Aumentano le assunzioni stagionali: +44% I settori che danno lavoro sono hotel e ristoranti, con oltre 3.600 addetti, il commercio con 2.300, ma anche i servizi alla persona Quest’anno più dello scorso: quasi 8.400 lavoratori, quasi 3 mila in più del 2006. E quest’anno il lavoro estivo pesa per i tre quarti sullo stagionale di tutto l’anno, quasi raddoppia rispetto al 44% dello scorso anno. I settori protagonisti delle assunzioni estive: hotel e ristoranti, con oltre 3.600 addetti, il commercio con 2.300, ma anche i servizi alla persona per chi resta in città e non va in vacanza (oltre mille richieste). I settori dove cresce di più la richiesta di lavoratori stagionali estivi rispetto al 2006 sono hotel e ristoranti (2.962 addetti in più, +439,3% rispetto al 2006) e il commercio (275 addetti). Il quadro emerge da una elaborazione della Camera di Commercio su dati Excelsior - sistema informativo permanente sull’occupazione e la formazione realizzato dalle Camere di Commercio, con il coordinamento di Unioncamere nazionale e il sostegno del ministero del Lavoro e dell’Unione Europea - e relativi alle previsioni di assunzioni delle imprese di Milano e provincia per il 2007. |
7/27/2007
A MILANO SI LAVORA ANCHE D'ESTATE
7/24/2007
LA SVOLTA DI LONDRA E LO SPENSIERATO SPINELLO ITALIANO
... .... In Italia, la leggerezza in materia sta diventando indisponente. La cannabis — e la cocaina, purtroppo — sono argomenti adatti per una battuta alla radio, o un'allusione in televisione. Vizietti sociali: uno per giovani, l'altro per ricchi. Cose che non cambiano, cose che non contano. Forse dovremmo ringraziare lo «skunk» per averci svegliato. Quasi un'onomatopea, utile a farci capire che la droga modifica i comportamenti, e i nostri comportamenti non riguardano soltanto noi. Anche il numero assurdo di giovani morti sulle strade italiane va collegato alla droga, e non solo all'alcol. Chissà quante cose non raccontano, i medici legali, per non ferire una famiglia già distrutta dal dolore.Ma una società adulta deve dirsele, certe cose. Deve ammettere che la droga leggera — se mai c'è stata — non è più tanto leggera, e resta una droga, e crea dipendenza, e ha effetti sul sistema nervoso che possiamo soltanto sospettare. I ragazzi più svegli l'hanno capito. Agli altri bisogna spiegarlo: con pazienza e tolleranza, ma senza incertezze. Non possiamo lasciare che l'educazione e l'informazione in queste materie venga impartita da un incosciente televisivo, da un cretinetti radiofonico o dalla casualità della Rete. Le nostre pigrizie — peggio, le nostre complicità — possono provocare disastri.Scrivo da Brighton, sotto il cielo azzurro del Sussex, dove molti anni fa ho cominciato ad appassionarmi a questo Paese. Era l'estate del 1972: avevamo quindici anni, e sulla costa della Manica non c'erano solo Ziggy Stardust, Gary Glitter e sciami di deliziose coetanee scandinave. Giravano skin-heads violenti, alcol a go-go e droghe assortite: tutti i rischi e le tentazioni che un teenager deve conoscere, e gestire. Ma qualcuno a casa, prima di partire, ci aveva detto: questo è bene, questo è male. Poi toccava a noi decidere. Adesso tocca a loro decidere. Ma tocca a noi dirgli: ragazzi, non scherziamo. La droga è male, e fa male. Beppe Severgnini20 luglio 2007 |
6/19/2007
IL GRANDE CUORE DI MILANO BATTE IN NOVE ZONE
I fatti: giovedì 24 maggio, tranviere accoltellato mentre difende automobilista aggredita; giovedì 14 giugno, portinaia sventa truffa ad anziana. L’antefatto: lunedì 26 marzo, tutta Milano,sebbene divisa sulle modalità, si mobilita per la sicurezza. La realtà: solo il Comune assegna ai cittadini benemeriti un riconoscimento ufficiale, l’Ambrogino d’oro.
IL GRANDE CUORE DI MILANO BATTE IN NOVE ZONE
Alla fine del discorso tenuto in coda alla fiaccolata per la sicurezza il Sindaco Moratti ha affermato che “La politica deve dare risposte alle esigenze sociali, dare voce e visibilità a problemi veri e concreti”. Per questo in qualità di Consigliere di Zona vorrei avere la possibilità di premiare in modo tempestivo quei cittadini che con il loro esempio, nella loro “semplicità” quotidiana contribuiscono con coraggio a far ritrovare quel senso civico di solidarietà e di appartenenza ad una comunità che tutti noi lamentiamo, da tempo, essere andato perduto. Ma che tali piccoli grandi gesti non possono che contribuire, con forza e orgoglio, a farcelo ritrovare. Per questo propongo che i Consigli di Zona si mettano in rete per creare il loro riconsocimento ufficiale che non avrà certo meno importanza dell’Ambrogino d’Oro. Da parte mia, per la Zona 3, ho già due grandi cuori da premiare: Pasquale D.C. e Annamaria S.
Dal Corriere del 16 giugno
IL GRANDE CUORE DI MILANO BATTE IN NOVE ZONE
Alla fine del discorso tenuto in coda alla fiaccolata per la sicurezza il Sindaco Moratti ha affermato che “La politica deve dare risposte alle esigenze sociali, dare voce e visibilità a problemi veri e concreti”. Per questo in qualità di Consigliere di Zona vorrei avere la possibilità di premiare in modo tempestivo quei cittadini che con il loro esempio, nella loro “semplicità” quotidiana contribuiscono con coraggio a far ritrovare quel senso civico di solidarietà e di appartenenza ad una comunità che tutti noi lamentiamo, da tempo, essere andato perduto. Ma che tali piccoli grandi gesti non possono che contribuire, con forza e orgoglio, a farcelo ritrovare. Per questo propongo che i Consigli di Zona si mettano in rete per creare il loro riconsocimento ufficiale che non avrà certo meno importanza dell’Ambrogino d’Oro. Da parte mia, per la Zona 3, ho già due grandi cuori da premiare: Pasquale D.C. e Annamaria S.
Dal Corriere del 16 giugno
6/13/2007
SIAMO IN ONDA!
Ciao a tutti!

Vi prego di guardare, giovedì 14 giugno, alle ore 23,
PUNTI DI VISTA - BIG CITY LIFE la trasmissione , in onda
su Telelombardia e Sky Tv al canale 901.
Come anticipato si tratta di un nuovo format televisivo pensato per dare a chiunque la possibilità, in 3 minuti, di esprimere il proprio punto di vista su Milano.
Tengo molto alle vostre opinioni e tutti i consigli che avrete la bontà di darmi saranno i ben accetti. Grazie.

I video visibili al sito http://info.kijiji.it/pages/BigCityLife.htm sono ora anche su youtube.

Vi prego di guardare, giovedì 14 giugno, alle ore 23,
PUNTI DI VISTA - BIG CITY LIFE la trasmissione , in onda
su Telelombardia e Sky Tv al canale 901.
Come anticipato si tratta di un nuovo format televisivo pensato per dare a chiunque la possibilità, in 3 minuti, di esprimere il proprio punto di vista su Milano.
Tengo molto alle vostre opinioni e tutti i consigli che avrete la bontà di darmi saranno i ben accetti. Grazie.

I video visibili al sito http://info.kijiji.it/pages/BigCityLife.htm sono ora anche su youtube.
5/28/2007
COSA AVETE DA FARE IL 2 GIUGNO?
Cari amici/amiche,
Per il due giugno (sabato prossimo) si terrà una partita di rugby al Giuriati di Milano con giocatori della Serie A italiana e degli invitati stranieri.Il ricavato (non dell’ingresso che è libero, ma degli sponsor) andrà al reparto pediatrico del Besta di Milano.Sarà una giornata dedicata al Rugby (MILANO RUGBY DAY) che alle 1600 vedrà questo partita spettacolo che – amanti del rugby o meno – non potete perdervi.A seguire TERZO TEMPO, ovvero bevute e mangiate.
Guardatevi il sito www.inmetaperunsorriso.com ci sono dei video, delle curiosità.E’ importante riempire il Giuriati per cercare di ripetere questa festa l’anno prossimo. INGRESSO LIBERO.
Fate girare la mail se potete!
Per il due giugno (sabato prossimo) si terrà una partita di rugby al Giuriati di Milano con giocatori della Serie A italiana e degli invitati stranieri.Il ricavato (non dell’ingresso che è libero, ma degli sponsor) andrà al reparto pediatrico del Besta di Milano.Sarà una giornata dedicata al Rugby (MILANO RUGBY DAY) che alle 1600 vedrà questo partita spettacolo che – amanti del rugby o meno – non potete perdervi.A seguire TERZO TEMPO, ovvero bevute e mangiate.
Guardatevi il sito www.inmetaperunsorriso.com ci sono dei video, delle curiosità.E’ importante riempire il Giuriati per cercare di ripetere questa festa l’anno prossimo. INGRESSO LIBERO.
Fate girare la mail se potete!
5/15/2007
3 minuti di celebrità!
4/03/2007
UN'ALTRA STORIA, giovedì 19 aprile 2007


«Un’altra storia»
giovedì 19 aprile - ore 18
Hotel dei Cavalieri - Milano (Piazza Missori 1)
Benedetta Borsani e Luciano Garibaldi, avvalendosi anche del contributo di Andrea G. Pinketts e di Carlo Tognoli, raccontano la storia dell’eroe cieco Carlo Borsani, ricordando a tutti che il 25 Aprile e seguenti non furono soltanto giorni di gloria.
VENTICINQUE APRILE: OMAGGIO A UN VINTO
Quattro persone delle più diverse provenienze si sono incontrate per lanciare un messaggio di grande significato in occasione dell’anniversario del 25 Aprile: una data che dovrebbe unire in nome della libertà e del rispetto della persona, ma divide ancora. Le quattro persone sono l’ex sindaco socialista di Milano, Carlo Tognoli, l’esponente politica di An, Benedetta Borsani, il giornalista e storico, Luciano Garibaldi, e il giallista Andrea G. Pinketts. Assieme, hanno realizzato un libro che s’intitola «Un’altra storia». Edito da M&B Publishing, 104 pagine, 10 euro.
Il libro è al tempo stesso la storia della Medaglia d’Oro al Valor Militare, Carlo Borsani, un fascista convinto che, però, si era personalmente adoperato per salvare la vita di ebrei ed antifascisti, e che nonostante fosse cieco e non rappresentasse alcun pericolo, venne ucciso dai partigiani comunisti a Milano il 29 aprile 1945, ma è anche un’esortazione a rivisitare la Liberazione non semplicemente come conflitto tra i «buoni» idealisti e paladini della democrazia e i «cattivi» di Salò senza ideali e sostenitori di un brutale totalitarismo. Da ultimo. Ma non meno importante, una precisa anche se opinabile valutazione storica e culturale di ciò che fu, oltre sessant’anni fa, la guerra civile in Italia, valutazione fatta da uno dei più brillanti giallisti del panorama letterario italiano.
3/23/2007
Per una Milano più sicura
Alleanza Nazionale invita i propri iscritti, militanti e la cittadinanza tutta a partecipare lunedì 26 marzo, alle ore 20, alla manifestazione per la sicurezza della nostra città a fianco del Sindaco Moratti per denunciare le inadempienze del governo Prodi e ribadire l’impegno per la sicurezza nella vita di tutti i giorni.
3/20/2007
CANNABIS NO ... FINALMENTE
19 marzo, 2007-Corriere della Sera-Ziino Giulia
L' Independent ci ripensa: lo spinello fa male
Si scusa il giornale simbolo dell' antiproibizionismo.
I radicali: paternalismo
MILANO - Anni fa l' Independent guidò la campagna perché la Cannabis fosse declassata a droga leggera. Ma oggi ne circolano versioni potenziate assai dannose. E il quotidiano britannico chiede scusa. A pagina 25
Marcia indietro del quotidiano inglese 10 anni dopo. «L' hashish oggi è molto più dannoso» «Cannabis libera, ci siamo sbagliati» L' Independent si scusa: un errore la depenalizzazione
MILANO - Scusate, ci siamo sbagliati. Non è da tutti tornare sui propri passi, soprattutto dopo che si è sposata una causa portando in piazza, per difenderla, 16 mila persone. Ma se in gioco ci sono vite umane (e tante, circa 22 mila) fare marcia indietro è necessario. Lo ha fatto l' Independent, autorevole quotidiano britannico, giornale di riferimento della sinistra radical, famoso per le sue prese di posizione (ultime quelle sull' Iraq e sui cambiamenti climatici). Ieri, nell' edizione domenicale, il giornale è uscito con una copertina in cui, accanto a una foglia di marijuana, campeggiavano a tutta pagina delle inequivocabili scuse. Scuse per aver lanciato dieci anni fa, nel 1997, una campagna senza precedenti di depenalizzazione della cannabis. L' anno dopo la presa di posizione del quotidiano, a Londra, 16 mila persone marciarono verso Hyde Park per manifestare il loro sostegno e il governo (anni dopo, nel 2004) pressato dall' opinione pubblica finì per declassare la cannabis dalla categoria B alla C, quella delle droghe leggere. Ora l' Independent fa dietrofront: si pente per aver chiesto a gran voce la depenalizzazione e lancia l' allarme sugli effetti disastrosi della cannabis sull' organismo umano e sulla psiche. Il quotidiano non rinnega le ragioni che dieci anni fa lo spinsero a chiedere il declassamento della cannabis (la pianta da cui si ottiene l' hashish) ma, avverte, oggi la situazione è drasticamente mutata. L' hashish che si fuma - si legge nell' editoriale - non è quello del ' 97: in dieci anni, la sostanza di allora è stata sostituita dallo skunk, in inglese «puzzola», una versione 25 volte più potente, capace di provocare gravi danni mentali a chi ne fa uso. Nel 2006 in Gran Bretagna - continua l' Independent - più di 22 mila persone si sono sottoposte alla terapia di disintossicazione dallo skunk, e di questi quasi la metà erano minorenni. La nuova droga non ha nessuna parentela con la tradizionale resina di cannabis, rispetto alla quale contiene in una dose 25 volte maggiore il tetrahydrocannabinolo (thc), il principio psicoattivo che distorce le percezioni sensoriali. In pratica, l' ingrediente che provoca lo «sballo» ma può causare gravi perdite di memoria e veri fenomeni psicotici. Considerata la diffusione della cannabis, soprattutto tra gli adolescenti, il fenomeno ha già assunto contorni preoccupanti: il numero dei ricoverati per disturbi mentali e del comportamento legati all' uso di cannabis, nel Regno Unito è salito dai 581 del 2001 ai circa mille dell' anno passato. Oltre alle cifre, che già parlano chiaro, a sostegno della sua battaglia l' Independent cita il cambio di rotta di personalità come il leader dei conservatori David Cameron e annuncia la pubblicazione sul prossimo numero della rivista Lancet di uno studio che dimostra che lo skunk è più pericoloso dell' Lsd e dell' ecstasy. Si attendono reazioni. In Italia non si sono fatte attendere: «Quanto pubblicato dall' Independent - ha detto il radicale Marco Perduca, segretario della Lega internazionale antiproibizionisti - è un' autocritica tipica di chi non affronta il problema degli stupefacenti alla radice ma solo in termini paternalistici. Indipendentemente dalla loro tossicità, mantenere gli stupefacenti illegali non aiuterà a governare un fenomeno che, in virtù del proibizionismo, aumenta costantemente».
1600 *** gli inglesi in cura per disintossicarsi dalla cannabis nel 1997
22mila *** gli inglesi in cura per disintossicarsi dalla cannabis nel 2006
L' Independent ci ripensa: lo spinello fa male
Si scusa il giornale simbolo dell' antiproibizionismo.
