con anche importanti investimenti pubblicitari da parte di diversi Istituti di ricerca, per aggiudicarsi fette consistenti della ‘torta’ dei finanziamenti.
La Fondazione IRCCS Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’, essendo vincolata, in quanto ente pubblico, a precisi obblighi di spesa e non avendo grandi mezzi a disposizione, si è sostanzialmente sempre affidata, tranne una limitata campagna pubblicitaria, ai suoi pazienti, ai loro familiari e ai propri collaboratori. Negli ultimi tre anni le scelte effettuate direttamente a favore della Fondazione sono risultate sostanzialmente stabili (circa 7.000), ma gli stanziamenti sono risultati in calo. Il Consiglio di Amministrazione per ottimizzare l’utilizzo di tali finanziamenti ha deciso di finalizzarli, di volta, in volta, ad un preciso progetto. I fondi che sono stati raccolti nel 2007, ma che non sono ancora arrivati, sono ad esempio stati finalizzati a sostegno della conferma degli incoraggianti risultati di uno studio pilota, che ha dimostrato che l’eritropoietina, farmaco utilizzato nella pratica clinica per curare l’anemia e nota alla cronaca per l’uso improprio come doping nei ciclisti professionisti, oltre ad essere ben tollerata dai pazienti, aveva anche una possibile efficacia neuro protettiva sui pazienti con Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA): una gravissima malattia neurodegenerativa che conduce invariabilmente alla morte nell’arco di pochi anni.
Anche per la dichiarazione dei redditi relativi al 2009, il Consiglio di Amministrazione ha stanziato un oculato stanziamento per una campagna pubblicitaria, ma resto convinto che il contributo maggiore non possa che venire da chi conosce direttamente l’importanza del lavoro di ricerca e cura che quotidianamente si svolge in via Celoria.
Le oltre 800 persone che ogni giorno, con passione e sacrificio, prestano a vari livelli la loro opera per prevenire e curare le malattie neurologiche o le tante persone che per varie ragioni devono frequentare l’Istituto sono, infatti, i migliori testimonial di quanto sia importante l’attività di ricerca, messa a punto al Besta e direttamente portata al letto del paziente con buoni risultati,.
A differenza di altre istituzioni la cui attività è piuttosto precisa, noi abbiamo l’apparente difficoltà di occuparci di tante problematiche diverse (Tumori cerebrali nei bambini e negli adulti, Parkinson, Alzheimer, demenze senili, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, miastenia, Corea di Huntington, cefalee croniche, epilessia e patologie neurologiche dell’infanzia). La piccola campagna pubblicitaria che stiamo predisponendo con l’aiuto creativo gratuito della PirellaLoweGoettsche mira proprio a trasformare questa apparente difficoltà di comunicazione in un punto di forza per far meglio conoscere ed apprezzare i nostri sforzi di continuo aggiornamento e di innovazione delle possibilità di cura.
Per continuare a farlo e a farlo sempre meglio, abbiamo bisogno di un sostegno ancora più grande. A tutti chiedo un grande sforzo, utilizzando i materiali cartacei ed elettronici che a giorni saranno disponibili, per coinvolgere il maggior numero di persone possibile nel sostegno al nostro lavoro di ricerca e cura. Sono certo che chi ci legge saprà comprenderlo. Aiutandoci.
3/24/2010
3/13/2010
FINI: pesi e contrappesi della Democrazia
(ANSA) - MELDOLA (FORLI'-CESENA), 12 MAR - E' importante,secondo il presidente della Camera Gianfranco Fini, che ci sia"un esecutivo legittimato dal voto, ma questo non vuol dire che il Parlamento non deve disturbare il manovratore". E' un passaggio dell'intervento fatto di fronte ad una platea di giovani a Meldola". Fini ha sottolineato l'importanza dell'approdo al bipolarismo e alla democrazia dell'alternanza con valori condivisi, "ma dobbiamo far sì che l'investitura diretta abbia, come avviene in tutte le democrazie, pesi e contrappesi. Io sono stato e sono molto favorevole, ad esempio, all'elezione diretta del sindaco, ma il Consiglio comunale non può essere considerato un orpello. La democrazia deve essere rappresentativa e governante.
3/01/2010
2/24/2010
L'affarismo è il nuovo terrorismo - di Giampaolo Pansa
Articolo tratto da Il Riformista di domenica 21/02/2010
Come è orrendo questo inverno 2010! L’Italia si guarda allo specchio e scopre di essere mangiata dai vermi. Sono vermi famelici, mai sazi, capaci di fare strazio di tutto, pur di guadagnare, di arricchirsi, di diventare sempre più grassi, di dominare il campo, di spazzare via chi non ci sta a farsi divorare. È quello che si intravvede dall’inchiesta sugli appalti della Protezione civile. Finiti nelle mani di affaristi che mi ricordano i terroristi degli anni Settanta e Ottanta.I primi sparavano e mettevano bombe, accoppando centinaia di cristiani. I secondi rubano, corrompono, arruolano politici, magistrati, alti dirigenti dello Stato. E distruggono ogni fiducia nella Repubblica, intesa nel suo significato più vero: cosa pubblica, patrimonio di milioni di cittadini onesti, che si rendono conto di essere sfregiati dai mostricciatoli del tangentismo.Confesso che non avevo voglia di scrivere questo Bestiario. Negli anni di Tangentopoli, avevo raccontato con puntiglio quanto accadeva. L’inizio dell’indagine. Il suo sviluppo terrificante. La morte di quasi tutti i partiti. La caduta di leader che sembravano eterni. La gloria dei magistrati inquirenti, angeli con la spada da elevare agli altari.Ero convinto che la punizione dei tangentari, anche se gonfia di eccessi e viziata dalla parzialità politica, sarebbe servita a fare dell’Italia un paese decente. Ma oggi ho la conferma che tutto è ricominciato. Come allora, peggio di allora. Qui non voglio parlare dell’indagine giudiziaria iniziata dalla Procura della Repubblica di Firenze, poi passata a Roma, quindi a Perugia e adesso estesa all’Aquila terremotata. Leggo dodici quotidiani al giorno. Mi immergo nelle paginate che citano migliaia di intercettazioni. Guardo i talk show televisivi dedicati all’inchiesta. E mi rendo conto di sapere ben poco di quanto è accaduto. La verità che cerco, che cercano tanti cittadini angosciati quanto me, mi sfugge ancora. Un’araba fenice che non si lascia afferrare.Guido Bertolaso è colpevole o innocente? Devo credere o no a quanto va dicendo nei processi che si celebrano