I radicali: paternalismo
MILANO - Anni fa l' Independent guidò la campagna perché la Cannabis fosse declassata a droga leggera. Ma oggi ne circolano versioni potenziate assai dannose. E il quotidiano britannico chiede scusa. A pagina 25
Marcia indietro del quotidiano inglese 10 anni dopo. «L' hashish oggi è molto più dannoso» «Cannabis libera, ci siamo sbagliati» L' Independent si scusa: un errore la depenalizzazione
MILANO - Scusate, ci siamo sbagliati. Non è da tutti tornare sui propri passi, soprattutto dopo che si è sposata una causa portando in piazza, per difenderla, 16 mila persone. Ma se in gioco ci sono vite umane (e tante, circa 22 mila) fare marcia indietro è necessario. Lo ha fatto l' Independent, autorevole quotidiano britannico, giornale di riferimento della sinistra radical, famoso per le sue prese di posizione (ultime quelle sull' Iraq e sui cambiamenti climatici). Ieri, nell' edizione domenicale, il giornale è uscito con una copertina in cui, accanto a una foglia di marijuana, campeggiavano a tutta pagina delle inequivocabili scuse. Scuse per aver lanciato dieci anni fa, nel 1997, una campagna senza precedenti di depenalizzazione della cannabis. L' anno dopo la presa di posizione del quotidiano, a Londra, 16 mila persone marciarono verso Hyde Park per manifestare il loro sostegno e il governo (anni dopo, nel 2004) pressato dall' opinione pubblica finì per declassare la cannabis dalla categoria B alla C, quella delle droghe leggere. Ora l' Independent fa dietrofront: si pente per aver chiesto a gran voce la depenalizzazione e lancia l' allarme sugli effetti disastrosi della cannabis sull' organismo umano e sulla psiche. Il quotidiano non rinnega le ragioni che dieci anni fa lo spinsero a chiedere il declassamento della cannabis (la pianta da cui si ottiene l' hashish) ma, avverte, oggi la situazione è drasticamente mutata. L' hashish che si fuma - si legge nell' editoriale - non è quello del ' 97: in dieci anni, la sostanza di allora è stata sostituita dallo skunk, in inglese «puzzola», una versione 25 volte più potente, capace di provocare gravi danni mentali a chi ne fa uso. Nel 2006 in Gran Bretagna - continua l' Independent - più di 22 mila persone si sono sottoposte alla terapia di disintossicazione dallo skunk, e di questi quasi la metà erano minorenni. La nuova droga non ha nessuna parentela con la tradizionale resina di cannabis, rispetto alla quale contiene in una dose 25 volte maggiore il tetrahydrocannabinolo (thc), il principio psicoattivo che distorce le percezioni sensoriali. In pratica, l' ingrediente che provoca lo «sballo» ma può causare gravi perdite di memoria e veri fenomeni psicotici. Considerata la diffusione della cannabis, soprattutto tra gli adolescenti, il fenomeno ha già assunto contorni preoccupanti: il numero dei ricoverati per disturbi mentali e del comportamento legati all' uso di cannabis, nel Regno Unito è salito dai 581 del 2001 ai circa mille dell' anno passato. Oltre alle cifre, che già parlano chiaro, a sostegno della sua battaglia l' Independent cita il cambio di rotta di personalità come il leader dei conservatori David Cameron e annuncia la pubblicazione sul prossimo numero della rivista Lancet di uno studio che dimostra che lo skunk è più pericoloso dell' Lsd e dell' ecstasy. Si attendono reazioni. In Italia non si sono fatte attendere: «Quanto pubblicato dall' Independent - ha detto il radicale Marco Perduca, segretario della Lega internazionale antiproibizionisti - è un' autocritica tipica di chi non affronta il problema degli stupefacenti alla radice ma solo in termini paternalistici. Indipendentemente dalla loro tossicità, mantenere gli stupefacenti illegali non aiuterà a governare un fenomeno che, in virtù del proibizionismo, aumenta costantemente».
1600 *** gli inglesi in cura per disintossicarsi dalla cannabis nel 1997
22mila *** gli inglesi in cura per disintossicarsi dalla cannabis nel 2006
3/13/2007
2/27/2007
AFGHANISTAN
Ciao a tutti!
Da oggi ho deciso di cominciare con voi una serena e seria riflessione sull'Afghanistan e, più in generale, sulla nostra politica internazionale. E le inevitabili conseguenze sulla nostra politica interna, nonché, più direttamente, nella nostra vita di tutti i giorni.
Si tratta cetamente di argomenti spinosi su cui tutti noi abbiamo già delle posizioni.
Vediamo,allora, di confrontarci. In modo pacato e costruttivo.
Per fare questo comincerò oggi col segnalarvi un articolo pubblicato su L'Espresso.
Mi rendo conto che è un po' lungo, ma vi assicuro che vale la pena leggerlo fino in fondo.
Buona lettura.
Missione ombra - di Gianluca Di Feo
Ottomila soldati sparsi nel mondo. Metà dimenticati nei Balcani. Senza una strategia che giustifichi il rischio. Mentre in Afghanistan e Libano ora tutto si fa difficile.
Adesso sì che rischiano di diventare missioni impossibili. Perché dopo il tonfo in Senato, per i nostri contingenti la situazione si fa sempre più complicata. Oggi ci sono 7.456 militari impegnati in 25 operazioni: una lista che comprende persino 69 osservatori in Congo, sei in Marocco e sei sul confine indo-pakistano. Ci sono squadroni che sembrano dimenticati dalla storia, come i marinai che nel mar Rosso vigilano da un quarto di secolo sugli accordi di Camp David. C'è poi il dispositivo nei Balcani, più di 3 mila uomini a sorvegliare i frammenti della ex Jugoslavia. Ma i problemi seri si aprono per i comandi in Libano e Afghanistan, condizionati dallo sfaldamento dell'Unione. Mentre a Roma la maggioranza frana, a Kabul nel quartier generale della Nato si valuta la possibilità di mandare i nostri soldati al fronte per riportare la sicurezza nella cittadina di Bakwa, occupata dai talebani lunedì 19 febbraio e abbandonata dopo un giorno. È un compito che spetta ai nostri soldati, perché quella provincia sperduta fa parte della regione affidata al contingente tricolore. Il nuovo comandante in capo americano, il generale Dan McNeil, avrebbe invocato un intervento lampo con gli elicotteri, ma italiani e spagnoli si sarebbero opposti. E, come 'L'espresso' ha ricostruito, già due volte la scorsa estate le nostre truppe sono state spedite a Bakwa per ristabilire l'ordine dopo gli attacchi dei fondamentalisti. La prima missione a luglio fu affidata a una colonna composta da una settantina di americani, una compagnia di spagnoli, un distaccamento di incursori della nostra Marina e un'unità italiana di Psy Ops, il gergo Nato per indicare chi si occupa di conquistare il sostegno della popolazione: il raggruppamento occidentale raggiunse la città dopo una marcia di tre giorni. La seconda fase dell'operazione Turtle scattò un mese dopo, in risposta a un altro assalto talebano: questa volta i commandos italiani si mossero fianco a fianco con marines statunitensi e parà portoghesi. In entrambe le spedizioni, secondo il bollettino afgano dell'Alleanza Atlantica 'Isaf Mirror', i guerriglieri si sarebbero ritirati senza combattere. Ma bisogna ricordare che negli stessi giorni una pattuglia di incursori del Comsubin è stata colpita da una trappola esplosiva nella zona di Bala Baluk, non lontano da Bakwa: sono rimasti feriti in quattro, fortunatamente in modo lieve. Cosa stessero facendo i commandos di La Spezia resta top secret. Come ogni mossa condotta dal contingente afgano dopo la vittoria del governo di centrosinistra. Adesso il mercoledì delle ceneri di Palazzo Madama suona come una sorta di 8 settembre per i reparti che si trovano in prima linea. Sono passati 15 anni dai primi caduti in missione di pace, quattro elicotteristi uccisi da un Mig serbo mentre vigilavano sul confine croato, ma le questioni principali restano sempre le stesse. A cosa servono queste operazioni? Aiutano le popolazioni? Sono uno strumento di politica estera indispensabile? E le nostre truppe sono in condizione di svolgere i compiti che gli vengono assegnati? Finora il bilancio mostra luci e ombre. Il successo migliore, la pacificazione del Mozambico, non lo ricorda nessuno. Ma altrettanto dimenticata è l'avventura somala, costata 11 vite e una frattura con gli americani per poi lasciare l'ex colonia nel caos. Per non parlare dell'Iraq o della costosissima incursione esotica nel Timor Est. Capitoli chiusi, che lasciano aperti interrogativi sul presente. Prendiamo il caso della Bosnia: la bandiera tricolore nella città martire è stata issata nel dicembre 1995. Per i primi dieci anni si sono alternati 20 mila soldati con un costo stimato in oltre 3 mila miliardi di lire: attualmente il nostro raggruppamento conta 898 uomini e nessuno sa quando faranno le valigie. Di sicuro la Nato ha fermato la guerra; 12 anni di pace non sono però bastati a costruire una pace in grado di reggere senza mitra spianati. Peggiori le prospettive in Kosovo, dove siamo sbarcati in massa nel giugno '99: in questo momento il contingente ha 2.308 soldati che finora sono costati al contribuente 1.500 milioni di euro. La spesa è in calo costante, 75 milioni nell'ultimo semestre, ma non la tensione che ha appena provocato una rivolta di piazza e rischia sempre di riaccendersi in una regione amministrata dall'Onu, dove non ci sono risorse e si moltiplicano i traffici. La crisi dell'Unione adesso rende tutto più confuso. E rischia di incidere in modo determinante sulla situazione in Libano e in Afghanistan. Nel paese dei cedri ci sono 2.500 soldati, con armamenti pesanti e compiti incerti. La frontiera israeliana è relativamente calma, ma il disarmo degli hezbollah non è mai partito e il quadro politico interno (vedi anche servizio a pag. 88) quanto mai frammentato. L'incubo è che l'operazione Leonte segua le orme della precedente Unifil, che ha costretto i nostri caschi blu a volare senza sosta dal 1979 tra le raffiche di israeliani, palestinesi e sciiti: enormi apprezzamenti umanitari, nessun passo avanti nella stabilizzazione dell'area. Il problema qui adesso è politico-militare, perché il comando operativo di tutte la forza multinazionale è italiano e in caso di azioni ostili la linea del governo diventerà determinante. Quale sarà? In 12 anni di missioni non c'è mai stata un'iniziativa offensiva: l'attenzione principale è stata quella di fare qualcosa per la popolazione e, soprattutto dopo la strage di Nassiriya, non correre rischi. I combattimenti sono stati pochi. Solo cinque volte sono stati affrontati scontri su larga scala: ma le uniche vere battaglie restano quella del check point Pasta a Mogadiscio e le due dei Ponti a Nassiriya. Si tratta sempre di manovre difensive, per respingere attacchi o per riconquistare postazioni che avevamo dovuto abbandonare. L'unica spedizione di natura 'aggressiva' è passata inosservata: nell'agosto 2003 alpini e parà si inoltrarono tra i monti afgani a caccia di guerriglieri islamici. Ma questa 'Warrior sweep', letteralmente 'far pulizia dei guerrieri', si concluse senza sparare un colpo: talebani e qaedisti rimasero fuori tiro. A vedere la statistica, quindi, si è trattato di missioni poco bellicose. Questo talvolta ci ha portato in rotta di collisione con i nostri alleati, come in Somalia e ora a Kabul, ma in altre occasioni ha permesso di operare dove altri dovevano scappare.
Poi negli ultimi cinque anni la volontà di evitare perdite sembra avere preso il sopravvento sulle ricerca dei risultati, mettendo così in crisi il ruolo dei militari. Compito dei contingenti armati infatti dovrebbe essere quello di garantire la sicurezza delle regioni e, secondariamente, proteggere i soldati. Per questo, prima dell'Iraq, la linea dello Stato maggiore era sempre stata quella di mandare al fronte i mezzi più moderni e potenti, eccedendo in carri armati, cannoni ed elicotteri. Dopo invece si è scelto un profilo molto basso, che riduce la capacità di intervento. A Nassiriya nel 2004 la sede del governo provvisorio è rimasta assediata, cosa che viene ancora oggi rinfacciata dai diplomatici stranieri, perché non erano disponibili tank: mezzi spediti con urgenza solo dopo la morte di un lagunare e di un elicotterista. Anche quando i segnali di pericolo erano inequivocabili, l'esigenza di mantenere una presenza 'di pace' si è tradotta in un'unica indicazione operativa: uscite dai fortini il meno possibile.
In queste ore lo stesso copione si ripropone in Afghanistan. Tra Kabul ed Herat ci sono 1.933 soldati, per un'operazione già costata 725 milioni di euro. Fino ad adesso, l'italian style è riuscito a portare una ventata di serenità in alcune vallate dove si sparava senza sosta dai giorni dell'invasione sovietica. Ma il clima sta cambiando: l'annunciato grande assalto talebano è alle porte. E i nostri comandi non prendono contromisure. Tutti gli alleati stanno mandando di corsa tank e artiglieria, non tanto per attaccare, quanto per garantire la difesa delle basi e degli spostamenti. Gli italiani invece hanno deciso di mantenere un dispositivo leggerissimo: al massimo mitragliatrici. Non ci sono cannoni, né mortai, né veicoli corazzati, né elicotteri a prova di proiettile. Il mezzo più potente sono le autoblindo Puma, che rischiano di fare la figura delle 'scatole di sardine' di mussoliniana memoria. Non ci sono nemmeno le torrette per proteggere i mitraglieri, obbligati a fare da bersaglio per i cecchini. Il generale Mauro Pescarini, responsabile degli armamenti terrestri, in un'intervista al mensile 'Panorama Difesa' ha ammesso: "Le blindo leggere Puma vengono impiegate per compiti diversi da quelli per i quali erano stati concepiti. Si tratta pertanto di mezzi che hanno bisogno di ritocchi in corso d'opera per quanto riguarda una maggiore protezione e una maggiore capacità di autodifesa". Ma fino a settembre gli alpini si dovranno arrangiare: a Roma hanno altro a cui pensare. (23 febbraio 2007)
Da oggi ho deciso di cominciare con voi una serena e seria riflessione sull'Afghanistan e, più in generale, sulla nostra politica internazionale. E le inevitabili conseguenze sulla nostra politica interna, nonché, più direttamente, nella nostra vita di tutti i giorni.
Si tratta cetamente di argomenti spinosi su cui tutti noi abbiamo già delle posizioni.
Vediamo,allora, di confrontarci. In modo pacato e costruttivo.
Per fare questo comincerò oggi col segnalarvi un articolo pubblicato su L'Espresso.
Mi rendo conto che è un po' lungo, ma vi assicuro che vale la pena leggerlo fino in fondo.
Buona lettura.
Missione ombra - di Gianluca Di Feo
Ottomila soldati sparsi nel mondo. Metà dimenticati nei Balcani. Senza una strategia che giustifichi il rischio. Mentre in Afghanistan e Libano ora tutto si fa difficile.
Adesso sì che rischiano di diventare missioni impossibili. Perché dopo il tonfo in Senato, per i nostri contingenti la situazione si fa sempre più complicata. Oggi ci sono 7.456 militari impegnati in 25 operazioni: una lista che comprende persino 69 osservatori in Congo, sei in Marocco e sei sul confine indo-pakistano. Ci sono squadroni che sembrano dimenticati dalla storia, come i marinai che nel mar Rosso vigilano da un quarto di secolo sugli accordi di Camp David. C'è poi il dispositivo nei Balcani, più di 3 mila uomini a sorvegliare i frammenti della ex Jugoslavia. Ma i problemi seri si aprono per i comandi in Libano e Afghanistan, condizionati dallo sfaldamento dell'Unione. Mentre a Roma la maggioranza frana, a Kabul nel quartier generale della Nato si valuta la possibilità di mandare i nostri soldati al fronte per riportare la sicurezza nella cittadina di Bakwa, occupata dai talebani lunedì 19 febbraio e abbandonata dopo un giorno. È un compito che spetta ai nostri soldati, perché quella provincia sperduta fa parte della regione affidata al contingente tricolore. Il nuovo comandante in capo americano, il generale Dan McNeil, avrebbe invocato un intervento lampo con gli elicotteri, ma italiani e spagnoli si sarebbero opposti. E, come 'L'espresso' ha ricostruito, già due volte la scorsa estate le nostre truppe sono state spedite a Bakwa per ristabilire l'ordine dopo gli attacchi dei fondamentalisti. La prima missione a luglio fu affidata a una colonna composta da una settantina di americani, una compagnia di spagnoli, un distaccamento di incursori della nostra Marina e un'unità italiana di Psy Ops, il gergo Nato per indicare chi si occupa di conquistare il sostegno della popolazione: il raggruppamento occidentale raggiunse la città dopo una marcia di tre giorni. La seconda fase dell'operazione Turtle scattò un mese dopo, in risposta a un altro assalto talebano: questa volta i commandos italiani si mossero fianco a fianco con marines statunitensi e parà portoghesi. In entrambe le spedizioni, secondo il bollettino afgano dell'Alleanza Atlantica 'Isaf Mirror', i guerriglieri si sarebbero ritirati senza combattere. Ma bisogna ricordare che negli stessi giorni una pattuglia di incursori del Comsubin è stata colpita da una trappola esplosiva nella zona di Bala Baluk, non lontano da Bakwa: sono rimasti feriti in quattro, fortunatamente in modo lieve. Cosa stessero facendo i commandos di La Spezia resta top secret. Come ogni mossa condotta dal contingente afgano dopo la vittoria del governo di centrosinistra. Adesso il mercoledì delle ceneri di Palazzo Madama suona come una sorta di 8 settembre per i reparti che si trovano in prima linea. Sono passati 15 anni dai primi caduti in missione di pace, quattro elicotteristi uccisi da un Mig serbo mentre vigilavano sul confine croato, ma le questioni principali restano sempre le stesse. A cosa servono queste operazioni? Aiutano le popolazioni? Sono uno strumento di politica estera indispensabile? E le nostre truppe sono in condizione di svolgere i compiti che gli vengono assegnati? Finora il bilancio mostra luci e ombre. Il successo migliore, la pacificazione del Mozambico, non lo ricorda nessuno. Ma altrettanto dimenticata è l'avventura somala, costata 11 vite e una frattura con gli americani per poi lasciare l'ex colonia nel caos. Per non parlare dell'Iraq o della costosissima incursione esotica nel Timor Est. Capitoli chiusi, che lasciano aperti interrogativi sul presente. Prendiamo il caso della Bosnia: la bandiera tricolore nella città martire è stata issata nel dicembre 1995. Per i primi dieci anni si sono alternati 20 mila soldati con un costo stimato in oltre 3 mila miliardi di lire: attualmente il nostro raggruppamento conta 898 uomini e nessuno sa quando faranno le valigie. Di sicuro la Nato ha fermato la guerra; 12 anni di pace non sono però bastati a costruire una pace in grado di reggere senza mitra spianati. Peggiori le prospettive in Kosovo, dove siamo sbarcati in massa nel giugno '99: in questo momento il contingente ha 2.308 soldati che finora sono costati al contribuente 1.500 milioni di euro. La spesa è in calo costante, 75 milioni nell'ultimo semestre, ma non la tensione che ha appena provocato una rivolta di piazza e rischia sempre di riaccendersi in una regione amministrata dall'Onu, dove non ci sono risorse e si moltiplicano i traffici. La crisi dell'Unione adesso rende tutto più confuso. E rischia di incidere in modo determinante sulla situazione in Libano e in Afghanistan. Nel paese dei cedri ci sono 2.500 soldati, con armamenti pesanti e compiti incerti. La frontiera israeliana è relativamente calma, ma il disarmo degli hezbollah non è mai partito e il quadro politico interno (vedi anche servizio a pag. 88) quanto mai frammentato. L'incubo è che l'operazione Leonte segua le orme della precedente Unifil, che ha costretto i nostri caschi blu a volare senza sosta dal 1979 tra le raffiche di israeliani, palestinesi e sciiti: enormi apprezzamenti umanitari, nessun passo avanti nella stabilizzazione dell'area. Il problema qui adesso è politico-militare, perché il comando operativo di tutte la forza multinazionale è italiano e in caso di azioni ostili la linea del governo diventerà determinante. Quale sarà? In 12 anni di missioni non c'è mai stata un'iniziativa offensiva: l'attenzione principale è stata quella di fare qualcosa per la popolazione e, soprattutto dopo la strage di Nassiriya, non correre rischi. I combattimenti sono stati pochi. Solo cinque volte sono stati affrontati scontri su larga scala: ma le uniche vere battaglie restano quella del check point Pasta a Mogadiscio e le due dei Ponti a Nassiriya. Si tratta sempre di manovre difensive, per respingere attacchi o per riconquistare postazioni che avevamo dovuto abbandonare. L'unica spedizione di natura 'aggressiva' è passata inosservata: nell'agosto 2003 alpini e parà si inoltrarono tra i monti afgani a caccia di guerriglieri islamici. Ma questa 'Warrior sweep', letteralmente 'far pulizia dei guerrieri', si concluse senza sparare un colpo: talebani e qaedisti rimasero fuori tiro. A vedere la statistica, quindi, si è trattato di missioni poco bellicose. Questo talvolta ci ha portato in rotta di collisione con i nostri alleati, come in Somalia e ora a Kabul, ma in altre occasioni ha permesso di operare dove altri dovevano scappare.
Poi negli ultimi cinque anni la volontà di evitare perdite sembra avere preso il sopravvento sulle ricerca dei risultati, mettendo così in crisi il ruolo dei militari. Compito dei contingenti armati infatti dovrebbe essere quello di garantire la sicurezza delle regioni e, secondariamente, proteggere i soldati. Per questo, prima dell'Iraq, la linea dello Stato maggiore era sempre stata quella di mandare al fronte i mezzi più moderni e potenti, eccedendo in carri armati, cannoni ed elicotteri. Dopo invece si è scelto un profilo molto basso, che riduce la capacità di intervento. A Nassiriya nel 2004 la sede del governo provvisorio è rimasta assediata, cosa che viene ancora oggi rinfacciata dai diplomatici stranieri, perché non erano disponibili tank: mezzi spediti con urgenza solo dopo la morte di un lagunare e di un elicotterista. Anche quando i segnali di pericolo erano inequivocabili, l'esigenza di mantenere una presenza 'di pace' si è tradotta in un'unica indicazione operativa: uscite dai fortini il meno possibile.
In queste ore lo stesso copione si ripropone in Afghanistan. Tra Kabul ed Herat ci sono 1.933 soldati, per un'operazione già costata 725 milioni di euro. Fino ad adesso, l'italian style è riuscito a portare una ventata di serenità in alcune vallate dove si sparava senza sosta dai giorni dell'invasione sovietica. Ma il clima sta cambiando: l'annunciato grande assalto talebano è alle porte. E i nostri comandi non prendono contromisure. Tutti gli alleati stanno mandando di corsa tank e artiglieria, non tanto per attaccare, quanto per garantire la difesa delle basi e degli spostamenti. Gli italiani invece hanno deciso di mantenere un dispositivo leggerissimo: al massimo mitragliatrici. Non ci sono cannoni, né mortai, né veicoli corazzati, né elicotteri a prova di proiettile. Il mezzo più potente sono le autoblindo Puma, che rischiano di fare la figura delle 'scatole di sardine' di mussoliniana memoria. Non ci sono nemmeno le torrette per proteggere i mitraglieri, obbligati a fare da bersaglio per i cecchini. Il generale Mauro Pescarini, responsabile degli armamenti terrestri, in un'intervista al mensile 'Panorama Difesa' ha ammesso: "Le blindo leggere Puma vengono impiegate per compiti diversi da quelli per i quali erano stati concepiti. Si tratta pertanto di mezzi che hanno bisogno di ritocchi in corso d'opera per quanto riguarda una maggiore protezione e una maggiore capacità di autodifesa". Ma fino a settembre gli alpini si dovranno arrangiare: a Roma hanno altro a cui pensare. (23 febbraio 2007)
2/26/2007
Il giusto compenso: vogliamo parlarne?
Ciao a tutti!
Una mia amica mi ha segnalato un articolo del Corriere della Sera che mi era sfuggito...che ne dite?
Il Festival è salvo. Sanremo, sbloccati i compensi
Il ministro Nicolais firma la circolare che elimina il tetto dei compensi. Niente più limite di 272 mila euro
ROMA - Il Festival di Sanremo è salvo. Il ministro per le riforme, Luigi Nicolais, ha firmato oggi la circolare che elimina il tetto ai compensi per le star della Rai, previsto dall'ultima finanziaria. Niente più limite di 272 mila euro, quindi, per i presentatori Pippo Baudo e Michelle Hunzinker.L'eventuale applicazione del tetto previsto dalla finanziaria - è scritto nella circolare firmata dal ministro Nicolais - «altererebbe il normale esplicarsi del confronto aziendale ponendo la società a prevalente partecipazione pubblica in una situazione di svantaggio alterando significativamente le regole del mercato della concorrenza». L'allarme compensi era stato lanciato qualche giorno fa dall'Unità, che in prima pagina aveva sollevato il problema del tetto posto dalla Finanziaria alle retribuzioni dei dirigenti pubblici esterni e dei consulenti di ministeri e società pubbliche non quotate, come è di fatto la Rai. Retribuzioni che, secondo la manovra, non possono essere superiori a quella del primo presidente della Corte di Cassazione, cioè circa 272 mila euro annui. Il punto chiave è diventata l'applicazione della norma, che rischiava di abbattersi come una tegola sui compensi di Pippo Baudo e Michelle Hunziker - i cui contratti al momento non sono stati ancora firmati - e quindi sulla stessa realizzazione del festival, a pochi giorni dal via. Dopo riunioni tecniche di consulenti al Ministero dell'Economia, due giorni fa la questione è arrivata alla Funzione Pubblica. Il ministro Luigi Nicolais ha iniziato così a lavorare alla circolare, firmata oggi, che riconosce che dal tetto ai compensi va esclusa la Rai, che deve misurarsi sul mercato con le regole della concorrenza.
Corriere della Sera - 23 febbraio 2007
Una mia amica mi ha segnalato un articolo del Corriere della Sera che mi era sfuggito...che ne dite?
Il Festival è salvo. Sanremo, sbloccati i compensi
Il ministro Nicolais firma la circolare che elimina il tetto dei compensi. Niente più limite di 272 mila euro
ROMA - Il Festival di Sanremo è salvo. Il ministro per le riforme, Luigi Nicolais, ha firmato oggi la circolare che elimina il tetto ai compensi per le star della Rai, previsto dall'ultima finanziaria. Niente più limite di 272 mila euro, quindi, per i presentatori Pippo Baudo e Michelle Hunzinker.L'eventuale applicazione del tetto previsto dalla finanziaria - è scritto nella circolare firmata dal ministro Nicolais - «altererebbe il normale esplicarsi del confronto aziendale ponendo la società a prevalente partecipazione pubblica in una situazione di svantaggio alterando significativamente le regole del mercato della concorrenza». L'allarme compensi era stato lanciato qualche giorno fa dall'Unità, che in prima pagina aveva sollevato il problema del tetto posto dalla Finanziaria alle retribuzioni dei dirigenti pubblici esterni e dei consulenti di ministeri e società pubbliche non quotate, come è di fatto la Rai. Retribuzioni che, secondo la manovra, non possono essere superiori a quella del primo presidente della Corte di Cassazione, cioè circa 272 mila euro annui. Il punto chiave è diventata l'applicazione della norma, che rischiava di abbattersi come una tegola sui compensi di Pippo Baudo e Michelle Hunziker - i cui contratti al momento non sono stati ancora firmati - e quindi sulla stessa realizzazione del festival, a pochi giorni dal via. Dopo riunioni tecniche di consulenti al Ministero dell'Economia, due giorni fa la questione è arrivata alla Funzione Pubblica. Il ministro Luigi Nicolais ha iniziato così a lavorare alla circolare, firmata oggi, che riconosce che dal tetto ai compensi va esclusa la Rai, che deve misurarsi sul mercato con le regole della concorrenza.
Corriere della Sera - 23 febbraio 2007
2/22/2007
nasce "cugino" IT ... il nuovo logo Italia

Il vicepremier Francesco Rutelli, responsabile dei Beni culturali e del turismo e fortemente voluta dal presidente del Consiglio, Romano Prodi, hanno illustrato alla stampa, a Palazzo Chigi il nuovo strumento per caratterizzare e promuovere l'Italia nel mondo (foto a sinistra). Al bando di gara, indetto per la sua creazione, hanno risposto 75 agenzie pubblicitarie. E' risultato vincitore il progetto dell'agenzia americana Landor, fondata nel 1941 a San Francisco, che vanta tra i propri clienti marche come General Electric, France Telecom, Pepsi, Abertis, Disneyland Parigi, Morgan Stanley e Kellog's. In Italia, la Landor è storicamente conosciuta per identità come Alitalia, Sip, Bnl o Montedison.
A questo punto sorge spontanea una domanda: quanto è costato al lungo Governo Prodi (281giorni) questo nuovo superbo logo che - spiega una nota - non sostituirà, ma si affiancherà ad altri già esistenti di proprietà di enti e istituzioni con finalità simili????
2/21/2007
I DIRITTI DEI DEBOLI SONO DIRITTI FORTI
Informati qui.
2/17/2007
Vincerà la tartaruga ?
Ciao a tutti, come state?
Aprofitto di questa mattinata apparentemente tranquilla (per ora!!!) per segnalarvi che Lunedì prossimo, 19 febbraio 2007, sarà la giornata mondiale della lentezza (non è uno scherzo!).
Viviamo in una società dove il lavoro occupa la maggior parte delle nostre giornate e dove, a causa di ciò, il tempo ci sfugge continuamente e i giorni si susseguono uno dopo l'altro molto, troppo velocemente.
Vi invito pertanto a riscoprire il valore del tempo e ad affrontare questa giornata con un approccio diverso da quello che normalmente si segue nella nostra frenetica Milano. Se riuscite ritagliatevi un pò di tempo per voi stessi, fermatevi a riflettere e cercate di approcciare le cose con serenità, tranquillità e ottimismo.
Aprofitto di questa mattinata apparentemente tranquilla (per ora!!!) per segnalarvi che Lunedì prossimo, 19 febbraio 2007, sarà la giornata mondiale della lentezza (non è uno scherzo!).
Viviamo in una società dove il lavoro occupa la maggior parte delle nostre giornate e dove, a causa di ciò, il tempo ci sfugge continuamente e i giorni si susseguono uno dopo l'altro molto, troppo velocemente.
Vi invito pertanto a riscoprire il valore del tempo e ad affrontare questa giornata con un approccio diverso da quello che normalmente si segue nella nostra frenetica Milano. Se riuscite ritagliatevi un pò di tempo per voi stessi, fermatevi a riflettere e cercate di approcciare le cose con serenità, tranquillità e ottimismo.
1/29/2007
60 ANNI IN FIAMMA
Sabato IO febbraio ore 16.30 - Circolo della Stampa (*)
presenta il suo nuovo libro
60 ANNI IN FIAMMA
60 ANNI IN FIAMMA
dal Movimento Sociale ad Alleanza Nazionale
con: Gianfranco Fini, Gennaro Malgieri e Aldo Di Lello
Testimonianze di: Ignazio La Russa, Cristiana Muscardini, Carlo Borsani
(*) Milano - Corso Venezia, 16
Testimonianze di: Ignazio La Russa, Cristiana Muscardini, Carlo Borsani
(*) Milano - Corso Venezia, 16
1/17/2007
12/29/2006
Gianfranco Fini e la "nuova" Destra italiana
Al link http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Fini-giustifica-i-mezzi/1463989&ref=hpsp
potete leggere l'intervista concessa a l'Espresso da Gianfranco Fini sul futuro di Alleanza Nazionale.
Cosa ne pensate?
potete leggere l'intervista concessa a l'Espresso da Gianfranco Fini sul futuro di Alleanza Nazionale.
Cosa ne pensate?
12/15/2006
11/17/2006
UNA FINANZIARIA DA CANCELLARE
11/03/2006
Dopo 61 anni, pietà l'è morta...ancora
Ieri, 1° novembre, tutti abbiamo celebrato i nostri defunti.
Ma ancora una volta, dopo 61 anni, è polemica sui morti del Campo 10.
Per fortuna qualcuno si è distinto:
il Cardinale Dionigi Tettamanzi che ha pregato, ed invitato a pregare, per tutti i caduti.
GRAZIE.
Ma ancora una volta, dopo 61 anni, è polemica sui morti del Campo 10.
Per fortuna qualcuno si è distinto:
il Cardinale Dionigi Tettamanzi che ha pregato, ed invitato a pregare, per tutti i caduti.
GRAZIE.
11/01/2006
REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
Per i nostri morti
mercoledì 1° novembre - ore 11
Campo 10 del Cimitero Maggiore di Milano
Iddio, che accendi ogni fiamma e fermi ogni cuore,
rinnova ogni giorno la passione mia per l'Italia.