davanti alle telecamere? Noi giornalisti stiamo mettendo il fango nel ventilatore o cerchiamo di fare un po’ di luce? Esiste o no la Spectre di affaristi-terroristi che rapinano le casse dello Stato, ovvero i soldi versati anche da noi pochi contribuenti onesti? Facendo strame del principio che tutti hanno gli stessi doveri nei confronti della legge?Però esiste una cosa che vedo con una chiarezza: la presenza dei vermi che divorano quanto gli serve per ingrassare. Sono ben di più che negli anni di Tangentopoli. Non si annidano nei partiti, ma dentro la società italiana. Per questo sono più forti, più numerosi, più famelici. Anche perché i partiti sono scomparsi. È un partito il Popolo della libertà, subito travolto da correnti e clan personali, guidato da un premier, Silvio Berlusconi, ormai debole e incapace di decidere qualsiasi cosa? È un partito quello Democratico, dove non comanda nessuno e che si allea con chi punta a svuotarlo? Ecco perché il tangentismo è diventato uguale al terrorismo. Non cancella soltanto la supremazia della legge e il senso dello stato, cardini di qualunque democrazia. Come ha ben spiegato Marco Vitale sul Corriere della sera, spegne, umilia e distrugge ogni spinta a fare bene. E incita a fare male. Manda avanti i peggiori. Induce a pensare che con il denaro si possa conquistare qualunque cosa. E che sia possibile comprare la politica. Per mutarla in una escort a pagamento e impedirle di fare il suo dovere. Ma a mio parere il terrorismo tangentaro fa anche di peggio. Diffonde i vermi dall’alto in basso. In questi giorni abbiamo visto piccoli politici e funzionari statali periferici incassare buste di denaro contante per tradire i propri doveri. Sapete quale è stato il commento degli italiani senza potere? Se i pesci piccoli si comportano così, chissà quel che faranno i pesci grossi. È in alto che l’impunità diventa uno scudo d’acciaio. Il pesce marcio puzza sempre dalla testa. Un tempo si usava dire: tutto è mafia, dunque niente è mafia. Oggi quel motto si è rovesciato: se il vertice è mafioso, perché la base non dovrebbe esserlo?Tanti anni fa, il terrorismo delle Brigate rosse è stato sconfitto da magistrati coraggiosi e, soprattutto, da forze dell’ordine capaci e decise. Allora gli italiani avevano compreso che non ci potevano essere mezze misure. Valeva il principio che, se tu uccidi, io ti uccido per evitare che tanti cittadini per bene siano destinati alla tomba. Ce lo ricordiamo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa? È uno degli eroi che hanno salvato l’Italia, per poi finire assassinati dal terrorismo mafioso. Esiste un nuovo Dalla Chiesa in grado di fermare l’assalto dei vermi tangentari? Temo di no. Il mio timore si fonda su una convinzione: che la politica non abbia nessuna voglia di mandare in campo uomini come lui e dotati degli stessi poteri. Per volerlo, l’Italia del 2010 avrebbe bisogno di altri partiti, di altri leader, di altri governi. Non vedo nulla di simile all’orizzonte. Anche perché manca la volontà di uscire dalle parzialità faziose che si esauriscono nei cortei di questo o quel colore, e nelle risse televisive.Non siamo soltanto un Paese di corrotti, ma anche di impotenti, di dormienti. Prima o poi, ci sveglieremo sotto le raffiche di altri vermi, di un nuovo terrorismo armato. Ma allora sarà troppo tardi. La corruzione avrà divorato tutto. E non resterà più nulla da salvare.
Come è orrendo questo inverno 2010! L’Italia si guarda allo specchio e scopre di essere mangiata dai vermi. Sono vermi famelici, mai sazi, capaci di fare strazio di tutto, pur di guadagnare, di arricchirsi, di diventare sempre più grassi, di dominare il campo, di spazzare via chi non ci sta a farsi divorare. È quello che si intravvede dall’inchiesta sugli appalti della Protezione civile. Finiti nelle mani di affaristi che mi ricordano i terroristi degli anni Settanta e Ottanta.I primi sparavano e mettevano bombe, accoppando centinaia di cristiani. I secondi rubano, corrompono, arruolano politici, magistrati, alti dirigenti dello Stato. E distruggono ogni fiducia nella Repubblica, intesa nel suo significato più vero: cosa pubblica, patrimonio di milioni di cittadini onesti, che si rendono conto di essere sfregiati dai mostricciatoli del tangentismo.Confesso che non avevo voglia di scrivere questo Bestiario. Negli anni di Tangentopoli, avevo raccontato con puntiglio quanto accadeva. L’inizio dell’indagine. Il suo sviluppo terrificante. La morte di quasi tutti i partiti. La caduta di leader che sembravano eterni. La gloria dei magistrati inquirenti, angeli con la spada da elevare agli altari.Ero convinto che la punizione dei tangentari, anche se gonfia di eccessi e viziata dalla parzialità politica, sarebbe servita a fare dell’Italia un paese decente. Ma oggi ho la conferma che tutto è ricominciato. Come allora, peggio di allora. Qui non voglio parlare dell’indagine giudiziaria iniziata dalla Procura della Repubblica di Firenze, poi passata a Roma, quindi a Perugia e adesso estesa all’Aquila terremotata. Leggo dodici quotidiani al giorno. Mi immergo nelle paginate che citano migliaia di intercettazioni. Guardo i talk show televisivi dedicati all’inchiesta. E mi rendo conto di sapere ben poco di quanto è accaduto. La verità che cerco, che cercano tanti cittadini angosciati quanto me, mi sfugge ancora. Un’araba fenice che non si lascia afferrare.Guido Bertolaso è colpevole o innocente? Devo credere o no a quanto va dicendo nei processi che si celebrano davanti alle telecamere? Noi giornalisti stiamo mettendo il fango nel ventilatore o cerchiamo di fare un po’ di luce? Esiste o no la Spectre di affaristi-terroristi che rapinano le casse dello Stato, ovvero i soldi versati anche da noi pochi contribuenti onesti? Facendo strame del principio che tutti hanno gli stessi doveri nei confronti della legge?Però esiste una cosa che vedo con una chiarezza: la presenza dei vermi che divorano quanto gli serve per ingrassare. Sono ben di più che negli anni di Tangentopoli. Non si annidano nei partiti, ma dentro la società italiana. Per questo sono più forti, più numerosi, più famelici. Anche perché i partiti sono scomparsi. È un partito il Popolo della libertà, subito travolto da correnti e clan personali, guidato da un premier, Silvio Berlusconi, ormai debole e incapace di decidere qualsiasi