Rendimi sempre più degno dei nostri Morti,
affinché Loro stessi - i più forti -
rispondano ai vivi: PRESENTE .
rispondano ai vivi: PRESENTE .
Nutrisci il mio libro della Tua saggezza
e il mio moschetto della Tua volontà.
Fa più aguzzo il mio sguardo, più sicuro
il mio piede sui valichi sacri della Patria.
Sulle strade, sulle coste, nelle foreste
e sulla quarta sponda che già fu di Roma.
Quando il futuro soldato mi marcia accanto nei ranghi,
ch'io senta battere il suo cuore fedele.
Quando passano i gagliardetti e le bandiere,
che tutti i volti si riconoscano in quello della Patria.
La Patria che faremo più grande
portando ognuno la sua pietra al cantiere.
O Signore ! Fa della Tua Croce
l'insegna che precede il labaro della mia Legione.
E salva l'Italia, l'Italia del Duce,
sempre nell'ora di nostra bella morte.
E salva l'Italia del Duce, del Duce.
E sempre nell'ora di nostra bella morte. Così sia.
e il mio moschetto della Tua volontà.
Fa più aguzzo il mio sguardo, più sicuro
il mio piede sui valichi sacri della Patria.
Sulle strade, sulle coste, nelle foreste
e sulla quarta sponda che già fu di Roma.
Quando il futuro soldato mi marcia accanto nei ranghi,
ch'io senta battere il suo cuore fedele.
Quando passano i gagliardetti e le bandiere,
che tutti i volti si riconoscano in quello della Patria.
La Patria che faremo più grande
portando ognuno la sua pietra al cantiere.
O Signore ! Fa della Tua Croce
l'insegna che precede il labaro della mia Legione.
E salva l'Italia, l'Italia del Duce,
sempre nell'ora di nostra bella morte.
E salva l'Italia del Duce, del Duce.
E sempre nell'ora di nostra bella morte. Così sia.
LA PREGHIERA DEL LEGIONARIO
10/16/2006
DIALOGO? FATTI E NON PAROLE
Nel Consiglio di Zona dello scorso 12 ottobre, l'Unione ha letto un comunicato sull'apertura della scuola araba a Milano che termina con queste belle parole: "... E speriamo che anche questo possa diventare un positivo esperimento per la costruzione dell’armonia necessaria tra cittadini di origini diverse." Mi interessa moltissimo capire se la buona volontà espressa nel richiedere costruzione di armonia tra cittadini di origini diverse è trasferibile in una buona volontà di costruzione di armonia tra consiglieri/politici/cittadini di idee politiche diverse.
Mi spiego: come Presidente della Commissione Casa - appoggiata da tutta la CDL- ho proposto all'opposizione di esprimere un loro consigliere come mio Vicepresidente. La risposta è stata assolutamente negativa.
Mi stupisce vedere un atteggiamento che usa due pesi e due misure a seconda dell'opportunità "politca". La mia intenzione - concreta - di instaurare un dialogo costruttivo dando la Vicepresidenza di una Commissione all'opposizione è stata coi fatti respinta al mittente, negando coi fatti una reale possibilità di dialogo.
Me ne dispiaccio, ma ne prendo pubblicamente atto.
Mi spiego: come Presidente della Commissione Casa - appoggiata da tutta la CDL- ho proposto all'opposizione di esprimere un loro consigliere come mio Vicepresidente. La risposta è stata assolutamente negativa.
Mi stupisce vedere un atteggiamento che usa due pesi e due misure a seconda dell'opportunità "politca". La mia intenzione - concreta - di instaurare un dialogo costruttivo dando la Vicepresidenza di una Commissione all'opposizione è stata coi fatti respinta al mittente, negando coi fatti una reale possibilità di dialogo.
Me ne dispiaccio, ma ne prendo pubblicamente atto.
9/19/2006
9/16/2006
BASTA AP - PRODI !
Il Governo Prodi vuole legalizzare l'invasione,
abbassando da 10 a 5 gli anni per ottenere la CITTADINANZA ITALIANA! FIRMA ANCHE TU PER DIRE NO.
Su http://www.alleanzanazionale-milano.it/ scarica il modulo per la raccolta firme.
abbassando da 10 a 5 gli anni per ottenere la CITTADINANZA ITALIANA! FIRMA ANCHE TU PER DIRE NO.
Su http://www.alleanzanazionale-milano.it/ scarica il modulo per la raccolta firme.
9/15/2006
ORIANA FALLACI
Nel 2005 Milano le aveva conferito l’Ambrogino d’Oro con questa motivazione :"Giornalista e scrittrice tra le più apprezzate ed amate del mondo. I suoi libri sono stati tradotti in decine di paesi. Nel corso della sua carriera ha intervistato le più grandi personalità della politica e della cultura ed ha vissuto da protagonista gli eventi internazionali che hanno segnato la nostra storia recente. Un’autrice decisa, vitale, forte, autentica, con il coraggio delle sue idee, eroica nell’affrontare in modo diretto i drammi del nostro tempo e le circostanze avverse, filtrando la realtà attraverso l’esperienza vissuta, la fedeltà ai valori morali e, anzitutto, al valore della libertà”.
9/05/2006
E L'ALTO ADIGE HA UNA POTENZA TUTRICE...
Bene.... continua sempre più l'integrazione tra italiani e "tedeschi"(??) "austriaci"(???) nel nord del nostro paese... in una regione italiana chiamata Trentino Alto Adige. Una regione a statuto speciale che, come tale, gode di parecchi privilegi. E non solo economici. Ma, a quanto pare, qualcuno sputa nel piatto in cui già da anni ingrassa. Vogliono entrare a far parte dell'Austria, che si dichiara "potenza tutrice"? Ottimo, accontentiamoli e leviamo loro lo stato di regione a statuto speciale, con annessi e connessi.
8/25/2006
INTEGRAZIONE SENZA ITALIANO? IMPOSSIBILE
Se c'è un fatto da imparare e non dimenticare dal caso di Hina, è che il solo modo per realizzare una reale integrazione è insegnare l'italiano agli immigranti. E' il solo modo per garantire loro una reale integrazione. Integrazione sociale, lavorativa e culturale. Mi pare che nessun media si sia soffermato sul fatto che la madre di questa svenutrata ragazza ha tenuto una conferenza stampa avvalendosi di interpreti pachistani.
Invece di confondere le acque e spostare il problema del razzismo su uno scontro di religioni, SAREBBE MEGLIO PARTIRE DALL'ABC....OSSIA DALL'ITALIANO.
A seguire, poi, tutti gli altri discorsi.
Invece di confondere le acque e spostare il problema del razzismo su uno scontro di religioni, SAREBBE MEGLIO PARTIRE DALL'ABC....OSSIA DALL'ITALIANO.
A seguire, poi, tutti gli altri discorsi.
OPPOSIZIONE
Vorrei lanciare una provocazione, che poi tanto provocazione non è. Mi piacerebbe molto che la CDL votasse NO alla missione in LIBANO. Abbiamo già sprecato un’occasione con la missione in Afghanistan. Non bruciamo anche la seconda.
Vedete: io penso che sicuramente il primo obiettivo di un politico responsabile deve essere il bene del Paese. E quindi voterei NO. NO ad ogni proposta dell’attuale Governo. ORA SÌ. Ora che a distanza di mesi dal fatidico 9 aprile L’UNIONE ha dimostrato esattamente le modalità con cui vuole governarci: assoluta mancanza d’ascolto di quella parte non certo esigua di Italiani che hanno votato la CDL ed okkupazione strategica di tutte le posizioni istituzionali e non, in modo chirurgico ed inesorabile. Per non parlare dei provvedimenti adottati sempre con la fiducia (il BERSANI vale per tutti) per "far fronte a tutti gli impegni"assunti in campagna elettorale.
Bene, è dal fatidico 9 aprile che li osservo: a questo punto, visto il loro modo di governarci, IO DICO NO A TUTTE LE LORO PROPOSTE. RITENGO SIA IL SOLO MODO PER PROTEGGERE IL NOSTRO PAESE. RICORDATEVI DELL’INDULTO E DELLE SUE “CONSUGUENZE” CHE CONTINUANO A RIEMPIRE LA STAMPA.
OPPOSIZIONE DURA ED INFLESSIBILE CON UN SOLO OBIETTIVO: MANDARLI A CASA!
Vedete: io penso che sicuramente il primo obiettivo di un politico responsabile deve essere il bene del Paese. E quindi voterei NO. NO ad ogni proposta dell’attuale Governo. ORA SÌ. Ora che a distanza di mesi dal fatidico 9 aprile L’UNIONE ha dimostrato esattamente le modalità con cui vuole governarci: assoluta mancanza d’ascolto di quella parte non certo esigua di Italiani che hanno votato la CDL ed okkupazione strategica di tutte le posizioni istituzionali e non, in modo chirurgico ed inesorabile. Per non parlare dei provvedimenti adottati sempre con la fiducia (il BERSANI vale per tutti) per "far fronte a tutti gli impegni"assunti in campagna elettorale.
Bene, è dal fatidico 9 aprile che li osservo: a questo punto, visto il loro modo di governarci, IO DICO NO A TUTTE LE LORO PROPOSTE. RITENGO SIA IL SOLO MODO PER PROTEGGERE IL NOSTRO PAESE. RICORDATEVI DELL’INDULTO E DELLE SUE “CONSUGUENZE” CHE CONTINUANO A RIEMPIRE LA STAMPA.
OPPOSIZIONE DURA ED INFLESSIBILE CON UN SOLO OBIETTIVO: MANDARLI A CASA!
8/10/2006
RIFORME: ABOLIRE LE PROVINCE
Con il post di oggi inizio la pubblicazione di una serie di articoli che lanciano e/o riprendono forti provocazioni perchè se ne possa discutere approfonditamente e senza remore, nel reciproco rispetto. Sebbene potranno essere un po' lunghi, dedicate loro una lettura attenta e non sottraetevi al dibattito.
Quello di oggi è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore di mercoledì 9 agosto ed è: Trovare il coraggio di abolire le Province (di Gianfranco Fabi)
Coraggio. Se veramente si vuole modernizzare l’Italia non bastano i piccoli passi sulla strada dell’efficienza, non è sufficiente (anche se è molto utile) rendere effettiva la concorrenza e più aperto il mercato. In uno Stato in cui è molto facile aggiungere e sovrapporre appare encomiabile e degno di passare alla storia chi riesce ad abolire qualcosa. E così saremo eternamente grati a Vincenzo Visco che sarà pur responsabile delle ultime complicazioni fiscali, ma almeno quando ebbe la responsabilità dell’allora ministero delle Finanze riuscì ad abolire il bollo sulla patente. Ora si tratterebbe di mettere a punto un progetto un po’ più complesso, ma ancora più meritorio: quello di abolire le Province. Certo, l’idea non è nuova. Ogni tanto torna a galla e viene riproposta, ma viene immediatamente e puntualmente impallinata dal convergente interesse di una classe politica preoccupata di non turbare gli equilibri acquisiti e di non rinunciare a una pur piccola fetta di potere. Eppure le Province, nella loro dimensione di organo elettivo e di rappresentanza politica, non hanno più ragione d’essere nell’attuale evoluzione costituzionale. Avrebbero dovuto essere abolite quando sono state istituite le Regioni e invece non solo sono rimaste intatte, ma sono addirittura aumentate di numero e nuovi progetti di legge istitutivi sono all’esame del Parlamento. Sui libri di scuola degli anni 6o le Province erano 92. Poi nel 1968 arrivò Pordenone, nel 1970 Isernia, nel 1974 Oristano. Nel 1992 se ne sono aggiunte ben otto: Verbano-Cusio-Osso la, Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato, Crotone, Vibo Valentia. Nel 2001 la Sardegna crea quattro province divenute operati ve nel 2005, Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias. Nel 2004 è stato dato il via libera a Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani (tre capoluoghi per una sola picco la realtà, un record). È arrivato così a 110 il numero complessivo delle Province italiane (tenendo conto anche della Valle d’Aosta dove tuttavia Provincia e Regione coincidono). E in tanto bussano al Parlamento decine di disegni di legge per istituirne altre. Da BustoArsizio alla Val Camonica, da Sala Consilina all’Arcipelago campano, dalla Versilia al Tigullio, la Provincia rischia di diventare come «un sigaro toscano e un titolo da cavaliere», che, diceva Giolitti, non si negano a nessuno.
Eppure ci sono mille ragioni per abolire le Province e quindi automaticamente impedire che ne nascano di nuove. Sono, tra l’altro, una dimensione politica che non ha paragoni in nessun altro Paese simile all’Italia. In Francia i Dipartimenti hanno dimensione analoga, ma al di sopra c’è poi solo lo Stato. E in Germania non c’è nulla tra i Comuni e i Länder. In Gran Bretagna ci sono le Contee, ma hanno carattere tecnico-amministrativo e non politico. Negli Stati Uniti avviene lo stesso e nella maggior parte dei casi le contee sono una linea sulla carta geografica oppure individuano le competenze giudiziarie o di polizia: non a caso l’autorità più importante è lo sceriffo.
Ma che competenze hanno le Province italiane? Molte, complesse e indispensabili dicono i difensori dell’Istituzione. Gestiscono gran parte della rete viaria (tranne le autostrade, a meno che non ne posseggano una quota), hanno responsabilità diretta sull’edilizia e gli arredi scolastici, promuovono i corsi di formazione professionale, gestiscono i centri per l’impiego, curano le iniziative per la difesa ambientale, esercitano i controlli antisismici. Tutte responsabilità importanti per la promozione e lo sviluppo del territorio e che nessuno vuole certo abolire. La domanda vera infatti è: c’è bisogno di un livello politico-rappresentativo per gestire queste competenze? Sono indispensabili un Consiglio provinciale, tanti assessori, un presidente e altrettanti uffici?
La risposta è puramente e semplicemente “no”. Perché una buona manutenzione delle strade o i controlli antisismici non sono né di destra né di sinistra e una gestione coordinata e programmata di tutte le competenze provinciali può avvenire probabilmente meglio attraverso entità tecnico-operative che possono mantenere le attuali dimensioni, ma dipendenti “politicamente” dalle Regioni. Non è solo un problema di costi. Gran parte del personale delle Province svolge un’opera utile e meritoria che dovrebbe continuare a svolgere sotto il cappello regionale (o, in qualche caso, municipale). Quello che va abolito è solo l’apparato politico: presidenti, assessori e cancellieri più il loro staff, le loro segreterie, i loro consulenti. Si risparmierebbero subito più di cento milioni di euro, come ha dimostrato domenica scorsa l’inchiesta del Sole-24 Ore sui costi della politica, e gli effetti positivi dei risparmi si moltiplicherebbero a catena.
Ma non è comunque l’entità della cifra la ragione maggiore per muoversi. Abolire la dimensione politica delle Province risponderebbe soprattutto alle esigenze di modernità, di superamento dello Stato napoleonico, di avvicinamento dei cittadini alla politica. Esaltando le competenze dei Comuni, la capacità delle Regioni e il coraggio dello Stato di fare una vera cura dimagrante senza ridurre, ma anzi migliorando, l’efficienza dei propri servizi.
Quello di oggi è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore di mercoledì 9 agosto ed è: Trovare il coraggio di abolire le Province (di Gianfranco Fabi)
Coraggio. Se veramente si vuole modernizzare l’Italia non bastano i piccoli passi sulla strada dell’efficienza, non è sufficiente (anche se è molto utile) rendere effettiva la concorrenza e più aperto il mercato. In uno Stato in cui è molto facile aggiungere e sovrapporre appare encomiabile e degno di passare alla storia chi riesce ad abolire qualcosa. E così saremo eternamente grati a Vincenzo Visco che sarà pur responsabile delle ultime complicazioni fiscali, ma almeno quando ebbe la responsabilità dell’allora ministero delle Finanze riuscì ad abolire il bollo sulla patente. Ora si tratterebbe di mettere a punto un progetto un po’ più complesso, ma ancora più meritorio: quello di abolire le Province. Certo, l’idea non è nuova. Ogni tanto torna a galla e viene riproposta, ma viene immediatamente e puntualmente impallinata dal convergente interesse di una classe politica preoccupata di non turbare gli equilibri acquisiti e di non rinunciare a una pur piccola fetta di potere. Eppure le Province, nella loro dimensione di organo elettivo e di rappresentanza politica, non hanno più ragione d’essere nell’attuale evoluzione costituzionale. Avrebbero dovuto essere abolite quando sono state istituite le Regioni e invece non solo sono rimaste intatte, ma sono addirittura aumentate di numero e nuovi progetti di legge istitutivi sono all’esame del Parlamento. Sui libri di scuola degli anni 6o le Province erano 92. Poi nel 1968 arrivò Pordenone, nel 1970 Isernia, nel 1974 Oristano. Nel 1992 se ne sono aggiunte ben otto: Verbano-Cusio-Osso la, Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato, Crotone, Vibo Valentia. Nel 2001 la Sardegna crea quattro province divenute operati ve nel 2005, Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias. Nel 2004 è stato dato il via libera a Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani (tre capoluoghi per una sola picco la realtà, un record). È arrivato così a 110 il numero complessivo delle Province italiane (tenendo conto anche della Valle d’Aosta dove tuttavia Provincia e Regione coincidono). E in tanto bussano al Parlamento decine di disegni di legge per istituirne altre. Da BustoArsizio alla Val Camonica, da Sala Consilina all’Arcipelago campano, dalla Versilia al Tigullio, la Provincia rischia di diventare come «un sigaro toscano e un titolo da cavaliere», che, diceva Giolitti, non si negano a nessuno.
Eppure ci sono mille ragioni per abolire le Province e quindi automaticamente impedire che ne nascano di nuove. Sono, tra l’altro, una dimensione politica che non ha paragoni in nessun altro Paese simile all’Italia. In Francia i Dipartimenti hanno dimensione analoga, ma al di sopra c’è poi solo lo Stato. E in Germania non c’è nulla tra i Comuni e i Länder. In Gran Bretagna ci sono le Contee, ma hanno carattere tecnico-amministrativo e non politico. Negli Stati Uniti avviene lo stesso e nella maggior parte dei casi le contee sono una linea sulla carta geografica oppure individuano le competenze giudiziarie o di polizia: non a caso l’autorità più importante è lo sceriffo.
Ma che competenze hanno le Province italiane? Molte, complesse e indispensabili dicono i difensori dell’Istituzione. Gestiscono gran parte della rete viaria (tranne le autostrade, a meno che non ne posseggano una quota), hanno responsabilità diretta sull’edilizia e gli arredi scolastici, promuovono i corsi di formazione professionale, gestiscono i centri per l’impiego, curano le iniziative per la difesa ambientale, esercitano i controlli antisismici. Tutte responsabilità importanti per la promozione e lo sviluppo del territorio e che nessuno vuole certo abolire. La domanda vera infatti è: c’è bisogno di un livello politico-rappresentativo per gestire queste competenze? Sono indispensabili un Consiglio provinciale, tanti assessori, un presidente e altrettanti uffici?
La risposta è puramente e semplicemente “no”. Perché una buona manutenzione delle strade o i controlli antisismici non sono né di destra né di sinistra e una gestione coordinata e programmata di tutte le competenze provinciali può avvenire probabilmente meglio attraverso entità tecnico-operative che possono mantenere le attuali dimensioni, ma dipendenti “politicamente” dalle Regioni. Non è solo un problema di costi. Gran parte del personale delle Province svolge un’opera utile e meritoria che dovrebbe continuare a svolgere sotto il cappello regionale (o, in qualche caso, municipale). Quello che va abolito è solo l’apparato politico: presidenti, assessori e cancellieri più il loro staff, le loro segreterie, i loro consulenti. Si risparmierebbero subito più di cento milioni di euro, come ha dimostrato domenica scorsa l’inchiesta del Sole-24 Ore sui costi della politica, e gli effetti positivi dei risparmi si moltiplicherebbero a catena.
Ma non è comunque l’entità della cifra la ragione maggiore per muoversi. Abolire la dimensione politica delle Province risponderebbe soprattutto alle esigenze di modernità, di superamento dello Stato napoleonico, di avvicinamento dei cittadini alla politica. Esaltando le competenze dei Comuni, la capacità delle Regioni e il coraggio dello Stato di fare una vera cura dimagrante senza ridurre, ma anzi migliorando, l’efficienza dei propri servizi.
7/07/2006
MORIRE: COME?
Oggi l'argomento è piuttosto duro: morire, come?
Lo spunto mi è venuto da un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 24 giugno...e da allora mi arrovello se sia il caso o meno di dare voce alla questione.
Umberto Veronesi ha "ideato" il testamento biologico con cui si possono dettare le proprie volontà su come essere "curati" in caso di
- malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante
- malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.
Le implicazioni sono moltissime, etiche, religiose, legali, ma io mi chiedo:
se fossimo noi? cosa vorremmo? potremmo lasciare ad altri il peso di una tale decisione?
dov'è il limte dell'accanimento terapeutico? Siamo sicuri che levando il sondino a chi è in uno stato vegetativo non lo si faccia soffrire condannandolo a morire di sete?
Gli indiani d'America quando reputavano giunta la loro ora si ritiravano in disparte , aspettando il loro momento...
Forse la vera questione riguarda la nostra "moderna ed evoluta" società, dove tutto è basato sull'apparenza e sulla velocità. Dove tutti devono essere sempre giovani. Dove il dolore deve rimanere nascosto.
Dove chi muore deve essere sepolto in 24ore senza nemmeno dare il tempo a chi gli era vicino di riflettere. Di sentirne la mancanza. La vita continua e nulla deve turbare l'efficienza dell'ingranaggio.
CREDO SIA MEGLIO IMPARARE A CONVIVERE CON IL PENSIERO DELLA MORTE. PRENDERE COSCIENZA CHE NON SIAMO ETERNI.
GODERE DELLE PERSONE CHE SI HANNO VICINE FINCHE' CI SONO.
PREPARARSI SERENAMENTE AL DISTACCO.
NON AVERE PAURA DI VIVERE.
Lo spunto mi è venuto da un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 24 giugno...e da allora mi arrovello se sia il caso o meno di dare voce alla questione.
Umberto Veronesi ha "ideato" il testamento biologico con cui si possono dettare le proprie volontà su come essere "curati" in caso di
- malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante
- malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.
Le implicazioni sono moltissime, etiche, religiose, legali, ma io mi chiedo:
se fossimo noi? cosa vorremmo? potremmo lasciare ad altri il peso di una tale decisione?
dov'è il limte dell'accanimento terapeutico? Siamo sicuri che levando il sondino a chi è in uno stato vegetativo non lo si faccia soffrire condannandolo a morire di sete?
Gli indiani d'America quando reputavano giunta la loro ora si ritiravano in disparte , aspettando il loro momento...
Forse la vera questione riguarda la nostra "moderna ed evoluta" società, dove tutto è basato sull'apparenza e sulla velocità. Dove tutti devono essere sempre giovani. Dove il dolore deve rimanere nascosto.
Dove chi muore deve essere sepolto in 24ore senza nemmeno dare il tempo a chi gli era vicino di riflettere. Di sentirne la mancanza. La vita continua e nulla deve turbare l'efficienza dell'ingranaggio.
CREDO SIA MEGLIO IMPARARE A CONVIVERE CON IL PENSIERO DELLA MORTE. PRENDERE COSCIENZA CHE NON SIAMO ETERNI.
GODERE DELLE PERSONE CHE SI HANNO VICINE FINCHE' CI SONO.
PREPARARSI SERENAMENTE AL DISTACCO.
NON AVERE PAURA DI VIVERE.
6/29/2006
UNA RIFLESSIONE SULL'ESITO DEL REFERENDUM
L’analisi dei risultati della votazione referendaria dovrebbe essere motivo di seria preoccupazione soprattutto per i parlamentari del centro-sinistra eletti nella circoscrizione estero.
In America Settentrionale e Centrale vince il SI con il 52,8%.Il Sen. Turano (sinistra) subisce la vittoria del SI negli USA (53,4%) e nella sua Chicago (53,2%).Va meglio all’On. Bucchino (sinistra) perche’ anche se il SI vince di misura in Canada (50,1%), la sua Toronto e’ in controtendenza; infatti e’ l’unica circoscrizione elettorale del Canada e di tutta la ripartizione dove ha vinto il NO con il 52,3%.
In America Meridionale il SI vince con il 62,9%.I sostenitori di Prodi Sen. Pallaro ed On. Merlo assistono alla vittoria del SI in Argentina (58,2%) e nella loro Buenos Aires (56,3%).Va anche peggio per il Sen. Pollastri con il SI al 73,4% in Brasile ed al 70,4% nella sua San Paolo. Il Sen. Randazzo (Margherita) e l’On. Fedi (DS), si ritrovano con il SI al 53,4% nella loro ripartizione, al 52,4 % in Australia ed al 54,3% a Melbourne dove vivono.
In Europa, dove e’ piu’ forte l’influenza della politica italiana, il SI vince, ma con solo 4,5 punti percentuali ed a macchia di leopardo. Infatti se, ad esempio, e’ vero che nella Francia dell’On. Farina (DS) vince il NO con il 52,2%, il SI vince a Lilla (51,4%), a Marsiglia (52,6%), a Nizza (52,8%) e pareggia a Tolosa.Nella Svizzera del Sen. Micheloni (DS), dell’On. Narducci (Margherita) e dell’On. Razzi (IdV) il NO e’ al 59,6, ma a Lugano il SI e’ al 51,8%.
Nel maggior Paese di emigrazione, la Germania, c’e’ un sostanziale pareggio (SI 49,8% - NO 50,2%), ma il SI prevale a Stoccarda, Colonia, Dortmund, Friburgo, Hannover, Norimberga e Saarbrucken.
In America Settentrionale e Centrale vince il SI con il 52,8%.Il Sen. Turano (sinistra) subisce la vittoria del SI negli USA (53,4%) e nella sua Chicago (53,2%).Va meglio all’On. Bucchino (sinistra) perche’ anche se il SI vince di misura in Canada (50,1%), la sua Toronto e’ in controtendenza; infatti e’ l’unica circoscrizione elettorale del Canada e di tutta la ripartizione dove ha vinto il NO con il 52,3%.
In America Meridionale il SI vince con il 62,9%.I sostenitori di Prodi Sen. Pallaro ed On. Merlo assistono alla vittoria del SI in Argentina (58,2%) e nella loro Buenos Aires (56,3%).Va anche peggio per il Sen. Pollastri con il SI al 73,4% in Brasile ed al 70,4% nella sua San Paolo. Il Sen. Randazzo (Margherita) e l’On. Fedi (DS), si ritrovano con il SI al 53,4% nella loro ripartizione, al 52,4 % in Australia ed al 54,3% a Melbourne dove vivono.
In Europa, dove e’ piu’ forte l’influenza della politica italiana, il SI vince, ma con solo 4,5 punti percentuali ed a macchia di leopardo. Infatti se, ad esempio, e’ vero che nella Francia dell’On. Farina (DS) vince il NO con il 52,2%, il SI vince a Lilla (51,4%), a Marsiglia (52,6%), a Nizza (52,8%) e pareggia a Tolosa.Nella Svizzera del Sen. Micheloni (DS), dell’On. Narducci (Margherita) e dell’On. Razzi (IdV) il NO e’ al 59,6, ma a Lugano il SI e’ al 51,8%.
Nel maggior Paese di emigrazione, la Germania, c’e’ un sostanziale pareggio (SI 49,8% - NO 50,2%), ma il SI prevale a Stoccarda, Colonia, Dortmund, Friburgo, Hannover, Norimberga e Saarbrucken.
6/20/2006
QUESTO REFERENDUM E’ UN’ OCCASIONE STORICA. NON PERDIAMOLA.
SERVELLO: “QUESTO REFERENDUM E’ UN’ OCCASIONE STORICA. NON PERDIAMOLA.” Per la prima volta, da 1947, gli italiani hanno la possibilità di cambiare realmente la Costituzione. Gli allarmisti sono in malafede. Con il premierato, lo scettro torna al popolo sovrano.
“Quella del 25 e 26 giugno è un’occasione storica. E richiede una grande mobilitazione. Per la prima volta, in quasi sessant’anni, abbiamo la possibilità reale di riformare la Costituzione”. Insiste molto sulla crucialità dell’appuntamento referendario lo storico esponente della destra italiana Franco Servello. Quello della riforma istituzionale è uno dei leit motiv della sua attività politica fin da quando, alla fine degli anni Settanta, lanciò la campagna per la Nuova Repubblica al fianco di Giorgio Almirante (all’epoca Servello era il vicesegretario vicario del Msi – Dn). Tra il 1997 e il 1998, l’uomo politico di An ha fatto parte della Commissione Bicamerale, dimostrandosi uno dei commissari più attivi e continui, come pubblicamente gli riconobbe il presidente di tale commissione, Massimo D’Alema. Sulla necessità di modernizzare le istituzioni Servello ha pubblicato diversi libri. Tra questi ricordiamo Quarant’anni e li dimostra – L’Italia del malessere dal 45 a oggi, uscito in vista del quarantennio della Costituzione, e Italia addio?, pubblicato nel 1998, all’indomani del fallimento della Bicamerale. Questa lunga esperienza sul campo delle riforme non ha minimamente fiaccato il suo entusiasmo. Il presidente della Campania, Antonio Bassolino, dichiara di augurarsi una mobilitazione degli elettori meridionali contro la riforma. Lo spauracchio demagogico è quello della sperequazione tra Regioni del Nord e Regioni del Sud.
Lei, senatore Servello si batte da una vita per l’unità e la coesione della nazione. Quindi, se si impegna per il “sì”, vuol proprio dire che certi allarmismi sono solo fumo negli occhi, no? Si, quella di Bassolino e di certi meridionalisti dell’ultimora è demagogia allo stato puro. Ha fatto bene a ricordare il mio percorso politico. Figuriamoci se uno con il mio passato potrebbe dire sì a una riforma avendo anche solo il più piccolo sospetto che tale riforma possa spaccare il Paese. Parliamo piuttosto di cose serie e concrete. Nel testo della legge c’è un richiamo esplicito e chiaro all’unità dello Stato e all’interesse nazionale.
Cosa vuol dire in pratica? Innanzi tutto il fatto che non ci saranno Regioni a due velocità. La clausola dell’interesse nazionale fa sì che tutte avranno garantite le stesse opportunità nel quadro dell’equità, solidarietà e sviluppo sociale. Prima dell’entrata in vigore, nel 2011, c’è tutto il tempo di calibrare l’intervento dello Stato prevedendo un fondo perequativo. E poi vorrei precisare che, quello previsto dalla riforma, non è un vero e proprio federalismo, quanto piuttosto un trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni nell’organizzazione di servizi essenziali come la sanità, la scuola e la polizia locale.
Ma ci sarà pure qualcosa che non la convince del tutto in cinquantasette articoli che cambiano…Guardi, l’intero impianto della legge di riforma è coerente e le varie parti si tengono bene insieme. Dovendo trovare punti deboli, direi che possono annidarsi nel nuovo Senato. Andrebbe meglio precisata la distinzione di funzioni rispetto alla Camera. E questo per snellire il processo legislativo, come è nei principi ispiratori della riforma. La fine del bicameralismo perfetto dovrebbe servire proprio a darci un iter di approvazione delle leggi più rapido ed efficiente.
Insomma, esistono comunque margini di miglioramento, anche dopo il 26 giugno. Certo che esistono, certo che si può ancora intervenire. Quelli che dicono “prendere o lasciare” sono in malafede. Gli elettori sono chiamati a giudicare l’insieme della riforma e i suoi principi ispiratori. Ma nulla vieta che si possa intervenire qua e là per correggere qualche singolo punto difettoso. Abbiamo cinque anni per apportare miglioramenti. Deve essere però chiaro un concetto.
Quale concetto? O adesso o mai più. Chissà quanto dovremmo attendere ancora prima di riavere un’occasione del genere. Come minimo dovremmo aspettare un’altra legislatura. E’ chiaro come il sole che il centrosinistra vuole lasciare tutto così com’è. Non dico che non vi siano forze riformiste nell’ambito dell’Unione. Ma proprio per questo è importante e strategico che vinca il “sì”. Se vincesse il “no”, è evidente che queste forze verrebbero soverchiate dagli immobilismi, che possono far valere il loro potere di interdizione. E poi guardi, se la legge di riforma venisse bocciata, staremmo comunque peggio di come stiamo oggi, perché tornerebbe in vigore la modifica del Titolo V approvata nel 2001, dal centrosinistra, con appena cinque voti di maggioranza. Ci ritroveremmo cioè con una “riforma” piena di storture.