cosa? È un partito quello Democratico, dove non comanda nessuno e che si allea con chi punta a svuotarlo? Ecco perché il tangentismo è diventato uguale al terrorismo. Non cancella soltanto la supremazia della legge e il senso dello stato, cardini di qualunque democrazia. Come ha ben spiegato Marco Vitale sul Corriere della sera, spegne, umilia e distrugge ogni spinta a fare bene. E incita a fare male. Manda avanti i peggiori. Induce a pensare che con il denaro si possa conquistare qualunque cosa. E che sia possibile comprare la politica. Per mutarla in una escort a pagamento e impedirle di fare il suo dovere. Ma a mio parere il terrorismo tangentaro fa anche di peggio. Diffonde i vermi dall’alto in basso. In questi giorni abbiamo visto piccoli politici e funzionari statali periferici incassare buste di denaro contante per tradire i propri doveri. Sapete quale è stato il commento degli italiani senza potere? Se i pesci piccoli si comportano così, chissà quel che faranno i pesci grossi. È in alto che l’impunità diventa uno scudo d’acciaio. Il pesce marcio puzza sempre dalla testa. Un tempo si usava dire: tutto è mafia, dunque niente è mafia. Oggi quel motto si è rovesciato: se il vertice è mafioso, perché la base non dovrebbe esserlo?Tanti anni fa, il terrorismo delle Brigate rosse è stato sconfitto da magistrati coraggiosi e, soprattutto, da forze dell’ordine capaci e decise. Allora gli italiani avevano compreso che non ci potevano essere mezze misure. Valeva il principio che, se tu uccidi, io ti uccido per evitare che tanti cittadini per bene siano destinati alla tomba. Ce lo ricordiamo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa? È uno degli eroi che hanno salvato l’Italia, per poi finire assassinati dal terrorismo mafioso. Esiste un nuovo Dalla Chiesa in grado di fermare l’assalto dei vermi tangentari? Temo di no. Il mio timore si fonda su una convinzione: che la politica non abbia nessuna voglia di mandare in campo uomini come lui e dotati degli stessi poteri. Per volerlo, l’Italia del 2010 avrebbe bisogno di altri partiti, di altri leader, di altri governi. Non vedo nulla di simile all’orizzonte. Anche perché manca la volontà di uscire dalle parzialità faziose che si esauriscono nei cortei di questo o quel colore, e nelle risse televisive.Non siamo soltanto un Paese di corrotti, ma anche di impotenti, di dormienti. Prima o poi, ci sveglieremo sotto le raffiche di altri vermi, di un nuovo terrorismo armato. Ma allora sarà troppo tardi. La corruzione avrà divorato tutto. E non resterà più nulla da salvare.
2/21/2010
La Costituzione italiana, venerdì 5 marzo 2010
Cara Amica, Caro Amico è con piacere che Ti invitiamo alla tavola rotonda che abbiamo organizzato per venerdì 5 marzo, alle ore 18, presso il Nuovo Spazio Guicciardini (in Via Macedonio Melloni 3 a Milano) “LA COSTITUZIONE ITALIANA IERI, OGGI … E DOMANI?” Ne parleremo con Maria Teresa Coppo Gavazzi, Consigliera Pari Opportunità Regione Lombardia; il Sen. Giuseppe Valditara; l’Avv. Giannino Guiso e Carlo Borsani, Presidente dell’Associazione. Modererà gli interventi il Sen. Franco Servello. Vi aspettiamo numerosi!
2/08/2010
Come diventare imprenditrici di se stesse
Un CD-Rom ideato e realizzato da futuro@lfemminile e dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per offrire alle donne che desiderano avviare una propria attività imprenditoriale tutti gli strumenti utili a facilitarne la realizzazione. Il progetto comprende contenuti di tipo legislativo, contrattuale, tecnologico, manageriale e culturale in grado di aiutare le future imprenditrici a porre solide basi per la propria impresa, attraverso il percorso di una “città digitale”, che consente di accedere alle informazioni di servizio in modo semplice e immediato. L’iniziativa permette, quindi, alle donne di seguire un percorso virtuale di conoscenza ma anche di auto valutazione, dalla fase di start-up alla fase di gestione, al fine di valutare la reale possibilità di diventare buone imprenditrici. Approfondisci cliccando qui....
2/07/2010
A proposito di Morgan
2/06/2010
Con l’Epo si proverà a curare la Sla: è il doping che ci piace
articolo tratto da Il Giornale del 04febbraio2010
Negli ultimi anni, quando nelle telecronache di Bulbarelli e Cassani si sentiva parlare di Epo il collegamento a un blitz dei nas nel rititiro di una squadra ciclistica era quasi immediato. Scene da angoscia. Ricordo di farmaci e siringhe gettate dalle finestre, ciclisti in lacrime, auto con lampeggianti che sgommavano via. Nei titoli dei tg si parlava di eritropoietina, un farmaco utilizzato per curare malattie di origine diabetica ma che sugli atleti portava a un miglioramento delle prestazioni. Non solo. Porta (e parlo al presente) anche un sacco di guai. Ad esempio rende il sangue molto più denso con tutti gli annessi e connessi, tant’è che leggende metropolitane (ma forse neanche troppo) raccontano di corridori cotretti a pedalare di notte sulle ciclette in albergo per evitare scompensi cardiaci. Fin qui è una brutta storia. Ma ora l’Epo potrebbe portare a una svolta nelle cure per la sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Questo, grazie a uno studio dell’istituto neurologico Besta, che servirà come base per una sperimentazione clinica finanziata grazie alle donazioni del 5 per mille. La Sla è una malattia neurodegenerativa che conduce alla morte nell’arco di pochi anni e riguarda in Italia oltre 4mila malati, tra cui molti calciatori. Non esistono ancora trattamenti efficaci per curarla: l’unico farmaco è il riluzolo, che però ne rallenta solo il decorso. Per lo studio del Besta servono almeno 1,5 milioni di euro, 500mila dei quali provenienti dai fondi raccolti con il 5 per mille del 2007. Soldi che, però, il ministero del Tesoro non ha ancora destinato alla struttura. «Il Besta - spiega il presidente Carlo Borsani - ha così deciso di anticipare ciò che i contribuenti ci hanno donato con le loro dichiarazioni, ma che il ministero non ha ancora erogato». I fondi serviranno ad avviare uno studio clinico di ampie dimensioni per vedere se l’Epo, già usato per curare l’anemia, può rappresentare davvero una possibile cura per la Sla. Allo studio, che si basa sui risultati positivi di un precedente studio pilota, parteciperanno 25 centri italiani, dove saranno coinvolti 160 pazienti.