Lei è stato tra i commissari della Bicamerale presieduta da D’Alema. Che insegnamento ne ha tratto? Che non si possono fare le riforme finché rimane forte il condizionamento della politica. Quella Bicamerale lavorò bene. Ma al momento decisivo naufragò per i veti incrociati tra maggioranza e opposizione sulla questione della giustizia. Anche per questo dico che oggi abbiamo un’occasione storica. Pensi solo al fatto che un Parlamento ha deciso la propria autoriduzione di 177 parlamentari. E’ qualcosa che ha del miracoloso. E appare tale anche osservando il comportamento dell’attuale maggioranza, che ha moltiplicato poltrone e strapuntini. No, il centrosinistra non ha voglia di riformare nulla e non riformerà un bel nulla.
E che mi dice, senatore Servello, del premier forte? C’è chi dice che non ha precedenti e che sarebbe una specie di dittatore. Questa è un’altra favola messa in giro da chi vuole che tutto resti così com’è. Ma quale dittatura!La nostra riforma prevede la sfiducia costruttiva, come accade in Germania. Se il premier non ha più la fiducia del Parlamento, se ne deve indicare un altro, sempre però nell’ambito della stessa maggioranza. In caso contrario, si torna alle urne. La norma antiribaltone è uno dei cardini della legge. Ecco perché la sinistra non la vuole.
Possiamo dire, in conclusione, che con questa riforma lo scettro torna ai cittadini? Esatto. La legge è stata fatta proprio per i cittadini. Devono avere la garanzia che, se eleggono una maggioranza, questa non potrà più cambiare nel corso della legislatura. Altrimenti, i cittadini utilizzano nuovamente lo scettro ed esercitano la loro sovranità tornando a votare. Però c’è ancora un punto che mi preme di mettere in risalto.
Vale a dire? Che per la prima volta, dal 1947, ci troviamo di fronte a una vera riforma della Costituzione, una legge cioè che contiene elementi realmente innovativi.
E’ un’occasione storica, insomma. Si, storica. E non lasciamocela sfuggire.
SI VOTA SI
“Quella del 25 e 26 giugno è un’occasione storica. E richiede una grande mobilitazione. Per la prima volta, in quasi sessant’anni, abbiamo la possibilità reale di riformare la Costituzione”. Insiste molto sulla crucialità dell’appuntamento referendario lo storico esponente della destra italiana Franco Servello. Quello della riforma istituzionale è uno dei leit motiv della sua attività politica fin da quando, alla fine degli anni Settanta, lanciò la campagna per la Nuova Repubblica al fianco di Giorgio Almirante (all’epoca Servello era il vicesegretario vicario del Msi – Dn). Tra il 1997 e il 1998, l’uomo politico di An ha fatto parte della Commissione Bicamerale, dimostrandosi uno dei commissari più attivi e continui, come pubblicamente gli riconobbe il presidente di tale commissione, Massimo D’Alema. Sulla necessità di modernizzare le istituzioni Servello ha pubblicato diversi libri. Tra questi ricordiamo Quarant’anni e li dimostra – L’Italia del malessere dal 45 a oggi, uscito in vista del quarantennio della Costituzione, e Italia addio?, pubblicato nel 1998, all’indomani del fallimento della Bicamerale. Questa lunga esperienza sul campo delle riforme non ha minimamente fiaccato il suo entusiasmo. Il presidente della Campania, Antonio Bassolino, dichiara di augurarsi una mobilitazione degli elettori meridionali contro la riforma. Lo spauracchio demagogico è quello della sperequazione tra Regioni del Nord e Regioni del Sud.
Lei, senatore Servello si batte da una vita per l’unità e la coesione della nazione. Quindi, se si impegna per il “sì”, vuol proprio dire che certi allarmismi sono solo fumo negli occhi, no? Si, quella di Bassolino e di certi meridionalisti dell’ultimora è demagogia allo stato puro. Ha fatto bene a ricordare il mio percorso politico. Figuriamoci se uno con il mio passato potrebbe dire sì a una riforma avendo anche solo il più piccolo sospetto che tale riforma possa spaccare il Paese. Parliamo piuttosto di cose serie e concrete. Nel testo della legge c’è un richiamo esplicito e chiaro all’unità dello Stato e all’interesse nazionale.
Cosa vuol dire in pratica? Innanzi tutto il fatto che non ci saranno Regioni a due velocità. La clausola dell’interesse nazionale fa sì che tutte avranno garantite le stesse opportunità nel quadro dell’equità, solidarietà e sviluppo sociale. Prima dell’entrata in vigore, nel 2011, c’è tutto il tempo di calibrare l’intervento dello Stato prevedendo un fondo perequativo. E poi vorrei precisare che, quello previsto dalla riforma, non è un vero e proprio federalismo, quanto piuttosto un trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni nell’organizzazione di servizi essenziali come la sanità, la scuola e la polizia locale.
Ma ci sarà pure qualcosa che non la convince del tutto in cinquantasette articoli che cambiano…Guardi, l’intero impianto della legge di riforma è coerente e le varie parti si tengono bene insieme. Dovendo trovare punti deboli, direi che possono annidarsi nel nuovo Senato. Andrebbe meglio precisata la distinzione di funzioni rispetto alla Camera. E questo per snellire il processo legislativo, come è nei principi ispiratori della riforma. La fine del bicameralismo perfetto dovrebbe servire proprio a darci un iter di approvazione delle leggi più rapido ed efficiente.
Insomma, esistono comunque margini di miglioramento, anche dopo il 26 giugno. Certo che esistono, certo che si può ancora intervenire. Quelli che dicono “prendere o lasciare” sono in malafede. Gli elettori sono chiamati a giudicare l’insieme della riforma e i suoi principi ispiratori. Ma nulla vieta che si possa intervenire qua e là per correggere qualche singolo punto difettoso. Abbiamo cinque anni per apportare miglioramenti. Deve essere però chiaro un concetto.
Quale concetto? O adesso o mai più. Chissà quanto dovremmo attendere ancora prima di riavere un’occasione del genere. Come minimo dovremmo aspettare un’altra legislatura. E’ chiaro come il sole che il centrosinistra vuole lasciare tutto così com’è. Non dico che non vi siano forze riformiste nell’ambito dell’Unione. Ma proprio per questo è importante e strategico che vinca il “sì”. Se vincesse il “no”, è evidente che queste forze verrebbero soverchiate dagli immobilismi, che possono far valere il loro potere di interdizione. E poi guardi, se la legge di riforma venisse bocciata, staremmo comunque peggio di come stiamo oggi, perché tornerebbe in vigore la modifica del Titolo V approvata nel 2001, dal centrosinistra, con appena cinque voti di maggioranza. Ci ritroveremmo cioè con una “riforma” piena di storture.
Lei è stato tra i commissari della Bicamerale presieduta da D’Alema. Che insegnamento ne ha tratto? Che non si possono fare le riforme finché rimane forte il condizionamento della politica. Quella Bicamerale lavorò bene. Ma al momento decisivo naufragò per i veti incrociati tra maggioranza e opposizione sulla questione della giustizia. Anche per questo dico che oggi abbiamo un’occasione storica. Pensi solo al fatto che un Parlamento ha deciso la propria autoriduzione di 177 parlamentari. E’ qualcosa che ha del miracoloso. E appare tale anche osservando il comportamento dell’attuale maggioranza, che ha moltiplicato poltrone e strapuntini. No, il centrosinistra non ha voglia di riformare nulla e non riformerà un bel nulla.
E che mi dice, senatore Servello, del premier forte? C’è chi dice che non ha precedenti e che sarebbe una specie di dittatore. Questa è un’altra favola messa in giro da chi vuole che tutto resti così com’è. Ma quale dittatura!La nostra riforma prevede la sfiducia costruttiva, come accade in Germania. Se il premier non ha più la fiducia del Parlamento, se ne deve indicare un altro, sempre però nell’ambito della stessa maggioranza. In caso contrario, si torna alle urne. La norma antiribaltone è uno dei cardini della legge. Ecco perché la sinistra non la vuole.
Possiamo dire, in conclusione, che con questa riforma lo scettro torna ai cittadini? Esatto. La legge è stata fatta proprio per i cittadini. Devono avere la garanzia che, se eleggono una maggioranza, questa non potrà più cambiare nel corso della legislatura. Altrimenti, i cittadini utilizzano nuovamente lo scettro ed esercitano la loro sovranità tornando a votare. Però c’è ancora un punto che mi preme di mettere in risalto.
Vale a dire? Che per la prima volta, dal 1947, ci troviamo di fronte a una vera riforma della Costituzione, una legge cioè che contiene elementi realmente innovativi.
E’ un’occasione storica, insomma. Si, storica. E non lasciamocela sfuggire.
SI VOTA SI
6/09/2006
IL 25 E 26 GIUGNO VOTIAMO SI'

IL VIDEO MESSAGGIO DI GIANFRANCO FINI
Questo il quesito:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche alla Parte II della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005 ?» (clicca qui)
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche alla Parte II della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005 ?» (clicca qui)
ATTENZIONE: nel referendum confermativo, detto anche costituzionale o sospensivo, si prescinde dal quorum, ossia si procede al conteggio dei voti validamente espressi indipendentemente se abbia partecipato o meno alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto, a differenza pertanto da quanto avviene nel referendum abrogativo. ECCO PERCHE' OCCORRE ANDARE A VOTARE.
"Il referendum costituzionale avrà un valore politico immediato e un effetto più generale e duraturo, entrambi potenti... La vittoria del sì o del no referendario è in grado di stabilire da subito il successo o il fallimento del nuovo governo...(clicca qui)"
COSA CAMBIA (clicca qui).
6/06/2006
FERMIAMOCI A RIFLETTERE
I superstipendi dei manager
5 giugno2006 - CorrierEconomia - di Pier Luigi Celli
Una casta che guadagna troppo: anche 50 volte più degli impiegati. Con effetti devastanti e non ancora misurati
Siamo portati a dare alla politica molte delle responsabilità che investono il degrado del vivere civile e la corrosione dei parametri di riferimento etici che hanno indebolito priorità e valori individuali. Eppure, se guardiamo al mondo delle imprese troviamo elementi di riflessione che non ci portano molto lontano da analoghi pensieri amari.
Abbiamo assistito, negli anni recenti, ad una espansione dei livelli retributivi, del management al vertice dell' impresa, che non ha, razionalmente, alcun rapporto lineare coi risultati reali. Soprattutto se si considera che questi, quando presenti, sono pressoché tutti in attività largamente protette, vere e proprie rendite di posizione che, come è facile vedere, pochissimo hanno contribuito allo sviluppo economico del Paese.
Si è venuta formando un'élite privata, beneficiata da risorse che hanno cambiato non solo la vita dei fortunati e abili interessati, ma hanno potenzialmente modificato aspettative e prospettive nel tenore di vita di intere generazioni familiari a venire. Vere e proprie fortune di guerra. Se il differenziale tra retribuzione normale, diciamo da impiegato o piccolo dirigente, e quello delle posizioni di vertice in azienda o banche è di 1 a 50, perché meravigliarsi poi se nascono dei cattivi pensieri?
Con l'affermarsi di distanze incolmabili sul versante retributivo, cade, innanzitutto, la simmetria della fedeltà tra vertice e corpo aziendale, nel senso che l'eccesso è comunque vissuto come un tradimento dei principi di equità. Si rafforza, di conseguenza, un principio di «dissociazione» (proprio in chi si sente ormai permanentemente marginale) che lavora in maniera sorda, da un lato, sulla affettività scarsamente evoluta di quanti sono esclusi dai percorsi che contano e, dall'altro, abilita astuzie puramente strumentali, volte a garantire la sopravvivenza e a trarre benefici opportunistici.
La sordità di certe organizzazioni, la riorganizzazione continua degli assetti, la pesantezza di movimento e la diaspora (provocata o di iniziativa autonoma) delle risorse, soprattutto intermedie, riflette in gran parte questa sconnessione crescente tra valori dichiarati e interpretazione numerica degli stessi; tra economia reale e impressione diffusa di assalto alla diligenza. Con una ricaduta, sulle psicologie individuali, potenzialmente deleteria per le imprese.
Perché il dipendente normale, trattato come commodity, marginale e sostituibile (e, d'altra parte, la differenza di scala retributiva certifica a oltranza la sua irrilevanza) finirà rapidamente per percepirsi lui stesso come tale, con una immagine di sé degradata fino al punto di non meritare la propria stessa stima e il proprio rispetto. Come tutte le profezie che si autoavverano, questa prospettiva lo renderà pressappoco inutile e, dunque, inutilizzabile. Un peso, con la testa altrove.
Ma vi è un danno anche maggiore, generato da questa bolla salariale che specula sulle aspettative artificiali dei valori di Borsa, quasi sempre determinati da analisti in cerca perenne dell'ultimo paradiso. Ed è rappresentato dalla tentazione, largamente presente ormai, di costruire, in vitro, manager «da notizia»: quelli, cioè, che possono essere venduti con successo nel mercato degli indici a breve, selezionati secondo parametri che piani strategici e indicatori di budget hanno ormai codificato con noiosa routine e ampia connivenza di audience.
Il rischio, che siano tutti uguali, più o meno cloni di qualche grande scuola, è meno importante dell'incapacità, che una impostazione di questo tipo si porta dietro, di fare scuola, di produrre allievi, di allargare il tessuto di competenze e di storie al di là del proprio personale successo. Di costruire un gruppo. È un altro fenomeno connesso a questo esplodere di compensi disorganici. La loro mediatizzazione finisce per proporre modelli che incidono significativamente sulle aspettative di quanti fanno dell'investimento sulla carriera e sul curriculum una ragionevole tavola di salvezza per le proprie ambizioni professionali.
Emergono così i cercatori di status «prematuri», i teorici delle scorciatoie, gli affiliati estatici. Tutta una fauna premanageriale che intasa i files dei cacciatori di teste e gioca a dama coi percorsi e i luoghi canonici delle frequentazioni che contano. Si va a vela, appena si può. O anche allo stadio. Anche la vicinanza dei conti a sei zeri (in euro, s'intende) vivifica le speranze, tonifica le aspettative e accende l'immaginazione. Determinando, purtroppo, comportamenti adeguati allo stile. L'ideologia delle stock options e del profit sharing orienta le teste sul valore dell'equity ed è totalmente eterodiretta: il «fuori», (quello che si pensa fuori, quello che si comunica fuori, quello che si muove fuori) è immensamente più rilevante del «dentro», di quello che succede agli uomini e all'organizzazione all'interno.
Questa tenderà a disporsi «a corte», come in tutti i contesti in cui l'ossequio diviene preminente. Gli uomini comuni, quelli i cui destini girano al di sotto dei livelli che contano, finiranno per capire che se non c'è equità nella distribuzione delle risorse è inutile seguire delle regole: tanto vale imboccare anche precarie scorciatoie al successo. Fioriscono così fortune anche modeste, ma sempre in tiro su modelli che non hanno nulla a che spartire con la professione, la serietà, l'impegno nel tempo. Ognuno sarà portato a costruirsi, a spese di altri, la sua personale dotazione di stock options equivalenti, magari di frodo o, quantomeno, senza alcun rispetto sociale.
Avremo dunque nuovi idoli, un po' celebrati e un po' esecrati, in genere imperturbabili. Salvo quando, all'interno di imprese che sembravano inossidabili, scoppiano vere e proprie lotte tribali, con epurazioni, tagli di teste e catarsi finale. E' il ciclo della natura che ripensa se stessa, distruggendo gli stessi uomini che l'hanno a lungo interpretata. Ma quanti hanno perso l'onore, ancor prima del posto?
5 giugno2006 - CorrierEconomia - di Pier Luigi Celli
Una casta che guadagna troppo: anche 50 volte più degli impiegati. Con effetti devastanti e non ancora misurati
Siamo portati a dare alla politica molte delle responsabilità che investono il degrado del vivere civile e la corrosione dei parametri di riferimento etici che hanno indebolito priorità e valori individuali. Eppure, se guardiamo al mondo delle imprese troviamo elementi di riflessione che non ci portano molto lontano da analoghi pensieri amari.