1/28/2010
Domenica 31 gennaio blocco del traffico
Blocco totale del traffico domenica 31 gennaio dalle 10 alle 18 a Milano: è questa la risposta del Sindaco Moratti per fronteggiare l'emergenza generata dal superamento della soglia delle polveri sottili per 17giorni consecutivi. Nella giornata di domenica potranno dunque circolare solo le auto a impatto zero (gpl, metano, elettriche). Godranno di una deroga al divieto medici, infermieri e ministri del culto.
1/20/2010
Impianti sportivi: fianziamenti regionali
La Regione Lombardia ha approvato due provvedimenti a sostegno della realizzazione di impianti sportivi di uso pubblico, pubblicati sul 2° S.S. al BURL n. 3 del 19 gennaio 2010 [“Criteri per l’accesso ai contributi in conto interessi per la realizzazione di impianti sportivi di uso pubblico (legge regionale 8 ottobre 2002, n. 26 – art. 4, commi 1, lettera d), 3, 4, e articolo 10, commi 1, lettera a) e 3)” e “Approvazione iniziativa anno 2009/2010 per l’accesso ai contributi in conto interessi a valere sui mutui dell’Istituto per il Credito Sportivo per la realizzazione di impianti sportivi di uso pubblico”]. Possono accedere:- Società e Associazioni praticanti attività sportiva dilettantistica senza fini di lucro;- Enti di Promozione Sportiva;- Federazioni Sportive Nazionali;- Centri di aggregazione giovanile;- Ogni Ente Morale che persegua, sia pure indirettamente, finalità ricreative e sportive senza fine di lucro;- Cooperative Sociali;- Enti Pubblici.
1/19/2010
Napolitano: contro Craxi durezza senza eguali
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato alla signora Anna Craxi la seguente lettera:
"Cara Signora,
ricorre domani il decimo anniversario della morte di Bettino Craxi, e io desidero innanzitutto esprimere a lei, ai suoi figli, ai suoi famigliari, la mia vicinanza personale in un momento che è per voi di particolare tristezza, nel ricordo di vicende conclusesi tragicamente.
Non dimentico il rapporto che fin dagli anni '70 ebbi con lui per il ruolo che allora svolgevo nella vita politica e parlamentare. Si trattò di un rapporto franco e leale, nel dissenso e nel consenso che segnavano le nostre discussioni e le nostre relazioni anche sul piano istituzionale. E non dimentico quel che Bettino Craxi, giunto alla guida del Partito Socialista Italiano, rappresentò come protagonista del confronto nella sinistra italiana ed europea.
Ma non è su ciò che oggi posso e intendo tornare.
Per la funzione che esercito al vertice dello Stato, mi pongo, cara Signora, dal solo punto di vista dell'interesse delle istituzioni repubblicane, che suggerisce di cogliere anche l'occasione di una ricorrenza carica - oltre che di dolorose memorie personali - di diversi e controversi significati storici, per favorire una più serena e condivisa considerazione del difficile cammino della democrazia italiana nel primo cinquantennio repubblicano.
E' stato parte di quel cammino l'esplodere della crisi del sistema dei partiti che aveva retto fino ai primi anni '90 lo svolgimento della dialettica politica e di governo nel quadro della Costituzione. E ne è stato parte il susseguirsi, in un drammatico biennio, di indagini giudiziarie e di processi, che condussero, tra l'altro, all'incriminazione e ad una duplice condanna definitiva in sede penale dell'on. Bettino Craxi, già Presidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Fino all'epilogo, il cui ricordo è ancora motivo di turbamento, della malattia e della morte in solitudine, lontano dall'Italia, dell'ex Presidente del Consiglio, dopo che egli decise di lasciare il paese mentre erano ancora in pieno svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti. Si è trattato - credo di dover dire - di aspetti tragici della storia politica e istituzionale della nostra Repubblica, che impongono ricostruzioni non sommarie e unilaterali di almeno un quindicennio di vita pubblica italiana.
Non può dunque venir sacrificata al solo discorso sulle responsabilità dell'on. Craxi sanzionate per via giudiziaria la considerazione complessiva della sua figura di leader politico, e di uomo di governo impegnato nella guida dell'Esecutivo e nella rappresentanza dell'Italia sul terreno delle relazioni internazionali. Il nostro Stato democratico non può consentirsi distorsioni e rimozioni del genere.
Considero perciò positivo il fatto che da diversi anni attraverso importanti dibattiti, convegni di studio e pubblicazioni, si siano affrontate, tracciando il bilancio dell'opera di Craxi, non solo le tematiche di carattere più strettamente politico, relative alle strategie della sinistra, alle dinamiche dei rapporti tra i partiti maggiori e alle prospettive di governo, ma anche le tematiche relative agli indirizzi dell'attività di Craxi Presidente del Consiglio. Di tale attività mi limito a considerare solo un aspetto, per mettere in evidenza come sia da acquisire al patrimonio della collocazione e funzione internazionale dell'Italia la conduzione della politica estera ed europea del governo Craxi: perché ne venne un apporto incontestabile ai fini di una visione e di un'azione che possano risultare largamente condivise nel Parlamento e nel paese proiettandosi nel mondo d'oggi, pur tanto mutato rispetto a quello di alcuni decenni fa.
Le scelte di governo compiute negli anni 1983-87 videro un rinnovato, deciso ancoraggio dell'Italia al campo occidentale e atlantico, anche di fronte alle sfide del blocco sovietico sul terreno della corsa agli armamenti ; e videro nello stesso tempo un atteggiamento "più assertivo" del ruolo dell'Italia nel rapporto di alleanza - mai messo peraltro in discussione - con gli Stati Uniti. In tale quadro si ebbe in particolare un autonomo dispiegamento della politica estera italiana nel Mediterraneo, con un coerente, equilibrato impegno per la pace in Medio Oriente. Il governo Craxi e il personale intervento del Presidente del Consiglio si caratterizzarono inoltre per scelte coraggiose volte a sollecitare e portare avanti il processo d'integrazione europea, come apparve evidente nel semestre di presidenza italiana (1985) del Consiglio Europeo.
Né si può dimenticare l'intesa, condivisa da un arco assai ampio di forze politiche, sul nuovo Concordato: la cui importanza è stata pienamente confermata dalla successiva evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa.
Numerosi risultano in sostanza gli elementi di condivisione e di continuità che da allora sono rimasti all'attivo di politiche essenziali per il profilo e il ruolo dell'Italia.
In un bilancio non acritico ma sereno di quei quattro anni di guida del governo, deve naturalmente trovar posto il discorso sulle riforme istituzionali che aveva rappresentato, già prima dell'assunzione della Presidenza del Consiglio, l'elemento forse più innovativo della riflessione e della strategia politica dell'on. Craxi. Nel quadriennio della sua esperienza governativa, quel discorso tuttavia non si tradusse in risultati effettivi di avvio di una revisione della Costituzione repubblicana. La consapevolezza della necessità di una revisione apparve condivisa attraverso i lavori di una impegnativa Commissione bicamerale di studio (presieduta dall'on. Bozzi) : ma alle conclusioni, peraltro discordi, di quella Commissione nel gennaio 1985 non seguì alcuna iniziativa concreta, di sufficiente respiro, in sede parlamentare. Si preparò piuttosto il terreno per provvedimenti che avrebbero visto la luce più tardi, come la legge ordinatrice della Presidenza del Consiglio e, su un diverso piano, significative misure di riforma dei regolamenti parlamentari.
Tra i problemi che nell'Italia repubblicana si sono trascinati irrisolti, c'è certamente quello del finanziamento della politica. Si era tentato di darvi soluzione con una legge approvata nel 1974, a più di venticinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione. Ma quella legge mostrò ben presto i suoi limiti, in particolare per la debolezza dei controlli che essa aveva introdotto. Attorno al sistema dei partiti, che aveva svolto un ruolo fondamentale nella costruzione di un nuovo tessuto democratico nell'Italia liberatasi dal fascismo, avevano finito per diffondersi "degenerazioni, corruttele, abusi, illegalità", che con quelle parole, senza infingimenti, trovarono la loro più esplicita descrizione nel discorso pronunciato il 3 luglio 1992 proprio dall'on. Craxi alla Camera, nel corso del dibattito sulla fiducia al governo Amato.
Ma era ormai in pieno sviluppo la vasta indagine già da mesi avviata dalla Procura di Milano e da altre. E dall'insieme dei partiti e dei loro leader non era venuto tempestivamente un comune pieno riconoscimento delle storture da correggere, né una conseguente svolta rinnovatrice sul piano delle norme, delle regole e del costume. In quel vuoto politico trovò, sempre di più, spazio, sostegno mediatico e consenso l'azione giudiziaria, con un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia.
L'on. Craxi, dimessosi da segretario del PSI, fu investito da molteplici contestazioni di reato. Senza mettere in questione l'esito dei procedimenti che lo riguardarono, è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona.
Né si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo - nell'esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell'on. Craxi - ritenne, con decisione del 2002, che, pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il "diritto ad un processo equo" per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea.
Alle regole del giusto processo, l'Italia si adeguò, sul piano costituzionale, con la riforma dell'art. 11 nel 1999. E quei principi rappresentano oggi un riferimento vincolante per la legislazione nazionale e per l'amministrazione della giustizia in Italia.
Si deve invece parlare di una persistente carenza di risposte sul tema del finanziamento della politica e della lotta contro la corruzione nella vita pubblica. Quel tema non poteva risolversi solo per effetto del cambiamento (determinatosi nel 1993-94) delle leggi elettorali e del sistema politico, e oggi, in un contesto politico-istituzionale caratterizzato dalla logica della democrazia dell'alternanza, si è ancora in attesa di riforme che soddisfino le esigenze a cui ci richiama la riflessione sulle vicende sfociate in un tragico esito per l'on. Bettino Craxi.
E' questo, cara Signora, il contributo che ho ritenuto di dover dare al ricordo della figura e dell'opera di suo marito, per l'impronta non cancellabile che ha lasciato, in un complesso intreccio di luci e ombre, nella vita del nostro Stato democratico.
Con i più sinceri e cordiali saluti".
Roma, 18 gennaio 2010
"Cara Signora,
ricorre domani il decimo anniversario della morte di Bettino Craxi, e io desidero innanzitutto esprimere a lei, ai suoi figli, ai suoi famigliari, la mia vicinanza personale in un momento che è per voi di particolare tristezza, nel ricordo di vicende conclusesi tragicamente.
Non dimentico il rapporto che fin dagli anni '70 ebbi con lui per il ruolo che allora svolgevo nella vita politica e parlamentare. Si trattò di un rapporto franco e leale, nel dissenso e nel consenso che segnavano le nostre discussioni e le nostre relazioni anche sul piano istituzionale. E non dimentico quel che Bettino Craxi, giunto alla guida del Partito Socialista Italiano, rappresentò come protagonista del confronto nella sinistra italiana ed europea.
Ma non è su ciò che oggi posso e intendo tornare.
Per la funzione che esercito al vertice dello Stato, mi pongo, cara Signora, dal solo punto di vista dell'interesse delle istituzioni repubblicane, che suggerisce di cogliere anche l'occasione di una ricorrenza carica - oltre che di dolorose memorie personali - di diversi e controversi significati storici, per favorire una più serena e condivisa considerazione del difficile cammino della democrazia italiana nel primo cinquantennio repubblicano.
E' stato parte di quel cammino l'esplodere della crisi del sistema dei partiti che aveva retto fino ai primi anni '90 lo svolgimento della dialettica politica e di governo nel quadro della Costituzione. E ne è stato parte il susseguirsi, in un drammatico biennio, di indagini giudiziarie e di processi, che condussero, tra l'altro, all'incriminazione e ad una duplice condanna definitiva in sede penale dell'on. Bettino Craxi, già Presidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Fino all'epilogo, il cui ricordo è ancora motivo di turbamento, della malattia e della morte in solitudine, lontano dall'Italia, dell'ex Presidente del Consiglio, dopo che egli decise di lasciare il paese mentre erano ancora in pieno svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti. Si è trattato - credo di dover dire - di aspetti tragici della storia politica e istituzionale della nostra Repubblica, che impongono ricostruzioni non sommarie e unilaterali di almeno un quindicennio di vita pubblica italiana.