Abbiamo assistito, negli anni recenti, ad una espansione dei livelli retributivi, del management al vertice dell' impresa, che non ha, razionalmente, alcun rapporto lineare coi risultati reali. Soprattutto se si considera che questi, quando presenti, sono pressoché tutti in attività largamente protette, vere e proprie rendite di posizione che, come è facile vedere, pochissimo hanno contribuito allo sviluppo economico del Paese.
Si è venuta formando un'élite privata, beneficiata da risorse che hanno cambiato non solo la vita dei fortunati e abili interessati, ma hanno potenzialmente modificato aspettative e prospettive nel tenore di vita di intere generazioni familiari a venire. Vere e proprie fortune di guerra. Se il differenziale tra retribuzione normale, diciamo da impiegato o piccolo dirigente, e quello delle posizioni di vertice in azienda o banche è di 1 a 50, perché meravigliarsi poi se nascono dei cattivi pensieri?
Con l'affermarsi di distanze incolmabili sul versante retributivo, cade, innanzitutto, la simmetria della fedeltà tra vertice e corpo aziendale, nel senso che l'eccesso è comunque vissuto come un tradimento dei principi di equità. Si rafforza, di conseguenza, un principio di «dissociazione» (proprio in chi si sente ormai permanentemente marginale) che lavora in maniera sorda, da un lato, sulla affettività scarsamente evoluta di quanti sono esclusi dai percorsi che contano e, dall'altro, abilita astuzie puramente strumentali, volte a garantire la sopravvivenza e a trarre benefici opportunistici.
La sordità di certe organizzazioni, la riorganizzazione continua degli assetti, la pesantezza di movimento e la diaspora (provocata o di iniziativa autonoma) delle risorse, soprattutto intermedie, riflette in gran parte questa sconnessione crescente tra valori dichiarati e interpretazione numerica degli stessi; tra economia reale e impressione diffusa di assalto alla diligenza. Con una ricaduta, sulle psicologie individuali, potenzialmente deleteria per le imprese.
Perché il dipendente normale, trattato come commodity, marginale e sostituibile (e, d'altra parte, la differenza di scala retributiva certifica a oltranza la sua irrilevanza) finirà rapidamente per percepirsi lui stesso come tale, con una immagine di sé degradata fino al punto di non meritare la propria stessa stima e il proprio rispetto. Come tutte le profezie che si autoavverano, questa prospettiva lo renderà pressappoco inutile e, dunque, inutilizzabile. Un peso, con la testa altrove.
Ma vi è un danno anche maggiore, generato da questa bolla salariale che specula sulle aspettative artificiali dei valori di Borsa, quasi sempre determinati da analisti in cerca perenne dell'ultimo paradiso. Ed è rappresentato dalla tentazione, largamente presente ormai, di costruire, in vitro, manager «da notizia»: quelli, cioè, che possono essere venduti con successo nel mercato degli indici a breve, selezionati secondo parametri che piani strategici e indicatori di budget hanno ormai codificato con noiosa routine e ampia connivenza di audience.
Il rischio, che siano tutti uguali, più o meno cloni di qualche grande scuola, è meno importante dell'incapacità, che una impostazione di questo tipo si porta dietro, di fare scuola, di produrre allievi, di allargare il tessuto di competenze e di storie al di là del proprio personale successo. Di costruire un gruppo. È un altro fenomeno connesso a questo esplodere di compensi disorganici. La loro mediatizzazione finisce per proporre modelli che incidono significativamente sulle aspettative di quanti fanno dell'investimento sulla carriera e sul curriculum una ragionevole tavola di salvezza per le proprie ambizioni professionali.
Emergono così i cercatori di status «prematuri», i teorici delle scorciatoie, gli affiliati estatici. Tutta una fauna premanageriale che intasa i files dei cacciatori di teste e gioca a dama coi percorsi e i luoghi canonici delle frequentazioni che contano. Si va a vela, appena si può. O anche allo stadio. Anche la vicinanza dei conti a sei zeri (in euro, s'intende) vivifica le speranze, tonifica le aspettative e accende l'immaginazione. Determinando, purtroppo, comportamenti adeguati allo stile. L'ideologia delle stock options e del profit sharing orienta le teste sul valore dell'equity ed è totalmente eterodiretta: il «fuori», (quello che si pensa fuori, quello che si comunica fuori, quello che si muove fuori) è immensamente più rilevante del «dentro», di quello che succede agli uomini e all'organizzazione all'interno.
Questa tenderà a disporsi «a corte», come in tutti i contesti in cui l'ossequio diviene preminente. Gli uomini comuni, quelli i cui destini girano al di sotto dei livelli che contano, finiranno per capire che se non c'è equità nella distribuzione delle risorse è inutile seguire delle regole: tanto vale imboccare anche precarie scorciatoie al successo. Fioriscono così fortune anche modeste, ma sempre in tiro su modelli che non hanno nulla a che spartire con la professione, la serietà, l'impegno nel tempo. Ognuno sarà portato a costruirsi, a spese di altri, la sua personale dotazione di stock options equivalenti, magari di frodo o, quantomeno, senza alcun rispetto sociale.
Avremo dunque nuovi idoli, un po' celebrati e un po' esecrati, in genere imperturbabili. Salvo quando, all'interno di imprese che sembravano inossidabili, scoppiano vere e proprie lotte tribali, con epurazioni, tagli di teste e catarsi finale. E' il ciclo della natura che ripensa se stessa, distruggendo gli stessi uomini che l'hanno a lungo interpretata. Ma quanti hanno perso l'onore, ancor prima del posto?
6/02/2006
VERGOGNA
Oggi il Ministro della Giustizia (!) Clemente Mastella e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano hanno concesso la grazia ad Ovidio Bompressi che il 17 maggio del 1972 ha ammazzato il Commissario Luigi Calabresi, allora trentaquatrenne, su ordine di due dirigenti di Lotta Continua, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani.
Alla domanda del giornalista su come mai la Famiglia Calabresi non sia stata avvisata prima che la notizia divenisse di pubblico dominio, facendo spallucce, Mastella si scusa per non averci pensato...
Il 12 maggio 2004 l'allora Presidente Ciampi conferisce la Medaglia d'oro al merito civile a Luigi Calabresi, alla memoria. Questa la motivazione: "Fatto oggetto di ignobile campagna denigratoria, mentre si recava sul posto di lavoro, veniva barbaramente trucidato con colpi d’arma da fuoco esplosigli contro in un vile e proditorio attentato. Mirabile esempio di elette virtù civiche ed alto senso del dovere. 7 maggio 1972 - Milano"
Oggi l'attuale Presidente concede la grazia al suo assassino.
Effetti collaterali dell'alternanza democratica.
la vicenda giudiziaria
Alla domanda del giornalista su come mai la Famiglia Calabresi non sia stata avvisata prima che la notizia divenisse di pubblico dominio, facendo spallucce, Mastella si scusa per non averci pensato...
Il 12 maggio 2004 l'allora Presidente Ciampi conferisce la Medaglia d'oro al merito civile a Luigi Calabresi, alla memoria. Questa la motivazione: "Fatto oggetto di ignobile campagna denigratoria, mentre si recava sul posto di lavoro, veniva barbaramente trucidato con colpi d’arma da fuoco esplosigli contro in un vile e proditorio attentato. Mirabile esempio di elette virtù civiche ed alto senso del dovere. 7 maggio 1972 - Milano"
Oggi l'attuale Presidente concede la grazia al suo assassino.
Effetti collaterali dell'alternanza democratica.
la vicenda giudiziaria
6/01/2006
1°: ANDARE A VOTARE SI' AL REFERENDUM
Trattandosi di una materia articolata e complessa, trovo quanto mai opportuno segnalarvi l'articolo di Angelo Panebianco pubblicato sul Corriere di oggi: «Una scelta per proseguire le riforme. O vincono i conservatori a oltranza» Le norme sul Senato sono il principale punto debole Condivido molte idee di Barbera e Ceccanti, ma il «no» toglierebbe ogni spazio.
Per decidere come comportarsi nel referendum costituzionale del 25 giugno credo si debbano immaginare gli scenari che discenderebbero, rispettivamente, da una vittoria del sì e da una vittoria del no.
Pensiamo a che cosa accadrebbe se vincesse il sì. Le parti più importanti della riforma entrerebbero in vigore solo nel 2011. Ci sarebbe il tempo per intervenire sugli aspetti più insoddisfacenti del testo: in particolare, per modificare composizione e prerogative del Senato (così come è congegnato è il principale punto debole della riforma). Si noti che molti esponenti del centrodestra si sono dichiarati consapevoli della necessità di apportare modifiche su questo e altri punti. In caso di vittoria del sì, si aprirebbe dunque lo spazio (con cinque anni di tempo per raggiungere un accordo) per una trattativa fra centrosinistra e centrodestra al fine di migliorare il testo. Una volta fatto ciò avremo finalmente la riforma costituzionale vanamente inseguita per un quarto di secolo. Avremo un nuovo ordinamento caratterizzato da un premier forte, dalla fine del bicameralismo perfetto (due Camere con uguali poteri, causa di tante inefficienze), una drastica riduzione del numero dei parlamentari e una correzione abbastanza ragionevole (per lo più, in senso centralista) della pessima devolution (la riforma del titolo V) voluta dal centrosinistra nel 2001.
Immaginiamo ora che cosa accadrebbe se prevalesse il no. Accadrebbe che la Costituzione tornerebbe ad essere immodificabile per parecchi decenni a venire. È il vero punto debole del manifesto dei «riformatori per il no», lanciato da due costituzionalisti di cui chi scrive ha grande stima, Augusto Barbera e Stefano Ceccanti. Molte idee contenute nel manifesto, sia sui gravi difetti della Costituzione vigente sia su quelli del testo varato dal centrodestra, sono, almeno per chi scrive, condivisibili. Ciò che non è condivisibile è la conclusione, la tesi secondo cui, in caso di vittoria del no, ci sarebbe ancora lo spazio per riprendere a breve termine la strada della riforma costituzionale.
Non è così. Per almeno tre ragioni.
In primoluogo, perché, come dimostrano gli argomenti usati dai promotori del referendum, è tuttora molto forte in questo Paese l'area dei conservatori costituzionali ad oltranza, persone che (legittimamente) ritengono la Costituzione vigente la migliore delle Costituzioni possibili e che, per difenderla, non hanno neppure esitato a rispolverare l'ideologia resistenziale (sembra, ad esempio, che per costoro il premierato sia una specie di tradimento dei valori resistenziali, l'apertura delle porte al fascismo, eccetera). In caso di vittoria del no, essi si appellerebbero legittimamente al responso degli italiani per bloccare ogni nuova ipotesi di riforma.
La seconda ragione è che nella maggioranza di centrosinistra ci sono molti gruppi contrarissimi al premierato e questi gruppi farebbero valere il ruolo che svolgono ai fini della stabilità del governo per bloccare nuovi tentativi di riforma.
Da ultimo, non sarebbe più possibile né togliere al Senato il potere di conferire la fiducia al governo né ridurre il numero dei parlamentari. I senatori, e i parlamentari in genere, lo impedirebbero. Se queste misure sono passate con la riforma del centrodestra ciò è accaduto per una specie di miracolo, probabilmente perché molti parlamentari del centrodestra non credevano in cuor loro che la riforma sarebbe davvero andata in porto. È difficile che imiracoli si ripetano due volte.
Due parole, infine, sulla devolution. Premesso che chi scrive trova comunque insoddisfacente qualunque intervento in questo campo che eluda gli aspetti fiscali, resta che, se si confrontano i due testi, il titolo V riformato dal centrosinistra oggi in vigore e il testo della riforma, si scopre che la devolution 1 (la riforma del centrosinistra) è assai più confusa e pasticciata della devolution 2 (quella del centrodestra). Quest'ultima, per lo meno, definisce meglio le competenze esclusive delle Regioni e ricentralizza (reintroducendo il principio dell'interesse nazionale) materie che, insensatamente, il centrosinistra aveva attribuito alla competenza congiunta di Regioni e Stato. Per queste ragioni, chi scrive voterà sì.
Per decidere come comportarsi nel referendum costituzionale del 25 giugno credo si debbano immaginare gli scenari che discenderebbero, rispettivamente, da una vittoria del sì e da una vittoria del no.
Pensiamo a che cosa accadrebbe se vincesse il sì. Le parti più importanti della riforma entrerebbero in vigore solo nel 2011. Ci sarebbe il tempo per intervenire sugli aspetti più insoddisfacenti del testo: in particolare, per modificare composizione e prerogative del Senato (così come è congegnato è il principale punto debole della riforma). Si noti che molti esponenti del centrodestra si sono dichiarati consapevoli della necessità di apportare modifiche su questo e altri punti. In caso di vittoria del sì, si aprirebbe dunque lo spazio (con cinque anni di tempo per raggiungere un accordo) per una trattativa fra centrosinistra e centrodestra al fine di migliorare il testo. Una volta fatto ciò avremo finalmente la riforma costituzionale vanamente inseguita per un quarto di secolo. Avremo un nuovo ordinamento caratterizzato da un premier forte, dalla fine del bicameralismo perfetto (due Camere con uguali poteri, causa di tante inefficienze), una drastica riduzione del numero dei parlamentari e una correzione abbastanza ragionevole (per lo più, in senso centralista) della pessima devolution (la riforma del titolo V) voluta dal centrosinistra nel 2001.
Immaginiamo ora che cosa accadrebbe se prevalesse il no. Accadrebbe che la Costituzione tornerebbe ad essere immodificabile per parecchi decenni a venire. È il vero punto debole del manifesto dei «riformatori per il no», lanciato da due costituzionalisti di cui chi scrive ha grande stima, Augusto Barbera e Stefano Ceccanti. Molte idee contenute nel manifesto, sia sui gravi difetti della Costituzione vigente sia su quelli del testo varato dal centrodestra, sono, almeno per chi scrive, condivisibili. Ciò che non è condivisibile è la conclusione, la tesi secondo cui, in caso di vittoria del no, ci sarebbe ancora lo spazio per riprendere a breve termine la strada della riforma costituzionale.
Non è così. Per almeno tre ragioni.
In primoluogo, perché, come dimostrano gli argomenti usati dai promotori del referendum, è tuttora molto forte in questo Paese l'area dei conservatori costituzionali ad oltranza, persone che (legittimamente) ritengono la Costituzione vigente la migliore delle Costituzioni possibili e che, per difenderla, non hanno neppure esitato a rispolverare l'ideologia resistenziale (sembra, ad esempio, che per costoro il premierato sia una specie di tradimento dei valori resistenziali, l'apertura delle porte al fascismo, eccetera). In caso di vittoria del no, essi si appellerebbero legittimamente al responso degli italiani per bloccare ogni nuova ipotesi di riforma.
La seconda ragione è che nella maggioranza di centrosinistra ci sono molti gruppi contrarissimi al premierato e questi gruppi farebbero valere il ruolo che svolgono ai fini della stabilità del governo per bloccare nuovi tentativi di riforma.
Da ultimo, non sarebbe più possibile né togliere al Senato il potere di conferire la fiducia al governo né ridurre il numero dei parlamentari. I senatori, e i parlamentari in genere, lo impedirebbero. Se queste misure sono passate con la riforma del centrodestra ciò è accaduto per una specie di miracolo, probabilmente perché molti parlamentari del centrodestra non credevano in cuor loro che la riforma sarebbe davvero andata in porto. È difficile che imiracoli si ripetano due volte.
Due parole, infine, sulla devolution. Premesso che chi scrive trova comunque insoddisfacente qualunque intervento in questo campo che eluda gli aspetti fiscali, resta che, se si confrontano i due testi, il titolo V riformato dal centrosinistra oggi in vigore e il testo della riforma, si scopre che la devolution 1 (la riforma del centrosinistra) è assai più confusa e pasticciata della devolution 2 (quella del centrodestra). Quest'ultima, per lo meno, definisce meglio le competenze esclusive delle Regioni e ricentralizza (reintroducendo il principio dell'interesse nazionale) materie che, insensatamente, il centrosinistra aveva attribuito alla competenza congiunta di Regioni e Stato. Per queste ragioni, chi scrive voterà sì.
5/31/2006
5/29/2006
E' ORA DI FINIRLA!
Sono assolutamente indignata dal comportamento del nuovo Premier e dei suoi ministri che in una giornata di elezioni si permettono di fare dichiarazioni catastrofistiche per spaventare gli Italiani e condizionarne così il voto!
Ma come si permettono? E' questa la democrazia che ci meritiamo?
Il mio è un appello accalorato a chi ancora non è andato a votare perchè si decida a lanciare una messaggio forte a questi governanti imbroglioni, che parlano giusto per far prendere aria alla bocca. Con quella loro aria piaciona, fingono di volere il bene comune e poi fanno donazioni miliardarie ai figli prima di cambiare le regole...
Un messaggio diretto a questa maligne cassandre che prima terrorizzano e poi improvvisamente dicono che l'economia è ripartita. Che dicono che gli Italiani non arrivano a fine mese, e poi però sono tutti via nel fine settimana. Che in campagna elettorale invocano a gran voce la concordia tra Italiani e il dialogo...e poi danno l'esempio occupando tutte le cariche dello Stato! Che sanno che nel 2007 si terranno gli europei di calcio con tutto l'indotto che questo genererà...e guarda caso ora abbiamo certi magistrati nel pallone.
ALLORA: CI VOGLIAMO SVEGLIARE?
VOGLIAMO CAMBIARE LE COSE! ANDIAMO A VOTARE!!!!
LANCIAMO UN SEGNALE FORTE DA MILANO, DA ROMA, DA NAPOLI, DA TORINO!!!
MA CI PRENDONO PER CRETINI?
PENSANO CHE SVENTOLANDO L'INVIDIA PER IL SINGOLO AVVERSARIO...CHE SIA BERLUSCONI, CHE SIA LA MORATTI...ECC... POSSANO CONTINUARE AD INGANNARCI?
UN PO' DI DECENZA, CHE DIAMINE!
LA POLITICA E' UN MESTIERE PER PROFESSIONISTI, UN'OPPORTUNITA' PER IL SINGOLO DI DARE L'ESEMPIO, ESALTARE I PREGI DELLA SOCIETA' ITALIANA E ALLO STESSO TEMPO CANCELLARNE I DIFETTI, AGENDO IN PRIMA PERSONA.
GLI ESEMPI LI ABBIAMO SOTTO GLI OCCHI: SCEGLIAMO QUELLI CHE POSSONO LANCIARE UNA VERO SEGNALE DI CAMBIAMENTO!
Le elezioni si svolgono oggi fino alle ore 15: il tempo per provare a modificare le cose c'è: sfruttiamolo!
Ma come si permettono? E' questa la democrazia che ci meritiamo?
Il mio è un appello accalorato a chi ancora non è andato a votare perchè si decida a lanciare una messaggio forte a questi governanti imbroglioni, che parlano giusto per far prendere aria alla bocca. Con quella loro aria piaciona, fingono di volere il bene comune e poi fanno donazioni miliardarie ai figli prima di cambiare le regole...
Un messaggio diretto a questa maligne cassandre che prima terrorizzano e poi improvvisamente dicono che l'economia è ripartita. Che dicono che gli Italiani non arrivano a fine mese, e poi però sono tutti via nel fine settimana. Che in campagna elettorale invocano a gran voce la concordia tra Italiani e il dialogo...e poi danno l'esempio occupando tutte le cariche dello Stato! Che sanno che nel 2007 si terranno gli europei di calcio con tutto l'indotto che questo genererà...e guarda caso ora abbiamo certi magistrati nel pallone.
ALLORA: CI VOGLIAMO SVEGLIARE?
VOGLIAMO CAMBIARE LE COSE! ANDIAMO A VOTARE!!!!
LANCIAMO UN SEGNALE FORTE DA MILANO, DA ROMA, DA NAPOLI, DA TORINO!!!
MA CI PRENDONO PER CRETINI?
PENSANO CHE SVENTOLANDO L'INVIDIA PER IL SINGOLO AVVERSARIO...CHE SIA BERLUSCONI, CHE SIA LA MORATTI...ECC... POSSANO CONTINUARE AD INGANNARCI?
UN PO' DI DECENZA, CHE DIAMINE!
LA POLITICA E' UN MESTIERE PER PROFESSIONISTI, UN'OPPORTUNITA' PER IL SINGOLO DI DARE L'ESEMPIO, ESALTARE I PREGI DELLA SOCIETA' ITALIANA E ALLO STESSO TEMPO CANCELLARNE I DIFETTI, AGENDO IN PRIMA PERSONA.
GLI ESEMPI LI ABBIAMO SOTTO GLI OCCHI: SCEGLIAMO QUELLI CHE POSSONO LANCIARE UNA VERO SEGNALE DI CAMBIAMENTO!
Le elezioni si svolgono oggi fino alle ore 15: il tempo per provare a modificare le cose c'è: sfruttiamolo!
5/24/2006
28 e 29 maggio: TUTTI ALLE URNE!

Domenica 28 e lunedì 29 maggio a Milano si voterà per il nuovo Consiglio Comunale e i nove Consigli di Zona.
ANDIAMO TUTTI A VOTARE PER LETIZIA MORATTI SINDACO, PERCHE' DA MILANO, CITTA' OPEROSA CHE INTEGRA E NON SOLO ACCOGLIE, CHE NON GRIDA, URLA O INSULTA, MA AGISCE, PARTA UN SEGNALE FORTE E CHIARO AL GOVERNO CENTRALE.
ANDIAMO A VOTARE PER LA DESTRA ITALIANA, PER ALLEANZA NAZIONALE, UN PARTITO GIOVANE, MODERNO ED EUROPEO, UN PARTITO CHE HA LE SUE SOLIDE FONDAMENTA NEL MOVIMENTO SOCIALE ITALIANO.
UN PARTITO CHE SA PRENDERE POSIZIONE.
5/23/2006
LA STORIA SIAMO NOI 3
LA STRAGE DI CAPACI
23 MAGGIO 1992

Sono le 17,48 quando su una pista dell'aeroporto di Punta Raisi atterra un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall'aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40. Sopra c'è Giovanni Falcone con sua moglie Francesca. E sulla pista ci sono tre auto che lo aspettano. Una Croma marrone, una Croma bianca, una Croma azzurra. E' la sua scorta, erano stati raggruppati dal capo della mobile Arnaldo La Barbera....(continua a leggere qui)
"La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni"(Giovanni Falcone)
23 MAGGIO 1992

Sono le 17,48 quando su una pista dell'aeroporto di Punta Raisi atterra un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall'aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40. Sopra c'è Giovanni Falcone con sua moglie Francesca. E sulla pista ci sono tre auto che lo aspettano. Una Croma marrone, una Croma bianca, una Croma azzurra. E' la sua scorta, erano stati raggruppati dal capo della mobile Arnaldo La Barbera....(continua a leggere qui)
"La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni"(Giovanni Falcone)
5/22/2006
AMBROGINO D'ORO A SERVELLO
Venerdì 19 maggio a Palazzo Marino il Sindaco Gabriele Albertini
ha conferito l’Ambrogino d’Oro al Senatore Francesco Servello
“per il suo lungo, coerente e leale impegno parlamentare cominciato nel 1958, dopo aver fatto parte all’inizio degli anni Cinquanta del Consiglio Comunale di Milano”.
L’onorificenza è stata conferita, come è riportato nella motivazione, anche “per gli importanti incarichi istituzionali a lui affidati e che ha svolto con competenza e rettitudine.
Per aver contribuito con la sua autorevolezza alla piena legittimazione istituzionale della parte politica di cui ha sempre fatto parte, partecipando attivamente alla storica evoluzione che ha trasformato il Movimento Sociale Italiano in Alleanza Nazionale, un partito giovane, moderno, europeo. Per aver rappresentato le migliori qualità di Milano, il coraggio delle idee e il profondo rispetto per la democrazia”.
“Di tutte le onorificenze che ho ricevuto nella mia vita – ha dichiarato il sen. Servello – questa è per me la più importante. Da Milano, in particolare da Palazzo Marino, ho mosso infatti i primi passi della mia carriera. Erano gli anni Cinquanta – ha ricordato infine – quando cominciai a lavorare come cronista municipale per la redazione milanese de Il Tempo”.
ha conferito l’Ambrogino d’Oro al Senatore Francesco Servello
“per il suo lungo, coerente e leale impegno parlamentare cominciato nel 1958, dopo aver fatto parte all’inizio degli anni Cinquanta del Consiglio Comunale di Milano”.
L’onorificenza è stata conferita, come è riportato nella motivazione, anche “per gli importanti incarichi istituzionali a lui affidati e che ha svolto con competenza e rettitudine.
Per aver contribuito con la sua autorevolezza alla piena legittimazione istituzionale della parte politica di cui ha sempre fatto parte, partecipando attivamente alla storica evoluzione che ha trasformato il Movimento Sociale Italiano in Alleanza Nazionale, un partito giovane, moderno, europeo. Per aver rappresentato le migliori qualità di Milano, il coraggio delle idee e il profondo rispetto per la democrazia”.
“Di tutte le onorificenze che ho ricevuto nella mia vita – ha dichiarato il sen. Servello – questa è per me la più importante. Da Milano, in particolare da Palazzo Marino, ho mosso infatti i primi passi della mia carriera. Erano gli anni Cinquanta – ha ricordato infine – quando cominciai a lavorare come cronista municipale per la redazione milanese de Il Tempo”.
5/20/2006
UN TUFFO NEL PASSATO
Senato: fiducia al governo Prodi L'esecutivo ha ottenuto 165 si', i no sono stati 155 (ANSA) - ROMA, 19 MAG - Il Senato ha dato la fiducia al governo Prodi con 165 si' e 155 no. Non ci sono stati astenuti. Tutti i senatori a vita hanno votato per la fiducia al governo Prodi: Giulio Andreotti, Carlo Azeglio Ciampi, Emilio Colombo, Francesco Cossiga, Rita Levi Montalcini, Sergio Pininfarina e Oscar Luigi Scalfaro.
BENE: E' COME ESSERE TORNATI INDIETRO DI CINQUANT'ANNI.
QUALCUNO SE NE RENDE CONTO?????
L'unica consolazione è che il povero Papa Giovanni Paolo II è morto, dopo tutto quello che ha fatto e detto, prima di vedere il nostro Bel Paese "tingersi di rosso".
BENE: E' COME ESSERE TORNATI INDIETRO DI CINQUANT'ANNI.
QUALCUNO SE NE RENDE CONTO?????
L'unica consolazione è che il povero Papa Giovanni Paolo II è morto, dopo tutto quello che ha fatto e detto, prima di vedere il nostro Bel Paese "tingersi di rosso".
5/18/2006
TOTOMINSTRI....25!!!!!!!!!
E 72 tra viceministri (9) e sottosegretari (63).
Il governo vien di notte
con le liste tutte rotte.
Molti cercan la Bonino,
ma lei sta sull'Aventino,
quando parla Diliberto
ecco cresce lo sconcerto,
interviene Capezzone,
fa tremar tutta l'unione,
trovate un posto per Tonino,
che non sia da fattorino,
si consuma la favella
ma non basta per Mastella.
(Dall'articolo di Mario Giordano sul Giornale di oggi)
25 Ministri vs i 24 del Governo Berlusconi
1 solo lombardo nonché senza portafoglio (Ministro Pollastrini alle Pari Opportunità) *
6 donne (anziché le 8 promesse) di cui solo 1 con portafoglio
totale: più che un governo di centrosinistra, NASCE UN GOVERNO SINISTROCENTRICO.
D'altra parte dopo l'okkupazione delle tre cariche più alte dello Stato cosa ci si poteva aspettare.
Bhé: buon lavoro, che sia costruttivo e non distruttivo.
Quanto all'opposizione:
che sia vigile, dura, inflessibile,
sempre presente.
* si pone a grande forza la QUESTIONE SETTENTRIONALE
[ Il Centro Studi della Confcommercio ha elaborato questi dati: il 54% del Prodotto interno lordo nazionale arriva dal Nord Italia; il gettito Irap proveniente dal Settentrione corrisponde al 62% del totale; il 47% circa delle risorse fiscali destinate al Servizio sanitario nazionale lo versano al Nord; e le imposte correnti sul reddito e sul patrimonio versate dalle famiglie settentrionali rappresentano il 55,8%. C'è ancora qualcuno che si chiede perché esiste una «questione settentrionale»? ]
Il governo vien di notte
con le liste tutte rotte.
Molti cercan la Bonino,
ma lei sta sull'Aventino,
quando parla Diliberto
ecco cresce lo sconcerto,
interviene Capezzone,
fa tremar tutta l'unione,
trovate un posto per Tonino,
che non sia da fattorino,
si consuma la favella
ma non basta per Mastella.
(Dall'articolo di Mario Giordano sul Giornale di oggi)
25 Ministri vs i 24 del Governo Berlusconi
1 solo lombardo nonché senza portafoglio (Ministro Pollastrini alle Pari Opportunità) *
6 donne (anziché le 8 promesse) di cui solo 1 con portafoglio
totale: più che un governo di centrosinistra, NASCE UN GOVERNO SINISTROCENTRICO.
D'altra parte dopo l'okkupazione delle tre cariche più alte dello Stato cosa ci si poteva aspettare.
Bhé: buon lavoro, che sia costruttivo e non distruttivo.
Quanto all'opposizione:
che sia vigile, dura, inflessibile,
sempre presente.
* si pone a grande forza la QUESTIONE SETTENTRIONALE
[ Il Centro Studi della Confcommercio ha elaborato questi dati: il 54% del Prodotto interno lordo nazionale arriva dal Nord Italia; il gettito Irap proveniente dal Settentrione corrisponde al 62% del totale; il 47% circa delle risorse fiscali destinate al Servizio sanitario nazionale lo versano al Nord; e le imposte correnti sul reddito e sul patrimonio versate dalle famiglie settentrionali rappresentano il 55,8%. C'è ancora qualcuno che si chiede perché esiste una «questione settentrionale»? ]
5/16/2006
LA FORZA DELLE EMOZIONI
Milano: lasciata, picchia ex fidanzato e compagna
Arrabbiata per essere stata lasciata, ha aggredito a calci e pugni l'ex fidanzato, la sua attuale ragazza, il cane della coppia e infine ha sfasciato l'auto del giovane, saltando ripetutamente sul tettuccio. E' stata la nuova fidanzata del giovane, Cecilia M, 25 anni, a denunciare l'accaduto agli agenti della Questura. L'episodio è accaduto intorno alle 3 della notte scorsa, in via Gorizia a Milano. Secondo quanto raccontato della ragazza, l'ex fidanzata, Carlotta C., 25 anni, a bordo della propria auto ha incrociato casualmente la coppia che stava passeggiando. E' scesa e ha cominciato a insultare l'ex fidanzato. Poi è passata alle vie di fatto, prendendo a calci prima lui, poi lei, e ,infine, il loro cane. La coppia è scappata e la ragazza se l'é presa con la Fiat Panda dell'ex fidanzato, saltando sul tettuccio fino a distruggerlo. La ragazza è stata denunciata per danneggiamento e maltrattamento d'animali.
Arrabbiata per essere stata lasciata, ha aggredito a calci e pugni l'ex fidanzato, la sua attuale ragazza, il cane della coppia e infine ha sfasciato l'auto del giovane, saltando ripetutamente sul tettuccio. E' stata la nuova fidanzata del giovane, Cecilia M, 25 anni, a denunciare l'accaduto agli agenti della Questura. L'episodio è accaduto intorno alle 3 della notte scorsa, in via Gorizia a Milano. Secondo quanto raccontato della ragazza, l'ex fidanzata, Carlotta C., 25 anni, a bordo della propria auto ha incrociato casualmente la coppia che stava passeggiando. E' scesa e ha cominciato a insultare l'ex fidanzato. Poi è passata alle vie di fatto, prendendo a calci prima lui, poi lei, e ,infine, il loro cane. La coppia è scappata e la ragazza se l'é presa con la Fiat Panda dell'ex fidanzato, saltando sul tettuccio fino a distruggerlo. La ragazza è stata denunciata per danneggiamento e maltrattamento d'animali.
5/12/2006
5/07/2006
HIC SUNT LEONES
5/06/2006
CHI SONO
Sono convinta che per fare bene politica non sia necessario "urlare", ma "fare". Anziché alzare i toni, preferisco chi opera con serietà e disinteresse.
Credo nella forzadell'impegno, nelle sfide anche difficili, ma soprattutto credo nella politica condotta con spirito di servizio per i cittadini.
QUANDO E DOVE MI POTETE CONOSCERE
presentazione della candidatura
domenica 14 maggio - ore 20 - Baia Luna
(Piazza Susa 1)
5/04/2006
IL VALORE DELLA VITA
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