Non può dunque venir sacrificata al solo discorso sulle responsabilità dell'on. Craxi sanzionate per via giudiziaria la considerazione complessiva della sua figura di leader politico, e di uomo di governo impegnato nella guida dell'Esecutivo e nella rappresentanza dell'Italia sul terreno delle relazioni internazionali. Il nostro Stato democratico non può consentirsi distorsioni e rimozioni del genere.
Considero perciò positivo il fatto che da diversi anni attraverso importanti dibattiti, convegni di studio e pubblicazioni, si siano affrontate, tracciando il bilancio dell'opera di Craxi, non solo le tematiche di carattere più strettamente politico, relative alle strategie della sinistra, alle dinamiche dei rapporti tra i partiti maggiori e alle prospettive di governo, ma anche le tematiche relative agli indirizzi dell'attività di Craxi Presidente del Consiglio. Di tale attività mi limito a considerare solo un aspetto, per mettere in evidenza come sia da acquisire al patrimonio della collocazione e funzione internazionale dell'Italia la conduzione della politica estera ed europea del governo Craxi: perché ne venne un apporto incontestabile ai fini di una visione e di un'azione che possano risultare largamente condivise nel Parlamento e nel paese proiettandosi nel mondo d'oggi, pur tanto mutato rispetto a quello di alcuni decenni fa.
Le scelte di governo compiute negli anni 1983-87 videro un rinnovato, deciso ancoraggio dell'Italia al campo occidentale e atlantico, anche di fronte alle sfide del blocco sovietico sul terreno della corsa agli armamenti ; e videro nello stesso tempo un atteggiamento "più assertivo" del ruolo dell'Italia nel rapporto di alleanza - mai messo peraltro in discussione - con gli Stati Uniti. In tale quadro si ebbe in particolare un autonomo dispiegamento della politica estera italiana nel Mediterraneo, con un coerente, equilibrato impegno per la pace in Medio Oriente. Il governo Craxi e il personale intervento del Presidente del Consiglio si caratterizzarono inoltre per scelte coraggiose volte a sollecitare e portare avanti il processo d'integrazione europea, come apparve evidente nel semestre di presidenza italiana (1985) del Consiglio Europeo.
Né si può dimenticare l'intesa, condivisa da un arco assai ampio di forze politiche, sul nuovo Concordato: la cui importanza è stata pienamente confermata dalla successiva evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa.
Numerosi risultano in sostanza gli elementi di condivisione e di continuità che da allora sono rimasti all'attivo di politiche essenziali per il profilo e il ruolo dell'Italia.
In un bilancio non acritico ma sereno di quei quattro anni di guida del governo, deve naturalmente trovar posto il discorso sulle riforme istituzionali che aveva rappresentato, già prima dell'assunzione della Presidenza del Consiglio, l'elemento forse più innovativo della riflessione e della strategia politica dell'on. Craxi. Nel quadriennio della sua esperienza governativa, quel discorso tuttavia non si tradusse in risultati effettivi di avvio di una revisione della Costituzione repubblicana. La consapevolezza della necessità di una revisione apparve condivisa attraverso i lavori di una impegnativa Commissione bicamerale di studio (presieduta dall'on. Bozzi) : ma alle conclusioni, peraltro discordi, di quella Commissione nel gennaio 1985 non seguì alcuna iniziativa concreta, di sufficiente respiro, in sede parlamentare. Si preparò piuttosto il terreno per provvedimenti che avrebbero visto la luce più tardi, come la legge ordinatrice della Presidenza del Consiglio e, su un diverso piano, significative misure di riforma dei regolamenti parlamentari.
Tra i problemi che nell'Italia repubblicana si sono trascinati irrisolti, c'è certamente quello del finanziamento della politica. Si era tentato di darvi soluzione con una legge approvata nel 1974, a più di venticinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione. Ma quella legge mostrò ben presto i suoi limiti, in particolare per la debolezza dei controlli che essa aveva introdotto. Attorno al sistema dei partiti, che aveva svolto un ruolo fondamentale nella costruzione di un nuovo tessuto democratico nell'Italia liberatasi dal fascismo, avevano finito per diffondersi "degenerazioni, corruttele, abusi, illegalità", che con quelle parole, senza infingimenti, trovarono la loro più esplicita descrizione nel discorso pronunciato il 3 luglio 1992 proprio dall'on. Craxi alla Camera, nel corso del dibattito sulla fiducia al governo Amato.
Ma era ormai in pieno sviluppo la vasta indagine già da mesi avviata dalla Procura di Milano e da altre. E dall'insieme dei partiti e dei loro leader non era venuto tempestivamente un comune pieno riconoscimento delle storture da correggere, né una conseguente svolta rinnovatrice sul piano delle norme, delle regole e del costume. In quel vuoto politico trovò, sempre di più, spazio, sostegno mediatico e consenso l'azione giudiziaria, con un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia.
L'on. Craxi, dimessosi da segretario del PSI, fu investito da molteplici contestazioni di reato. Senza mettere in questione l'esito dei procedimenti che lo riguardarono, è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona.
Né si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo - nell'esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell'on. Craxi - ritenne, con decisione del 2002, che, pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il "diritto ad un processo equo" per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea.
Alle regole del giusto processo, l'Italia si adeguò, sul piano costituzionale, con la riforma dell'art. 11 nel 1999. E quei principi rappresentano oggi un riferimento vincolante per la legislazione nazionale e per l'amministrazione della giustizia in Italia.
Si deve invece parlare di una persistente carenza di risposte sul tema del finanziamento della politica e della lotta contro la corruzione nella vita pubblica. Quel tema non poteva risolversi solo per effetto del cambiamento (determinatosi nel 1993-94) delle leggi elettorali e del sistema politico, e oggi, in un contesto politico-istituzionale caratterizzato dalla logica della democrazia dell'alternanza, si è ancora in attesa di riforme che soddisfino le esigenze a cui ci richiama la riflessione sulle vicende sfociate in un tragico esito per l'on. Bettino Craxi.
E' questo, cara Signora, il contributo che ho ritenuto di dover dare al ricordo della figura e dell'opera di suo marito, per l'impronta non cancellabile che ha lasciato, in un complesso intreccio di luci e ombre, nella vita del nostro Stato democratico.
Con i più sinceri e cordiali saluti".
Roma, 18 gennaio 2010
1/14/2010
Vita da single
Milano, i single sorpassano le famiglie
Sono il 50,6 per cento. In crescita anche nel resto d’Italia. L’identikit: giovani, divorziati, anziani che restano soli
MILANO - «Benvenuti a Milano, città dei single». Così, d’ora in poi, il capoluogo lombardo dovrebbe presentarsi al mondo fin dai cartelli che segnalano l’ingresso nei confini ambrosiani. Tra città delle biciclette, città denuclearizzate, città del cotechino o del mistero, l’Italia offre davvero di tutto. Oggi anche Milano ha un suo primato. Quello di metropoli in cui il paradosso delle famiglie con un solo componente è diventato la norma. Negli ultimi mesi del 2009 i nuclei creati da una persona sola hanno superato quelli con due o più individui. Per la precisione: su 687.401 famiglie presenti in città, 347.651 hanno un unico nome sul campanello. Il 50,6 per cento. Il sorpasso è avvenuto negli ultimi mesi. Solo due anni fa i single registrati all’anagrafe erano 332.987 su un totale di 676.486 famiglie. La tendenza alla crescita delle famiglie-single è in atto nel nostro Paese da un trentennio. Ma nemmeno i demografi si aspettavano che Milano fosse diventata una città di monadi. «Sono sorpreso—ammette Giancarlo Blangiardo, demografo dell’università Bicocca —. Certo, bisogna tenere conto che i dati dell’anagrafe prendono per buone le dichiarazioni di chi si presenta al Comune come single ma in realtà vive in coppia, da convivente. Detto questo, il fenomeno a Milano ha raggiunto vette altissime». Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? «Nelle nostre attese la quota di famiglie single tenderà a stabilizzarsi nel nostro Paese intorno al 40 per cento», risponde il demografo. Insomma, Milano è un caso particolare. Prendiamo Roma. All’ombra del Colosseo i single sono tanti (oltre 568 mila). Ma nettamente meno della metà delle famiglie (in tutto 1.325 mila). Per quanto riguarda il Paese nel suo insieme, i dati Istat più aggiornati fotografano il 2007 e parlano di più di una famiglia su quattro (28,4 per cento) con un solo componente. Le regioni dove i single rappresentano più del 30 per cento delle famiglie sono il Piemonte (30,3 per cento) la Valle d’Aosta (34,8 per cento), il Friuli Venezia Giulia (30,7 per cento) e la Liguria (35,4 per cento).
«Milano è la città dei single per definizione — dice il sociologo Enrico Finzi —. Il capoluogo lombardo catalizza le energie e le risorse migliori del Paese. Sotto la Madonnina si trasferiscono a caccia di lavoro i giovani più imprenditori e preparati del Sud — continua il presidente di Astra Demoskopea —. Negli ultimi anni, come certificato dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, ndr), il fenomeno ha ripreso vigore. Poi ci sono le vedove. Perché i single anziani sono tanti e in stragrande maggioranza donne: le signore hanno una maggiore aspettativa di vita. Terzo fattore: la costante crescita di separati e divorziati». A sentire i tecnici dell’anagrafe milanese, di «fattore single» ce ne sarebbe anche un quarto. Legato all’immigrazione. Dal 2007 a oggi, dopo l’ingresso della Romania nella Ue, a Milano si sono registrati in Comune diverse migliaia di romeni che prima vivevano nella città del Duomo da clandestini. Una volta preso atto della realtà, la politica milanese subito si divide. Una buona fetta del centrodestra cittadino pensa a misure per favorire il ritorno delle giovani coppie a Milano, meglio se con numerosi passeggini. Il centrosinistra è più propenso a una posizione non interventista. Il confronto è tutt’altro che accademico. Proprio in questi giorni il consiglio comunale discute il piano di governo del territorio. E al centrosinistra non vanno giù le agevolazioni per le giovani coppie e le famiglie numerose che cercano casa a prezzo scontato. «La nostra attenzione va soprattutto agli anziani che vivono soli. Tramite varie forme di assistenza mirata. D’altra parte i single giovani e rampanti non interrogano l’amministrazione », riflette l’assessore all’Anagrafe, Stefano Pillitteri. «Sia chiaro, nessun pregiudizio verso i single—mette le mani avanti Carlo Masseroli, assessore all’Urbanistica della giunta di centrodestra di Letizia Moratti —. Ma a nostro parere la famiglia e le relazioni tra persone sono un valore. Un bene da incentivare a vantaggio di tutta la comunità. Soprattutto nei contesti metropolitani dove la vita per le famiglie è più difficile». «Il compito di chi amministra non è giudicare i cittadini sul privato ma rispondere ai loro bisogni — ribatte Carmela Rozza, consigliere comunale milanese del Pd —. Milano è piena di single che guadagnano mille euro al mese ma devono pagare dai 700 ai 900 euro per un monolocale. Infermieri, tranvieri. Gente che fa funzionare la città. Per non parlare di chi precipita nell’indigenza dopo una separazione. Eppure questa gente sembra invisibile. Per questo abbiamo presentato emendamenti al Pgt perché si tenga conto anche dei single. Il Comune non può liquidare il problema con qualche posto letto in più nei dormitori pubblici. E anche la politica nazionale deve porsi il problema». Ma dov’è finito l’orgoglio single spesso mostrato dalla pubblicità? Anche a Milano come in altre città del Nord fanno capolino negozi che propongono «liste single» per chi va a vivere da solo. Qualcuno festeggia separazioni e divorzi. E gli orgogliosi di esser soli mettono una fedina sulla mano destra imitando parigini e newyorkesi. Ma, a sentire il sociologo Enrico Finzi, si tratta di una minoranza: «Secondo una nostra indagine i single che subiscono la loro condizione e, per di più, non vedono prospettive di coppia per il futuro sono la maggioranza. Mentre i convinti— quelli che hanno scelto di vivere da soli e pensano di continuare sulla stessa strada in futuro — sono poco più del 15 per cento».
di Rita Querzè - Corriere della Sera del 13 gennaio 2010
Uno spunto di riflessione: da un'indagine della Camera di Commercio di dicembre emerge che per vivere a Milano un single (nel senso di una persona che vive da sola) ha bisogno di 1810€....
Sono il 50,6 per cento. In crescita anche nel resto d’Italia. L’identikit: giovani, divorziati, anziani che restano soli
MILANO - «Benvenuti a Milano, città dei single». Così, d’ora in poi, il capoluogo lombardo dovrebbe presentarsi al mondo fin dai cartelli che segnalano l’ingresso nei confini ambrosiani. Tra città delle biciclette, città denuclearizzate, città del cotechino o del mistero, l’Italia offre davvero di tutto. Oggi anche Milano ha un suo primato. Quello di metropoli in cui il paradosso delle famiglie con un solo componente è diventato la norma. Negli ultimi mesi del 2009 i nuclei creati da una persona sola hanno superato quelli con due o più individui. Per la precisione: su 687.401 famiglie presenti in città, 347.651 hanno un unico nome sul campanello. Il 50,6 per cento. Il sorpasso è avvenuto negli ultimi mesi. Solo due anni fa i single registrati all’anagrafe erano 332.987 su un totale di 676.486 famiglie. La tendenza alla crescita delle famiglie-single è in atto nel nostro Paese da un trentennio. Ma nemmeno i demografi si aspettavano che Milano fosse diventata una città di monadi. «Sono sorpreso—ammette Giancarlo Blangiardo, demografo dell’università Bicocca —. Certo, bisogna tenere conto che i dati dell’anagrafe prendono per buone le dichiarazioni di chi si presenta al Comune come single ma in realtà vive in coppia, da convivente. Detto questo, il fenomeno a Milano ha raggiunto vette altissime». Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? «Nelle nostre attese la quota di famiglie single tenderà a stabilizzarsi nel nostro Paese intorno al 40 per cento», risponde il demografo. Insomma, Milano è un caso particolare. Prendiamo Roma. All’ombra del Colosseo i single sono tanti (oltre 568 mila). Ma nettamente meno della metà delle famiglie (in tutto 1.325 mila). Per quanto riguarda il Paese nel suo insieme, i dati Istat più aggiornati fotografano il 2007 e parlano di più di una famiglia su quattro (28,4 per cento) con un solo componente. Le regioni dove i single rappresentano più del 30 per cento delle famiglie sono il Piemonte (30,3 per cento) la Valle d’Aosta (34,8 per cento), il Friuli Venezia Giulia (30,7 per cento) e la Liguria (35,4 per cento).
«Milano è la città dei single per definizione — dice il sociologo Enrico Finzi —. Il capoluogo lombardo catalizza le energie e le risorse migliori del Paese. Sotto la Madonnina si trasferiscono a caccia di lavoro i giovani più imprenditori e preparati del Sud — continua il presidente di Astra Demoskopea —. Negli ultimi anni, come certificato dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, ndr), il fenomeno ha ripreso vigore. Poi ci sono le vedove. Perché i single anziani sono tanti e in stragrande maggioranza donne: le signore hanno una maggiore aspettativa di vita. Terzo fattore: la costante crescita di separati e divorziati». A sentire i tecnici dell’anagrafe milanese, di «fattore single» ce ne sarebbe anche un quarto. Legato all’immigrazione. Dal 2007 a oggi, dopo l’ingresso della Romania nella Ue, a Milano si sono registrati in Comune diverse migliaia di romeni che prima vivevano nella città del Duomo da clandestini. Una volta preso atto della realtà, la politica milanese subito si divide. Una buona fetta del centrodestra cittadino pensa a misure per favorire il ritorno delle giovani coppie a Milano, meglio se con numerosi passeggini. Il centrosinistra è più propenso a una posizione non interventista. Il confronto è tutt’altro che accademico. Proprio in questi giorni il consiglio comunale discute il piano di governo del territorio. E al centrosinistra non vanno giù le agevolazioni per le giovani coppie e le famiglie numerose che cercano casa a prezzo scontato. «La nostra attenzione va soprattutto agli anziani che vivono soli. Tramite varie forme di assistenza mirata. D’altra parte i single giovani e rampanti non interrogano l’amministrazione », riflette l’assessore all’Anagrafe, Stefano Pillitteri. «Sia chiaro, nessun pregiudizio verso i single—mette le mani avanti Carlo Masseroli, assessore all’Urbanistica della giunta di centrodestra di Letizia Moratti —. Ma a nostro parere la famiglia e le relazioni tra persone sono un valore. Un bene da incentivare a vantaggio di tutta la comunità. Soprattutto nei contesti metropolitani dove la vita per le famiglie è più difficile». «Il compito di chi amministra non è giudicare i cittadini sul privato ma rispondere ai loro bisogni — ribatte Carmela Rozza, consigliere comunale milanese del Pd —. Milano è piena di single che guadagnano mille euro al mese ma devono pagare dai 700 ai 900 euro per un monolocale. Infermieri, tranvieri. Gente che fa funzionare la città. Per non parlare di chi precipita nell’indigenza dopo una separazione. Eppure questa gente sembra invisibile. Per questo abbiamo presentato emendamenti al Pgt perché si tenga conto anche dei single. Il Comune non può liquidare il problema con qualche posto letto in più nei dormitori pubblici. E anche la politica nazionale deve porsi il problema». Ma dov’è finito l’orgoglio single spesso mostrato dalla pubblicità? Anche a Milano come in altre città del Nord fanno capolino negozi che propongono «liste single» per chi va a vivere da solo. Qualcuno festeggia separazioni e divorzi. E gli orgogliosi di esser soli mettono una fedina sulla mano destra imitando parigini e newyorkesi. Ma, a sentire il sociologo Enrico Finzi, si tratta di una minoranza: «Secondo una nostra indagine i single che subiscono la loro condizione e, per di più, non vedono prospettive di coppia per il futuro sono la maggioranza. Mentre i convinti— quelli che hanno scelto di vivere da soli e pensano di continuare sulla stessa strada in futuro — sono poco più del 15 per cento».
di Rita Querzè - Corriere della Sera del 13 gennaio 2010
Uno spunto di riflessione: da un'indagine della Camera di Commercio di dicembre emerge che per vivere a Milano un single (nel senso di una persona che vive da sola) ha bisogno di 1810€....
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